Quadro normativo vigente e conseguenze sul piano penale della trasgressione a tali disposizioni con particolare riferimento alla configurabilità dei delitti di cui agli artt. 438 o 452 c.p.
La straordinaria diffusione del virus Covid-19 ha comportato la necessità di adottare contromisure di carattere del tutto straordinario al fine di tutelare il primario interesse all’integrità della salute pubblica.
Proprio la spiccata capacità trasmissiva del virus ha imposto il drastico intervento delle istituzioni, nel senso di comprimere innumerevoli libertà costituzionalmente garantite, al fine di porre in sicurezza la salute collettiva.
Per raggiungere tale obiettivo il Governo ha emanato plurimi decreti legge cui è stata data concreta applicazione attraverso successive ordinanze ed atti amministrativi (d.p.c.m., decreti ministeriali ed ordinanze regionali) che tutt’oggi impongono ai cittadini il rispetto di stringenti regole di comportamento. Tra questi la limitazione alla libera circolazione in tutto il territorio nazionale è senza dubbio la fattispecie che ha presentato maggiori profili di criticità.
Nel confuso quadro normativo caratterizzato dai numerosi interventi normativi, merita particolare attenzione il decreto legge n. 19/2020, da ultimo emanato, che sembrerebbe porre le basi per l’introduzione di una disciplina restrittiva uniforme su tutto il territorio nazionale, lasciando tuttavia in vigore le ordinanze e gli atti amministrativi emanati per ulteriori dieci giorni (art. 2 comma III d.l. 19/2020).
Le Regioni potranno dunque continuare ad emanare, entro la propria sfera di competenza, nuovi ordini ulteriormente restrittivi al sopraggiungere di detto termine.
In punto di esame del più recente scenario normativo sul piano sanzionatorio, diviene determinante la disciplina introdotta dall’art. 4 del d.l. 19/2020.
L’art. 4 comma I espressamente prevede che salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento genera l’applicabilità della sanzione pecuniaria di carattere amministrativo ivi prevista.
Inoltre, al comma VI del medesimo articolo, per la specifica ipotesi che concerne la violazione dell’obbligo di quarantena per i soggetti COVID positivi, è prevista l’applicazione della più grave sanzione (di carattere penale) contenuta all’interno dell’art. 260 T.U. leggi sanitarie, così come modificata quod poenam dal successivo comma VII (del decreto legge citato).
Il comma VI dell’art. 4 del d.l. 19/2020 da ultimo menzionato, risulta inoltre rilevante in considerazione della clausola di sussidiarietà ivi contenuta. Tale clausola prevede l’esclusiva applicabilità del delitto di cui all’art. 452 (ovvero altro più grave delitto) ove sussistente.
Pertanto, alla luce del citato intervento normativo, sono innegabili i dirompenti effetti che la riforma abbia determinato rispetto al quadro sanzionatorio precedentemente vigente, dominato dalla figura di cui all’art. 650 c.p. espressamente richiamato dal previgente decreto legge.
Al fine di comprendere al meglio l’evoluzione normativa determinata dal legislatore, sembrerebbe dunque opportuno ripercorrere la vicenda che riguardava l’applicabilità della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p..
Il mancato adempimento degli obblighi contenuti all’interno dei provvedimenti amministrativi citati poteva, in astratto, determinare la configurabilità dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 650 c.p. rubricato “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”[1].
Ai fini dell’applicabilità del reato de quo, è necessaria l’esistenza di un atto formalmente amministrativo che disciplini la condotta doverosa, sicché questo non sarà certamente configurabile in caso di violazione di disposizione che non rivesta (sul piano formale) carattere di ordine amministrativo[2].
La disposizione normativa in parola costituisce dunque ipotesi tipica di norma penale in bianco, in quanto la determinazione del contenuto del precetto penale, è demandata al provvedimento adottato dall’Autorità Amministrativa.
Ulteriore, forse maggiormente rilevante considerazione, concerne la natura di norma penale a carattere sussidiario, che determina l’applicabilità in concreto della contravvenzione in esame allorquando non sia possibile sussumere la condotta posta in essere dal reo nell’alveo di altra norma incriminatrice[3].
Inoltre risulta necessario porre l’accento sull’ulteriore questione afferente i rapporti intercorrenti tra disciplina previgente ed art. 650 c.p., cui il legislatore sembrerebbe aver rinviato esclusivamente quod poenam.
In considerazione del citato intervento normativo (d.l. 19/2020), l’annosa questione relativa alla configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., risulta essere superata. A seguito di violazione degli ordini restrittivi contenuti negli atti amministrativi adottati dalle competenti Autorità, potrà dunque contestarsi esclusivamente la fattispecie di carattere amministrativo di cui al citato art. 4, stante l’espressa previsione normativa che esclude la configurabilità della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 650 c.p..
Inoltre, come precedentemente affermato, in ragione del carattere del tutto sussidiario della disposizione di cui all’art. 650 c.p., in presenza della nuova figura sanzionatoria di carattere amministrativo di cui all’art. 4 d.l. 19/2020, la fattispecie contravvenzionale non avrebbe potuto in alcun modo trovare applicazione.
L’avvenuta sostituzione della fattispecie penale con la sanzione di carattere amministrativo pone tuttavia l’ulteriore questione afferente le sorti delle denunce sollevate ex art. 650 c.p. verso i trasgressori delle misure restrittive sotto la vigenza del precedente decreto legge. Tale questione non sembrerebbe essere sfuggita all’attenzione del legislatore. Il comma VIII dell’art. 4 stabilisce infatti che “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”.
L’applicazione retroattiva della sanzione amministrativa rievoca tuttavia la disciplina afferente il divieto di retroattività di sanzioni che presentino “animus” sostanzialmente afflittivo, ancorché non formalmente annoverate quali sanzioni penali. Come ben noto, ripetuti interventi della Corte Costituzionale[4] sembrerebbero aver chiarito che, in adesione al principio contenuto all’art. 7 CEDU (così come più volte interpretato dalla Corte EDU stessa), ove una sanzione formalmente amministrativa presenti il carattere di afflittività proprio delle sanzioni penali, dovrà applicarsi il principio di irretroattività della fattispecie che comporti trattamento sanzionatorio deteriore per il reo. Proprio tale ultimo assunto sembrerebbe costituire il punto di equilibrio nell’ambito della fattispecie attualmente in esame, contenuta all’interno del d.l. n. 19/2020. La disciplina posta dall’art. 4 comma VIII del citato d.l. può infatti considerarsi compatibile con i principi convenzionali e costituzionali sulla base del rilievo secondo cui tale misura può considerarsi legittima allorquando comporti una sanzione amministrativa che non comporti una punizione dell’agente più severa di quella al quale lo stesso sarebbe potuto andare incontro sulla base della legge vigente al tempo del fatto[5].
Considerando dunque compatibile con i principi costituzionali e comunitari il dettato di cui al citato comma VIII, può dunque procedersi all’irrogazione delle sanzioni amministrative ivi previste nei confronti dei soggetti già denunciati con conseguente obbligo di comunicazione da parte dell’autorità giurisdizionale procedente nei confronti dell’Autorità amministrativa competente all’emanazione della relativa sanzione – a tal proposito risulta dirimente il richiamo agli artt. 101 e 102 del d.lgs. 507/1999, contenuto nella parte finale del comma VIII –.
Come già in precedenza accennato, tuttavia, ai sensi dei commi VI e VII del d.l. 19/2020, in caso di soggetto COVID positivo che violi l’ordine di quarantena, non potrà procedersi all’irrogazione della “semplice” sanzione amministrativa prevista dal decreto citato, risultando rilevante la fattispecie incriminatrice coniata dal legislatore mediante il rinvio all’art. 260 T.U. leggi sanitarie.
Il legislatore, dunque, attraverso i citati commi VI e VII del decreto legge da ultimo emanato, ha provveduto all’introduzione di un regime differenziato in caso di violazione da parte di soggetti COVID positivi dell’ordine di quarantena imposto dagli atti amministrativi più volte menzionati.
La fattispecie di recente introduzione sembrerebbe porre in luce un’incriminazione costruita sulla base di reato di pericolo astratto, che pertanto si consuma con il mero allontanamento del reo dal luogo in cui dovrebbe essere osservata la quarantena in quanto positivo. Non sembra pertanto demandato all’apprezzamento del giudice il concreto rischio di diffusione del virus, che invece, come si vedrà rileva in caso di ipotesi di reato di cui agli artt. 438 ovvero 452 c.p.. Proprio alla luce della configurabilità nei confronti del soggetto COVID positivo della ben più grave incriminazione di “procurata epidemia”, sembra opportuno chiarirne i presupposti nonché gli elementi costitutivi, al fine di sussumere in termini corretti e precisi la condotta concretamente posta in essere dal reo.
In riferimento al possibile concorso tra reato di cui all’art. 260 T.U. leggi sanitarie (così come modificato quod poenam dal d.l. 19/2020) dovrà immediatamente chiarirsi che in ragione della clausola di sussidiarietà espressa contenuta nel più volte citato comma VI, allorquando sia rilevata la presenza degli estremi di cui all’art. 452 ovvero 438 c.p., dovrà propendersi per l’esclusiva applicazione della fattispecie di procurata epidemia. Così opinando risulta evidentemente impossibile la configurazione di alcun concorso tra reato di nuova introduzione ed uno dei delitti contro l’incolumità pubblica di cui al titolo VI, capo II, del codice penale.
Come più volte sottolineato, nel caso di specie, il fine che ha giustificato sul piano normativo la limitazione di diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla libera circolazione sul territorio nazionale, è individuabile nella tutela della salute pubblica. La necessità di evitare la propagazione di un virus particolarmente pericoloso, rievoca, sul piano penalistico, le previsioni di cui agli artt. 438 e 452 c.p. che, rispettivamente, puniscono la condotta di procurata epidemia dolosa e colposa.
Tali fattispecie di reato, inserite nel Capo II del titolo VI del Codice Penale, rubricato “Dei delitti contro l’incolumità pubblica” sono posti a presidio proprio dell’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.
In punto di bene giuridico tutelato, è tuttavia necessario segnalare un divario in dottrina. Secondo l’impostazione tradizionale[6] l’ “incolumità pubblica” risulterebbe essere l’unico interesse giuridico rilevante. Per altro indirizzo ermeneutico, cui si ritiene di aderire[7], invece, i delitti di cui al titolo VI del libro II del codice penale costituirebbero esempio di reati a carattere plurioffensivo, essendo tutelato non solo l’interesse all’incolumità pubblica, ma anche ulteriori fattispecie che costituiscono declinazioni della più ampia nozione di incolumità pubblica. Nello specifico, dunque, i delitti di epidemia dolosa e colposa attualmente in esame risulterebbero posti a presidio dell’ulteriore bene giuridico della salute pubblica.
Il delitto di cui all’art. 438 c.p. punisce chiunque cagioni un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni. Reato, senza dubbio, comune, presenta tuttavia una struttura particolarmente complessa nonostante l’apparente semplice formulazione.
L’impostazione ermeneutica che sembrerebbe preferibile individua nell’utilizzo del verbo “cagiona”, la tipica formulazione di reato di evento[8]; inoltre attraverso l’esame del significato del termine “epidemia” può desumersi l’ulteriore anima di reato di pericolo posta dal legislatore.
Seguendo tale percorso ermeneutico il delitto di epidemia presenta natura di reato sia di evento che di pericolo.
Affinché il soggetto agente sia punibile per “procurata epidemia” dovrà dunque accertarsi innanzitutto l’avvenuta diffusione di germi patogeni, e dovrà successivamente accertarsi l’attitudine di detti germi a diffondersi autonomamente con spiccata rapidità e potenziale vasta estensione successiva.
In concreto, dunque, per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, non potrà prescindersi dall’accertamento di un evento di danno rappresentato dalla manifestazione, in un soggetto individuato, di una malattia etiologicamente ricollegabile ai germi patogeni diffusi dall’agente. Proprio la formulazione normativa sembrerebbe dunque lasciar intendere l’esigenza che tale evento di danno preceda l’accertamento del successivo pericolo di diffusione dei germi patogeni. A tal proposito, come precisato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione[9], risulta necessario che il successivo pericolo di diffusione dei germi patogeni, debba verificarsi in un ristretto lasso temporale. Pertanto alla luce di tale ricostruzione, la fattispecie di reato in esame, può altresì considerarsi integrata, in termini di tipicità della condotta, nell’ipotesi in cui il soggetto agente sia egli stesso vettore dei germi patogeni diffusi. Tale ultimo assunto sembra essere ulteriormente confermato dalla lettera del testo normativo di cui all’art. 438 c.p.. Infatti, ancorché sia ivi posta in luce una condotta di carattere positivo, non sembra essere richiesta alcuna peculiare forma di veicolazione e diffusione dei germi patogeni; così da potersi ritenere integrata la tipicità del fatto in caso di diffusione mediante qualsivoglia modalità e mediante qualsiasi mezzo.
In punto di elemento soggettivo, invece, deve rilevarsi che il legislatore ha previsto sia l’ipotesi di epidemia dolosa che colposa, sicché nel primo caso il reato potrà configurarsi a carico dell’agente ove egli si sia rappresentato e abbia voluto non solo l’evento dannoso in precedenza descritto, ma anche la successiva possibilità di diffusione incontrollata degli agenti patogeni.
Esaminando il testo normativo in parola, sembrerebbe desumersi la necessità di rilevare la sussistenza della specifica forma di dolo c.d. “intenzionale”; seguendo tale percorso ermeneutico avrebbe di conseguenza dovuto considerarsi difficilmente configurabile la procurata epidemia nel caso in cui l’agente avesse versato in stato di dolo c.d. “eventuale”. Sembrerebbe invece preferibile ritenere che, ai fini dell’individuazione dell’elemento soggettivo, è sufficiente la sussistenza dell’atteggiamento psicologico di dolo c.d. “generico”. Così opinando, dunque, può considerarsi sussistente l’elemento soggettivo richiesto in presenza della consapevolezza dell’attitudine a diffondersi dei germi patogeni rilasciati, nonché volontà di contagiare taluno in modo da determinare successivamente il sorgere dell’epidemia. Inoltre, da tale ultima ricostruzione, può desumersi la verosimile applicabilità dell’ipotesi di reato nel caso in cui l’agente agisca in stato di dolo c.d. “eventuale” – specialmente in riferimento al frammento normativo di pericolo insito nella nozione di epidemia, così come in precedenza chiarito –.
L’ipotesi colposa di cui all’art. 452 c.p. risulta invece integrata allorquando l’agente non abbia voluto l’evento di reato e la seguente epidemia, ma abbia agito con negligenza, imprudenza ovvero imperizia, ovvero “per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (art. 43 II comma c.p.). Così come può in astratto riconoscersi la sussistenza di colpa c.d. “generica”, si precisa che nel caso di specie, considerando che l’avvenuta emanazione dei menzionati provvedimenti amministrativi per la lotta alla diffusione del virus COVID-19, sia stata determinata in ragione della violazione dei precetti ivi contenuti, con conseguente (non voluta) epidemia, deve più propriamente configurarsi l’ipotesi di colpa c.d. “specifica”.
In tema di epidemia colposa non è inoltre configurabile il reato per responsabilità a titolo di omissione, poiché la disciplina in esame richiederebbe espressamente una condotta di carattere commissivo[10].
Alla luce dei principi innanzi esposti sembra dunque possibile delineare i possibili profili di responsabilità penale cui può andare incontro il soggetto che violi i precetti contenuti nei provvedimenti amministrativi già emanati (ed ancora vigenti considerando il termine di 10 giorni in precedenza menzionato) e che saranno emanati sulla base del recente d.l. 19/2020.
Nell’ipotesi di violazione dei predetti ordini da parte di persona certamente “negativa” – non portatore di virus COVID-19 –, non risulta possibile procedere ad alcuna contestazione di carattere penale, dovendosi piuttosto irrogare la sanzione amministrativa di carattere pecuniario introdotta con il decreto legge da ultimo promulgato (art. 4 comma I d.l. 19/2020). Si precisa, nuovamente, che proprio in considerazione dell’intervenuta depenalizzazione delle condotte in precedenza sussumibili nell’alveo della sanzione penale di cui all’art. 650 c.p., deve ritenersi improcedibile ogni azione di carattere penale nei confronti dei soggetti già denunciati, con conseguente comunicazione alla competente Autorità amministrativa, al fine di consentire a quest’ultima di provvedere alla “trasformazione” della precedente denuncia in sanzione amministrativa computata ai sensi dell’art. 4 comma VIII del d.l. 19/2020.
Si perviene a diversa soluzione laddove il soggetto che violi le prescrizioni amministrative risulti essere in quarantena poiché positivo al test e dunque portatore (sintomatico o asintomatico) del virus COVID-19.
Per quanto concerne tale ultima ipotesi rileverebbe, infatti, la fattispecie incriminatrice di nuovo conio introdotta con il d.l. 19/2020 che comporta l’applicazione della sanzione prevista dal menzionato comma VII, in ragione del riferimento all’art. 260 T.U. leggi sanitarie.
Si precisa, infine, che ove dovesse essere ritenuta sussistente – sia in punto di tipicità del fatto che in punto di elemento soggettivo – la fattispecie di cui all’art. 452 c.p. ovvero di cui all’art. 438 c.p. (così come in precedenza delineate), dovrà procedersi ad applicazione di una delle due fattispecie delittuose da ultimo menzionate, stante l’impossibilità di riconoscere alcun concorso tra il reato speciale di nuova introduzione e la procurata epidemia. Tale concorso, si ribadisce ulteriormente, risulta essere escluso dalla clausola di sussidiarietà espressa contenuta nella disposizione di cui all’art. 4 comma VI del d.l. 19/2020 più volte menzionato.
Note
[1] ícfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale parte speciale quindicesima edizione, pag. 462 e ss.ý
[2] ícfr. Petrone, La tutela della penale degli ordini amministrativi, Milano 1980ý
[3] ícfr. Cassazione Penale, sezione I, 25 ottobre 2005, n. 43398 secondo cui “In tema di inosservanza di provvedimento dell’Autorità, la disposizione di cui all’art. 650 c.p. è norma di natura sussidiaria, che trova applicazione solo quando l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non sia sanzionata da alcuna norma, penale o processuale o amministrativa”ý
[4] ícfr. ex multis Corte Costituzionale n. 196/2010 e Corte Costituzionale n. 223/2018ý
[5] ícfr. Gian Luigi Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in riv. online Sistema Penaleý
[6] ícfr. Manzini, Trattato, vol. VI, n. 1960ý
[7] ícfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale quindicesima edizione, pag. 5ý
[8] ícfr. Tribunale di Trento, sez. uff. indagini preliminari, 12 luglio 2002ý
[9] ícfr. Cassazione Penale, Sezione I, 30 ottobre 2019, n. 48014ý
[10] ícfr. Cassazione Penale, sezione IV, 12 dicembre 2017, n. 9133 secondo cui “In tema di epidemia colposa non è configurabile il reato per responsabilità a titolo di omissione, poiché l’art. 438 c.p. con la locuzione mediante la diffusione di germi patogeni richiede una condotta commissiva incompatibile con il disposto dell’art. 40 comma II c.p.”ý
Foto copertina: Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte firma nuovo Dpcm con misure riguardanti il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del Coronavirus. 23/2/2020.
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