Riflessioni in tema di c.d. peculato dell’albergatore anche alla luce della più recente giurisprudenza
Il comma 3 dell’art. 180 del d.l. 34 del 19 maggio 2020 (convertito in l. 77 del 20 luglio 2020)[1] ha modificato la disciplina del versamento dell’imposta di soggiorno; in particolare, la nuova disposizione, nel disciplinare l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno, indica il gestore della struttura ricettiva quale responsabile di tale adempimento.
L’inosservanza dell’obbligo comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa.
Orbene, all’indomani di tale novum normativo, si è posto il problema di comprendere se l’albergatore che non versi le somme a titolo di imposta di soggiorno debba continuare a rispondere di peculato (art. 314 c.p.), secondo il diritto vivente anteriore alla novella legislativa.
Acclarata la risposta negativa a tale primo quesito, per i motivi che si evidenzieranno in seguito, si è posto il dubbio afferente la circostanza che l’art. 180 del d.l. 34/2020 abbia integrato una successione mediata di leggi nel tempo, con conseguenziale abolitio criminis rispetto alla condotta inadempiente dell’albergatore.
Per comprendere in modo esaustivo la portata del problema occorre principiare da una breve disamina sulla qualificazione come peculato della condotta dell’albergatore (ante riforma del 2020) e sul fenomeno della successione mediata di norme del tempo.
Secondo l’orientamento maggioritario antecedente al d.l. 34/2020, la condotta del gestore della struttura alberghiera, consistente nell’omesso versamento delle imposte di soggiorno, avrebbe integrato il reato di peculato[2].
Ebbene, il gestore della struttura alberghiera viene considerato un incaricato di pubblico servizio.
Simili conclusioni sono state confermate anche da recente giurisprudenza[3], secondo la quale il riscuotitore agisce in favore del Comune, ente pubblico territoriale. Si è sottolineato come le somme che il gestore della struttura ricettiva deve trasferire all’ente pubblico siano deputate al raggiungimento di determinate finalità indicate proprio dall’art. 4 del decreto legislativo 23/2011. In particolare, la norma specifica che il «gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché’ dei relativi servizi pubblici locali».
Secondo tale impostazione, dunque, c’è un collegamento diretto tra l’attività dell’albergatore, tenuto a versare le imposte di cui si discorre, e l’interesse generale alla riscossione di tali tributi che, peraltro, sono legislativamente “vincolati” – rectius “destinati”, per usare le parole del Legislatore – ad essere investiti a vantaggio dell’implementazione del turismo.
La naturale conclusione delle suesposte premesse è quella di ritenere integrato il delitto di peculato allorquando il gestore dell’attività ricettiva ometta di versare le somme di denaro ricevute in virtù della funzione pubblica ch’egli svolge.
L’albergatore che non versa le somme relative alle imposte di soggiorno, quindi, si appropria di denaro del quale ha la disponibilità in ragione del suo ruolo pubblicistico, integrando perfettamente la condotta prevista e punita dall’art. 314 c.p.
Le conclusioni appena riportate sono state, peraltro, integralmente confermate anche da pronunciamenti[4] più recenti che hanno, nel corpo delle motivazioni, ripercorso gli stessi ragionamenti appena prospettati.
Conferma ulteriore della stabilità dell’esposta impostazione ermeneutica deriva, altresì, dalla giurisprudenza della Corte dei Conti la quale ha affermato che «i soggetti operanti presso le strutture ricettive, ove incaricati – sulla base dei regolamenti comunali previsti dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 4, comma 3, della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno corrisposta da coloro che alloggiano in dette strutture, assumono la funzione di agenti contabili, tenuti conseguentemente alla resa del conto giudiziale della gestione svolta»[5].
Come si è anticipato, il d.l. 34/2020 ha modificato la disciplina normativa dell’omesso versamento dell’imposta di soggiorno, specificando che l’albergatore inadempiente all’obbligo fiscale debba essere sottoposto a sanzione amministrativa.
Non è in discussione, dunque, che, a partire dall’introduzione della novella normativa e per l’avvenire, il gestore della struttura ricettiva non sarà più considerato responsabile penalmente.
Il problema, invero, si pone per le condotte antecedenti alla sopravvenienza normativa; in particolare, occorre chiarire la novella di cui al d.l. 34/2000 abbia comportato, o meno, una modifica della disciplina penale tale da generare abolitio criminis.
Sulla suesposta questione incide, dunque, la problematica relativa alla successione mediata di norme penali nel tempo, questione afferente al fenomeno che si verifica quando la sopravvenienza normativa non investe direttamente il precetto, ma la c.d. norma extra-penale che il precetto richiama mediante i c.d. elementi normativi della fattispecie[6].
Non c’è dubbio, infatti, che nel caso in esame, l’albergatore abbia perduto, per effetto della sopravvenienza normativa, la sua qualifica di incaricato di pubblico servizio che legittimava e giustificava l’inflizione di una condanna penale contro la condotta omissiva dello stesso.
Tuttavia, non è sempre facile capire se la modifica della norma extra-penale abbia incidenza sul precetto penale.
A tale riguardo, e solo limitatamente a quanto qui rileva, è possibile richiamare una famosa pronuncia della Suprema Corte che, a Sezioni Unite[7], si è occupata del problema (se pur in riferimento ad una questione concreta del tutto dissimile da quella relativa all’oggetto del presente contributo)[8].
Secondo il Supremo Consesso, per individuare il campo di applicazione del secondo comma dell’art. 2 c.p. non ci si può limitare ad una verifica concreta relativa alla continuità punitiva del fatto. Occorre, invece, «prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extra-penale modificata svolga in collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale dar ritenere che, pur essendo quella rimasta immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extra-penale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato».
In altri termini, secondo tale impostazione “formale – strutturale”, la modifica della norma extra-penale determina un fenomeno successorio mediato del precetto solo quando la prima abbia integrato il secondo; tale evenienza può verificarsi solo quando la norma extra-penale modificata sia una norma definitoria ovvero una norma che completa la disciplina della norma penale in bianco[9].
Così ricostruiti, da un lato, la rilevanza penale, ante d.l. 34/2020, della condotta appropriativa dell’albergatore in termini di peculato e, dall’altro, il maggioritario orientamento della giurisprudenza in ordine al fenomeno della successione mediata di norme, è possibile porsi il problema relativo alla circostanza che novella di cui al d.l. 34/2000 abbia comportato, o meno, una modifica della disciplina penale tale da generare abolitio criminis con riguardo alla condotta del gestore della struttura ricettiva che ometta o ritardi il versamento delle imposte di soggiorno.
Appare, infatti, lapalissiano, che la questione ha delle rilevantissime ripercussioni pratiche.
Se si negasse l’abolitio criminis, infatti, la nuova norma sarebbe destinata ad operare per il futuro impedendo qualsivoglia ripercussione sui procedimenti già giudicati.
Diversamente, ammettendo la sussistenza del fenomeno successorio, dovrebbe applicarsi il principio di retroattività della norma penale favorevole ex art. 2 comma 2 c.p., con tutto ciò che ne consegue in punto di “scardinamento” del giudicato.
Secondo una prima tesi, sostenuta in dottrina[10], all’indomani dell’introduzione del c.d. d.l. rilancio, l’abolizione del reato troverebbe conforto in una circostanza fattuale: l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno, oggi, non integra più il delitto di peculato.
Peraltro, volendo valorizzare tale aspetto, sarebbe possibile spiegare il fenomeno successorio anche attraverso la considerazione che la nuova norma ha determinato un riassetto giuridico di tutta la fattispecie. In altri termini, anche a voler ammettere che la norma extra-penale non integri il precetto, la modifica normativa è stata così dirompente nel modificare completamente tutto l’assetto della fattispecie, che si rende opportuno comunque applicare l’art. 2 c.p.
Secondo una diversa impostazione[11], invece, non si può realmente discorrere di una successione di norme integratrici del precetto.
È stato osservato, infatti, che il comma 3 dell’art. 180 del d.l. n. 34/2020 non è una norma integratrice del precetto nella misura in cui non riempie di contenuto una norma penale in bianco e non è una norma definitoria: essa, invero, non modifica la nozione astratta di incaricato di pubblico servizio, ma elimina le condizioni che consentono (o meglio, consentivano) di qualificare il singolo albergatore come incaricato di pubblico servizio.
La nuova norma, in buona sostanza, non ha stabilito che non è più incaricato di pubblico servizio colui il quale è incaricato dal Comune della riscossione delle imposte; anzi, dal d.l. rilancio del 2020 è possibile “solo” ricavare che d’ora in avanti i gestori delle strutture recettive non avranno più tale qualifica.
Del resto, si concorda con la citata dottrina[12] che aggiunge, a conferma delle precedenti argomentazioni, che il nuovo assetto della fattispecie dell’omesso versamento delle imposte di soggiorno non riesce a scalfire il disvalore penale delle condotte di chi, sulla base della sua riconosciuta mansione pubblicistica, si sia appropriato di danaro pubblico.
Tale seconda ipotesi interpretativa è stata sposata in tempi recentissimi anche dalla Corte di Cassazione[13] che, pur ammettendo la peculiarità del fenomeno successorio in commento, esclude che possa discorrersi di abolitio criminis e che, conseguentemente, possano esservi conseguenze in bonam partem per coloro i quali siano stati condannati anteriormente all’introduzione del nuovo provvedimento normativo.
In particolare, la Corte evidenzia che il d.l. 34/2020 ha modificato le attribuzioni concrete dell’albergatore che, in relazione allo stesso tributo (l’imposta di soggiorno) è oggi gravato da oneri diversi rispetto al passato.
È da rilevare, tuttavia, che né il precetto del reato precedentemente ascrittogli (art. 314 c.p.) né la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.), presupposto per la punibilità a titolo di peculato, hanno subito modifiche.
La Corte, dunque, esclude che «la modifica del quadro di riferimento normativo di natura extra-penale che regola il versamento dell’imposta di soggiorno abbia comportato un fenomeno di abolitio criminis, poiché tale effetto si determina solo quando la modifica abbia riguardato norme realmente integratrici della legge penale, come quelle di riempimento di norme penali in bianco o le norme definitorie, ma non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale, nessuna di tali tra loro differenti soluzioni essendosi, peraltro, determinata nella vicenda normativa in esame».
Alla luce di tutto quanto esposto, sembra condivisibile quella autorevolissima dottrina oltreché la riportata recentissima Giurisprudenza che escludono l’abolitio criminis nel caso di specie.
Primariamente, appare utile osservare che il criterio formale – strutturale consegnatoci dalla Giurisprudenza richiamata in tema di successione mediata (Sezioni Unite Magera) risulta il più sicuro criterio da utilizzare per risolvere i problemi interpretativi che una modifica normativa può comportare.
Ciò in quanto tutti gli altri criteri offerti dalla dottrina più risalente e dalla manualistica (criterio della doppia punibilità in concreto o della continuità dell’offesa al bene giuridico tutelato) non riescono ad affrancarsi da un immancabile componente soggettiva e valutativa.
Il criterio fornito dalle Sezioni Unite Magera ed applicato dalla recente pronuncia richiamata sul tema in discorso, invece, appare – seppur passibile di alcune non inimmaginabili “derive soggettivistiche”, delle quali non è possibile discorrere in tal sede, più “geometrico” e “certo”.
Del resto, anche sul piano del disvalore sociale, l’impostazione preferibile appare essere, in ogni caso, quella che esclude l’abolitio criminis.
Non c’è dubbio, infatti, che attualmente la condotta dell’albergatore che ritardi o ometta di versare l’imposta di soggiorno non è più penalmente rilevante; ma ciò non in base ad una rinnovata morfologia delle funzioni e delle qualità dell’incaricato di pubblico servizio, bensì “solo” in quanto attualmente il gestore della struttura ricettiva non è (più) considerato tale. Precedentemente alla riforma, invece, egli era incaricato pubblico servizio e il disvalore della condotta di chi, incaricato di pubblico servizio, si appropria di denaro o altra cosa mobile, avendone la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, non è venuta meno a causa della novella legislativa.
Peraltro, è possibile richiamare, a sostegno di tali osservazioni, la granitica giurisprudenza in tema di reato di calunnia[14]. Si ritiene, infatti, che la sopravvenuta depenalizzazione del reato che viene dall’agente falsamente attribuito alla persona offesa non determini, in favore del primo, un fenomeno di abolitio criminis proprio in quanto, tra le altre motivazioni, il disvalore della condotta di chi incolpa falsamente taluno di un reato non viene meno in circostanze siffatte. E infatti, si sostiene, il bene giuridico del corretto funzionamento della giustizia subisce comunque una lesione così come anche, eventualmente, la dignità del falsamente incolpato.
Orbene, conclusivamente, è possibile ulteriormente ribadire la coerenza della soluzione proposta dalla recentissima giurisprudenza che si è espressa sul punto e dalla dottrina richiamata che esclude un fenomeno di abolitio criminis a vantaggio del gestore di una struttura ricettiva che abbia omesso o ritardato il versamento delle imposte di soggiorno.
Note
[1] Nella richiamata disposizione è statuito che « Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui all’art. 14, comma 16, lettera e), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, converti-to, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previ-sti dalla legge e dal regolamento comunale. […]. Per l’omesso, ritardato o parziale versa-mento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica una sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471».
[2] L’art. 314 c.p., rubricato «Peculato», stabilisce che «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria».
[3] Cassazione, Sez. VI Penale, 12 luglio 2018, n. 32058.
[4] Cassazione, Sez VI Penale, 7 febbraio 2019, n. 6130.
[5] Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, n. 22/2016/QM del 8 giugno 2015, dep. 2016.
[6] R. Giovagnoli, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, 2019, Torino.
[7] Cassazione. Sez. Un., 27 settembre 2007, n. 2451 (Magera).
[8] La pronuncia richiamata aveva ad oggetto problemi di diritto intertemporale derivanti dall’ingresso di nuovi Stati nell’Unione Europea, con riguardo ai reati che hanno come elemento normativo del fatto tipo l’essere “extracomunitari”.
[9] F. Mantovani, Diritto Penale, parte generale, 2017, Milano.
[10] M. Gambardella, Il “decreto rilancio” e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo, in Penale. Diritto e procedura, 1° giugno 2020.
[11] G.L. Gatta, Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il ‘decreto rilancio’, in Sistema Penale, 5 ottobre 2020.
[12] G.L. Gatta, Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il ‘decreto rilancio’, cit.
[13] Cassazione Penale, Sez. VI, 30 ottobre 2020 (ud. 29 settembre 2020), n. 30227; si veda, altresì il contributo di F. Schippa, Interviene la Cassazione sull’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno a seguito del c.d. Decreto Rilancio. Autentica interpretazione di una papabile interpretazione autentica., in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 11
[14] Art. 368 comma 1 c.p., Calunnia: Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero sumula a carico di lui le tracce di un reato, è punito […].
Foto copertina: Immagine web