Spunti e considerazioni sul disegno di legge riguardante la criminalizzazione delle condotte discriminatorie basate sull’omofobia e sulla transfobia.
E’ attualmente all’esame della Commissione Giustizia la proposta di modifica degli artt. 604 bis e 604 ter c.p. volta ad ampliare il perimetro applicativo di tali norme alle ipotesi di discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Il disegno di legge[1] mira a introdurre una specifica tutela giuridica delle vittime di omofobia e transfobia volta a colmare l’attuale vuoto normativo italiano rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea”.
A tal fine, il testo segnala che, nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità (O.M.S.) abbia eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali fin dal 1990, restano ancora drammatici i dati statistici relativi ai fenomeni discriminatori fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere[2].
L’incremento dei fenomeni discriminatori fondati sull’odio sessuale o di genere, peraltro, è cresciuta esponenzialmente nel corso degli ultimi anni, principalmente a causa dell’uso di internet e dei social network; spesso i comportamenti discriminatori si rivelano talmente pervasivi da assumere specifiche connotazioni criminali, sostanziandosi in discorsi d’odio (cc.dd. hate speeches), lesioni, violenze, atti di bullismo e stalking.
Per tali motivi, anche il Legislatore Europeo ha intensificato le azioni tese a realizzare il pieno godimento e il rispetto dei diritti umani delle persone LGBT[3], in particolare attraverso la direttiva europea[4] che “vieta le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale nell’ambito del lavoro”, recepita dall’Italia con il d.lgs. n. 216/2003[5].
Sul punto, il disegno di legge rileva la mancanza di un’idonea disciplina interna capace di approntare strumenti efficaci alla tutela dei diritti e degli interessi delle persone omosessuali e transessuali. La denunciata lacuna normativa è tale da rendere non effettiva la tutela della dignità e dell’uguaglianza di tali soggetti, lesi nelle libertà e negli affetti. Ciò dà luogo, si segnala, a una preoccupante lesione dell’art. 3 della Costituzione.
Per tali ragioni, il testo in discussione mira a inserire il riferimento all’omofobia ed alla transfobia all’interno sia dei reati presenti nella fattispecie delittuosa dell’art. 604 Bis c.p., sia nell’aggravante di cui all’art. 604 Ter c.p.
In particolare, l’art. 604 Bis c.p. si riferisce a reati che incriminano specifiche manifestazioni di pensiero ritenute incompatibili con i valori costituzionali dell’uguaglianza e della dignità.
Tuttavia, i delitti in parola, cc.dd. reati di opinione, sono stati oggetto di profonda critica in quanto ritenuti lesivi del principio fondamentale della libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., una “criminalizzazione del pensiero”. Nonostante le perplessità, la fattispecie di cui all’art. 604 Bis c.p. non è mai stata censurata da parte della Consulta ed è stata, viceversa, al centro di una intensa attività giurisprudenziale volta a definirne contenuti e limiti.
Al fine di comprendere pienamente la portata del disegno di legge, dunque, è opportuno analizzare le principali caratteristiche del reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa di cui all’art. 604 Bis c.p.
Ebbene, l’articolo è stato introdotto nel codice penale soltanto nel 2018[6], in attuazione del principio della riserva di codice di cui all’art. 3 bis c.p., attuativo dei principi di cui agli artt. 25 e 27 Cost.
In realtà, la stigmatizzazione penale di questa categoria di condotte risale all’art. 3 della legge n. 654 del 1975[7], a tutti gli effetti antenato della norma oggi presente nel codice penale.
La normativa del 1975, infatti, per la prima volta ha elevato a reato le condotte di diffusione, incitamento alla discriminazione od alla commissione di atti di violenza, nonché di provocazione alla violenza nei confronti di persone appartenenti a gruppi nazionali, etnici o razziali.
Nel tempo l’articolo 3 è stato oggetto di modifiche, aggiunte e sostituzioni, tutte finalizzate ad ampliarne l’ambito applicativo.
In particolar modo, la disposizione è stata manipolata nel 1989[8] (con l’aggiunta del riferimento alla “intolleranza e pregiudizio religioso”), nel 1993[9] (con la riscrittura e la sostituzione della norma), nel 2006[10] (in particolare, con l’introduzione della istigazione al posto dell’incitamento) e, da ultimo nel 2016[11] (con l’introduzione del nuovo comma 3bis relativo alle condotte di negazionismo della Shoah e relative ai crimini di genocidio e contro l’umanità, nonché ai crimini di guerra, come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale).
Infine, nel 2018, come accennato, la disposizione dell’art. 3 l. 654/1975 è confluita nell’art. 604 bis c.p., oggetto oggi del progetto di modifica in esame. La fattispecie codicistica incrimina la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
Il riferimento è a reati comuni di mera condotta e di pericolo concreto, che puniscono la manifestazione di talune tipologie di pensiero discriminatorio lesivo della uguaglianza e della dignità delle vittime.
La giurisprudenza è stata pressoché costante nell’individuare la propaganda penalmente illecita non nella semplice espressione di idee, ma nell’attività finalizzata a influire concretamente sulla psicologia altrui e, di conseguenza, sull’altrui comportamento attraverso la raccolta di consensi.
Una condotta, quindi, “diretta a influenzare l’opinione pubblica ovvero a modificare le idee e i comportamenti dei destinatari”[12].
Allo stesso modo, l’istigazione da punire è considerata quella diretta a convincere terzi a porre in essere talune condotte delittuose animate dalla finalità discriminatoria.
Anche in questo caso, la giurisprudenza ha delineato i requisiti necessari affinché il comportamento dell’istigatore possa assumere rilevanza penale. Esso, infatti, deve essere tale da palesare una “indefettibile idoneità dell’azione a suscitare consensi e a provocare attualmente e concretamente il pericolo di adesione al programma illecito”[13].
Nel criminalizzare certe tipologie di propaganda e di istigazione l’art. 604 bis c.p. rappresenta una deroga espressa al principio di cui all’art. 115 c.p., secondo cui il mero accordo criminoso o la mera istigazione che non sfociano nella commissione di un reato non possono essere puniti (fatta salva la possibilità di applicare una misura di sicurezza, prevista dal comma 2 della disposizione).
L’elemento psicologico richiesto dalla fattispecie di reato è, da un lato, il dolo generico per le condotte di propaganda e di istigazione e, dall’altro lato, il dolo specifico per le attività di istigazione di cui al comma 1 lett. b), di commissione di atti discriminatori, di violenza o di provocazione alla violenza.
Infine, l’ultimo comma della norma punisce sia la costituzione di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi volti alla discriminazione razziale, etnica, nazionale o religiosa, sia la promozione, la partecipazione e l’assistenza a tali aggregazioni.
In ogni caso, il filo conduttore che unisce le condotte in esame è la volontà di discriminare il soggetto passivo basata su argomentazioni relative all’odio di razza, nazionale, religioso od etnico.
Sul punto, i beni giuridici tutelati si ricavano dalla collocazione della norma. L’articolo è sistemato all’interno del Capo III del codice penale, dedicato alla tutela della libertà individuale, nella specifica e di recente introduzione Sezione Ibis, relativa ai “delitti contro l’uguaglianza”. È in questo contesto che il disegno di legge propone di ampliare il novero delle discriminazioni punibili a quelle basate su motivazioni sessuali e sull’identità di genere.
Tuttavia, come visto, nel tempo non sono mancate opinioni contrarie alla criminalizzazione dei comportamenti discriminatori.
Fin dal 1975, infatti, i reati di opinione sono stati oggetto di profonda e diffusa critica, principalmente, per l’asserita contrarietà ai principi fondamentali della libertà di espressione sancita dall’art. 21 della Costituzione e della libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost.
Criticità sono state avanzate rispetto alla asserita incompatibilità di tali delitti con i principi di offensività e di necessarietà del diritto penale. Da ultimo, si è sottolineata la indeterminatezza della fattispecie, che per sua natura è basata su concetti extrapenali.
Ciò nonostante, la giurisprudenza è stata pressoché unanime nel salvare e nell’applicare siffatti reati.
L’attività ermeneutica si è contraddistinta per la ricerca della concretizzazione del pericolo generato da tali comportamenti discriminatori.
È da segnalare, in particolar modo, la sentenza della Cassazione[14] relativa alla contestazione del reato di cui all’art. 3 della legge n. 654 nei confronti dell’europarlamentare Borghezio, condannato, tra le altre cose, per “propaganda di idee”.
Secondo i giudici, nel caso oggetto del giudizio la divulgazione posta in essere dall’imputato non si era limitata a un sentimento generico di antipatia, ma era stata finalizzata a “influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni, manifestando una forma di odio razziale o etnico”. In uno dei passaggi più significativi della sentenza, peraltro, si evidenzia che la discriminazione razziale penalmente rilevante sia quella “fondata sulla qualità personale del soggetto, e non sui suoi comportamenti”. Rectius, l’attività discriminatoria deve colpire la vittima in quanto appartenente a un certa razza, nazione od etnia.
Un’altra pronuncia molto interessante è stata quella resa dalla Cassazione n. 1602/2020[15], che ha annullato la condanna di due cittadini italiani accusati di comportamenti discriminatori.
In questo caso i Giudici di Legittimità hanno ritenuto che il comportamento degli imputati non fosse idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ciò soprattutto alla luce della fallace ricostruzione fattuale compiuta dai giudici di merito[16].
L’opera della giurisprudenza, dunque, si è contraddistinta per lo sforzo di contestualizzare e concretizzare le condotte di odio penalmente rilevanti.
È anche per tale ragione che non sembrano fondati i dubbi e le censure che tutt’oggi accompagnano l’iter di approvazione del disegno di legge relativo all’omofobia ed alla transfobia.
Non persuadono, in particolare, le criticità avanzate con riguardo alla indebita limitazione della libertà di manifestazione del pensiero[17].
Non si comprende, infatti, in che modo possa ritenersi legittima la manifestazione di un pensiero discriminatorio, specificamente rivolto a colpire il soggetto passivo perché appartenente a una determinata categoria.
D’altronde, la possibilità di limitare la manifestazione del pensiero è sancita espressamente dall’art. 21 Cost. con riguardo al buon costume.
Legislatore, giurisprudenza e dottrina, ulteriormente, hanno individuato nel tempo altri limiti impliciti al diritto di manifestare il proprio pensiero.
Per questa via, non può che segnalarsi l’esistenza del reato di diffamazione previsto all’art. 595 c.p., fattispecie che mira a sanzionare il pensiero finalizzato a offendere la reputazione altrui attraverso la comunicazione con più persone (anche due, come precisato dalla giurisprudenza).
D’altra parte, limiti impliciti sono stati individuati anche rispetto alle attività di cronaca, informazione e satira, libertà tutelate e ricondotte nell’alveo dell’art. 21 Cost.
In astratto, quindi, la criminalizzazione delle manifestazioni del pensiero discriminatorie non sembra porre particolari problemi con riguardo al canone della ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Tuttavia, è in concreto, ai fini del rispetto dei principi di colpevolezza, di extrema ratio, di rieducazione del reo e di offensività, che i giudici sono chiamati ad analizzare se la condotta sia tale da “meritare” il rimprovero penale.
In conclusione, la proposta avanzata dal disegno di legge sull’omofobia e la transfobia sembra rispondere correttamente alla necessità di combattere nuovi fenomeni discriminatori, ciò sia in un’ottica general-preventiva che special-preventiva.
Allo stesso modo, la scelta di individuare come oggetto della modifica l’art. 604 bis c.p. – oltre che l’art. 604 Ter c.p. – sembra coerente con la ratio della norma e con i beni giuridici da essa protetti.
Del resto, è anche in questi modi che si riafferma la tenuta del sistema di valori di un moderno Stato di diritto, laico, inclusivo e multietnico.
Note
[1]Disegno di legge presentato in data 26 marzo 2019, n.1176, “Modifiche agli articoli 604bis e 604ter del codice penale e istituzione della Giornata nazionale contro l’omotransfobia nonché dei centri antiviolenza per le vittime di omofobia e transfobia;
[2]Tra i dati statistici menzionati, anche quelli del servizio di supporto telefonico per persone LGBT, Gay Help Line, che nel 2007 ha ricevuto circa ventimila denunce di “situazioni di discriminazioni, aggressioni o allontanamento dalla casa familiare da parte dei genitori”;
[3]Tra le altre, si segnalano la raccomandazione del Comitato dei ministri n. 5/2010 e la risoluzione n. 1728/2010;
[4]Direttiva del 27 novembre 2000, n. 2000/78/CE, del Parlamento e del Consiglio;
[5]Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”;
[6]Articolo inserito dall’art. 2 del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, “Disposizioni di attuazione del principio della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lett. q) della legge 23 giugno 2017, n. 103”;
[7]Art. 3 legge 13 ottobre 1975, n. 654, “Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966”;
[8]Modifica avvenuta attraverso l’art. 2 co. 5 legge 8 marzo 1989, n. 101, “Norme per la regolazione dei rapporti tra Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane”;
[9]Riscrittura imposta dall’art. 1 co. 1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, cd. “Legge Mancino”;
[10]Modifica e sostituzione attraverso l’art. 13 co. 1 legge 24 febbraio 2006, n. 85, “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”;
[11]Modifica ai sensi dell’art. 1 legge 16 giugno 2016, n. 115, “Modifica dell’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”;
[12]Cass. Pen, Sezione III, sentenza del 3 ottobre 2008, n. 37581;
[13]Cass. Pen., Sezione I, sentenza del 20 gennaio 2015, n. 7842;
[14]Corte di Cassazione, sentenza del 22 luglio 2019, n. 32862;
[15]Corte di Cassazione, sentenza del 16 gennaio 2020, n. 1602;
[16]In particolare, la Corte sottolineò che i giudici di merito non indagarono correttamente “da un lato, la relazione, invece ictu oculi esistente…, tra il comportamento omicida posto in essere da tale individuo e l’odio manifestato nei suoi confronti dagli imputati, e, dall’altro lato l’irregolarità dell’ingresso in Italia del soggetto che si è reso autore di quei gravi fatti”;
[17]Criticità riportate, tra le altre, nell’articolo di Francesco Ognibene del 14 luglio 2020, in www.avvenire.it;
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