L’aggressione armata di Baku al confine con l’Armenia torna a scaldare il Caucaso meridionale: con un bilancio provvisorio di 49 morti tra i soldati armeni ed ulteriori perdite civili, la violazione del cessate il fuoco in vigore dal 2020 minaccia un nuovo conflitto in Asia con notevoli implicazioni per le vicine Turchia e Russia.
Baku passa alle armi
Torna a riaccendersi la tensione al confine tra Armenia e Azerbaijan, teatro di scontri a fuoco nella notte del 13 settembre scorso. Secondo quanto riportato dal Ministero della Difesa armeno,[1] alle 00:05 ora locale le forze di Baku hanno lanciato un’aggressione militare nelle cittadine di confine di Vardenis, Goris, Jermuk, Sotk e Kapan, violando così il cessate il fuoco stabilito con la mediazione dalla Federazione Russa a seguito della guerra del 2020, durante la quale le due repubbliche caucasiche si scontrarono per la seconda volta per il controllo dell’enclave a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh, situato geograficamente all’interno dei confini azeri. Sebbene non si tratti del primo caso di inosservanza della tregua, con la morte di 49 soldati armeni ed ulteriori caduti civili, gli scontri della scorsa notte sono stati i più violenti dalla guerra dei 44 giorni del 2020. Inoltre, i territori colpiti non appartengono alla regione contesa della Repubblica dell’Artsakh – nome con cui il Karabakh ha proclamato l’indipendenza nel 1994, bensì sono ricompresi all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti della Repubblica di Armenia.
Se da un lato Yerevan accusa il vicino azero di aver attaccato infrastrutture civili, dal canto suo Baku ha respinto le accuse “assurde” [2] dell’Armenia giustificando l’aggressione in risposta alle provocazioni e agli atti eversivi nelle aree di Lachin, Kelbajar e Dashkesan, che avrebbero visto il Paese coinvolto nello spostamento di armi e truppe al confine, con lo scopo di minare la stabilità del processo di pace. Benché non in via definitiva, nella giornata successiva agli scontri le parti hanno concordato una tregua,[3] la cui solidità potrà valutarsi solamente nelle prossime settimane e alla luce delle reazioni di quel ventaglio di attori impegnati nell’impedire che un conflitto locale su un confine caldo possa trasformarsi in una guerra regionale.
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Yerevan invoca la sicurezza collettiva
In una nota del Ministero degli Esteri pubblicata a poche ore dall’inizio degli scontri,[4] Yerevan ha annunciato la richiesta di una sessione straordinaria del Consiglio Permanente del CSTO, un’alleanza militare difensiva che lega l’Armenia a Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e – in primis – la Russia. All’ordine del giorno l’aggressione militare di Baku e la sollecitazione dell’intervento russo ai sensi dell’articolo 4 del CSTO, che – proprio come l’omologo art. 5 del Trattato di Washington per la NATO – prevede l’intervento degli altri Paesi membri in caso di aggressione territoriale da parte di uno Stato straniero. Intervento che al momento non sembra essere preso in considerazione dal CSTO, che tramite il suo portavoce Vladimir Zainetdinov ha dichiarato la contrarietà dell’organizzazione all’uso della forza militare al confine tra le due repubbliche e il supporto all’impiego di mezzi politici e diplomatici nella risoluzione della controversia.[5] Un déjà-vu che riporta al 9 novembre 2020, giorno in cui il Presidente azero lham Aliyev e il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan firmarono l’impegno a considerare la sola diplomazia come strumento per la gestione delle proprie dispute in un cessate il fuoco che ha posto fine alle sei settimane di combattimenti che provocarono 6.500 morti e risultarono nell’amara cessione da parte di Yerevan di parti di territorio controllato da decenni, così come nell’impegno di Mosca a monitorare la tregua attraverso lo schieramento di circa 2.000 peacekeepers.[6] Al contempo, nelle giornate di mercoledì e giovedì le strade di Yerevan si sono colmate della rabbia dei manifestanti, scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Pashinyan a fronte di presunte cessioni alle pressioni di Baku.
Non si vede la Russia all’orizzonte
Nonostante il ruolo chiave di Mosca – storicamente vicina all’Armenia – in qualità di garante della stabilità del Caucaso, il supporto alla macchina politico-dipomatica quale strumento esclusivo per la risoluzione della disputa degli ultimi giorni e l’appello alla moderazione delle parti mostra chiaramente la difficoltà russa nel Caucaso meridionale.[7] Impegnata in un conflitto alle porte dell’Europa da ormai sette mesi, un eventuale sostegno a Yerevan potrebbe eventualmente far precipitare la situazione e coinvolgere la Russia di Putin in un secondo fronte oltre quello ucraino, proprio mentre l’operazione speciale si trova a fronteggiare il travagliato crollo del fronte di Kharkiv. Secondo numerosi analisti, l’Azerbaijan potrebbe non aver lasciato al caso la scelta temporale entro cui sferrare l’attacco ai vicini armeni: in questa prospettiva, Aliyev avrebbe cercato di cogliere l’opportunità di una Russia distratta dal conflitto in Ucraina e, al contempo, la forza dell’onda avversiva globale contro Mosca, con cui Yerevan è formalmente alleata. Ma non solo: la guerra sul fronte dell’Est sembra favorire l’Azerbaijan anche sul piano strategico, in quanto Paese chiave per le rotte di transito della Russia ed i collegamenti con Iran e Asia, che consentono a Mosca di sfuggire dall’ormai consolidato isolamento occidentale.
Europa e Turchia: satelliti della geopolitica caucasica?
Forte di un appoggio turco, l’Azerbaijan gode di un’inedita posizione di forza a livello regionale. Un appoggio che non si limita alla componente politica di sostegno all’operato di Baku nel dossier Karabakh, bensì che si traduce anche in un sostegno militare in termini di forniture di droni, munizioni ed attrezzatura bellica. Risultano infatti esercitazioni congiunte tra Baku ed Ankara nelle prime settimane di settembre,[8] svoltosi proprio in Azerbaijan con l’obiettivo di valutare “l’interazione e l’interoperabilità dei combattimenti e l’esecuzione di misure di ricerca e salvataggio”.[9] Il vantaggio strategico di Baku si va consolidando anche in riferimento all’Unione Europea, alle prese con una crisi energetica senza precedenti, riconducibile in buona sostanza alla posizione di chiusura adottata dall’Occidente nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. Con Roma e Bruxelles in cerca di nuovi partner energetici in vista di una più solida diversificazione e di un’alternativa a Gazprom, l’Azerbaijan si è inserito nel contesto europeo presentandosi come solido surrogato del carburante di Putin, cristallizzando al contempo le proprie relazioni bilaterali con l’Unione in un Memorandum of Understanding su un partenariato strategico in campo energetico.[10] Ciononostante, la condanna del Parlamento Europeo per gli attacchi di Aliyev contro i territori sovrani dell’Armenia non ha tardato ad arrivare.[11] Resta però ancora aperta la questione di una futura posizione dell’UE nell’eventualità di un’ escalation militare, che la vedrebbe divisa tra il rispetto del principio internazionalmente riconosciuto della sovranità territoriale e la necessità di energia anche per la stabilità delle sue stesse istituzioni.
Note
[1]Statement of the Ministry of Defence of the Republic of Armenia, 13 settembre 2022. https://www.mil.am/en/news/11009.
[2] Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Azerbaijan, No:404/22, Commentary of the Press Service Department of the Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Azerbaijan, 14 settembre 2022. https://www.mfa.gov.az/en/news/no40422.
[3]Azerbaijan and Armenia agree to a ceasefire, Trend reports, Tass, 13 settembre 2022. https://tass.com/world/1506583.
[4] Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Armenia, 13 settembre 2022. https://www.mfa.am/en/press-releases/2022/09/13/csto_1/11599.
[5] An extraordinary session of the CSTO Permanent Council took place, 13 settembre 2022. Disponibile al link: https://radar.am/en/news/social-2526139473/. Per maggiori approfondimenti: https://www.specialeurasia.com/it/2022/09/13/azerbaijan-armenia-caucasus/.
[6] Armenia, Azerbaijan and Russia sign Nagorno-Karabakh peace deal, BBC, 10 novembre 2020. https://www.bbc.com/news/world-europe-54882564.
[7] Armenia-Azerbaijan: escalation pericolosa, ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/armenia-azerbaigian-escalation-pericolosa-36135.
[8] Türkiye, Azerbaijan to hold joint military exercises, 3 settembre 2022. https://www.aa.com.tr/en/turkiye/turkiye-azerbaijan-to-hold-joint-military-exercises/2675732#.
[9] Ibid.
[10]EU and Azerbaijan enhance bilateral relations, including energy cooperation, 18 luglio 2022. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_22_4550.
[11] Statement by the Chair of the Delegation for relations with the South Caucasus, MEP Marina KALJURAND, on the military aggression of Azerbaijan against the Republic of Armenia, 13 settembre 2022.https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/253919/20220913_Azerbaijani%20military%20aggression_statement.pdf.
Foto copertina: In this image taken from video released by the Armenian Defense Ministry on Wednesday, Sept. 30, 2020, Armenian solders guard their position in the self-proclaimed Republic of Nagorno-Karabakh, Azerbaijan. Armenia’s Foreign Ministry in a statement “completely” denied reports of shelling the Dashkesan region and said that with those reports Azerbaijan was laying the groundwork for “expanding the geography of hostilities, including the aggression against the Republic of Armenia.” (Armenian Defense Ministry via AP)