Bosnia 2022: venti di crisi


Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sull’Ucraina, un altro paese rischia di trasformarsi nel prossimo fronte caldo per la stabilità europea: la Bosnia, nata dalle ceneri della dissoluzione della Jugoslavia, sembra affrontare, nuovamente, gravi minacce per la sua integrità che arrivano sia dall’interno che dall’esterno.


Sono trascorsi trent’anni dallo scoppio della guerra in Bosnia che ha devastato il paese balcanico dall’aprile 1992 al dicembre 1995 e quella che è l’odierna struttura istituzionale del paese deriva direttamente dagli accordi di Dayton, firmati il 21 novembre 1995 dai rappresentanti dei tre gruppi etnici che si erano affrontati in conflitto, Slobodan Milošević, Franjo Tuđman e Alija Izetbegović.
Il trattato di pace aveva l’obiettivo non soltanto di mettere un punto ai massacri che si erano succeduti durante i tre anni di guerra, ma anche cercare di stabilizzare la Bosnia incoraggiando la ricostruzione di un dialogo interetnico. In questo quadro si è previsto anche un forte impegno della comunità internazionale, presente sia sul campo per mezzo di una forza di peacekeeping, sia attraverso l’ufficio dell’Alto rappresentante per la Bosnia[1]. La Bosnia è un paese federale in cui il potere centrale risulta molto debole di fronte alle entità che lo costituiscono: da un lato la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza croata e bosgnacca, e, dall’altro, la Repubblica Serba di Bosnia, a maggioranza serba. Sia per quanto riguarda la rappresentanza all’interno delle istituzioni centrali, sia per ciò che concerne l’adozione delle decisioni, a Dayton si è seguita la strada di riconoscere ai tre popoli costitutivi il medesimo peso.
Questo tipo di soluzione, che avrebbe dovuto garantire un dialogo proficuo tra le etnie e alla lunga permettere la nascita di un sentimento di appartenenza comune, con gli anni si è invece dimostrato deleterio per il funzionamento complessivo delle istituzioni. Basti pensare alla procedura prevista nel caso in cui un atto in discussione sia ritenuto lesivo degli interessi vitali di uno dei popoli costitutivi. In questo caso è prevista l’apertura di una procedura negoziale complessa volta a risolvere la questione.
Tuttavia, la vaghezza della norma ha fatto sì che la Corte Costituzionale, che rappresenta l’ultimo step della procedura, sia stata investita di una grande responsabilità, in quanto deve esprimere una valutazione in merito[2]. La prassi, tuttavia, ha fatto sì che, l’interesse vitale, da elemento di garanzia posto a tutela dei diritti dei popoli, sia diventato uno strumento di paralisi del sistema istituzionale.
A tutto questo si affianca anche la presenza di un sistema politico che si caratterizza per la presenza di partiti politici divisi su base etnica, non permettendo in questo modo a partiti veramente nazionali di affermarsi alle elezioni.
In questo complesso quadro politico-istituzionale si è rivelato fondamentale l’ufficio dell’Alto Rappresentante. Previsto all’interno del decimo allegato degli accordi di Dayton, ha molto spesso sopperito alle inerzie del sistema costituzionale. Sin da subito, nell’ambito della conferenza internazionale volta all’attuazione degli accordi di pace, l’Alto Rappresentante è stato dotato dei così detti “poteri di Bonn”[3] che gli permettono di implementare l’accordo di Dayton e salvaguardare la costituzione della Bosnia ed Erzegovina. L’interventismo dell’Alto Rappresentante se da un lato ha permesso in un certo qual modo di consolidare lo stato bosniaco, ha sicuramente aggravato le gravi criticità del sistema di Dayton.

Il futuro dei Balcani occidentali: il non-paper fantasma

Gli ultimi anni hanno destato molta preoccupazione per la tenuta della Bosnia come stato unitario. In particolare, lo scorso anno ha fatto molto scalpore la pubblicazione da parte di un sito di informazione sloveno di un non paper sui confini dei Balcani occidentali, che sarebbe stato anche inviato al Presidente del Consiglio europeo Michel. Il documento predisporrebbe una revisione dei confini di Bosnia, Serbia, Croazia, Albania e Macedonia del Nord.
In particolare, la Bosnia vedrebbe il proprio territorio spartito tra Croazia, che incamererebbe i cantoni croati della Federazione di Bosnia, e Serbia, che annetterebbe la Repubblica Srpska. Inoltre, il Kosovo verrebbe annesso dalla vicina Albania così come parti della Macedonia del Nord, andando a formare quella “Grande Albania” da sempre il sogno degli irredentisti di Tirana.
A ben vedere, però si tratta di una proposta che era stata valutata già alla fine della guerra in Jugoslavia, ma successivamente scartata perché avrebbe sostanzialmente favorito gli aggressori.
La mano che avrebbe prodotto i due documenti non è stata individuata con sicurezza, tuttavia, indiscrezioni di stampa la individuano nell’ufficio del Primo ministro sloveno, Janez Janša, che però non ha confermato né smentito tali voci.
Sullo stesso tema sembra si fosse esposto nel marzo 2021 anche il Presidente sloveno Pahor, il quale, durante incontri informali con la presidenza bosniaca, avrebbe sondato la possibilità di una ridefinizione dei confini del paese.
Trattandosi di un testo ufficiale, ancorché informale, l’impressione che si rischia di comunicare è che vi sia un effettivo dibattito sul tema all’interno dei governi europei, il che rischia di legittimare allo stesso tempo quelle idee revisioniste che erano state appannaggio di pochi gruppi reazionari.

Il 2022 anno della secessione?

L’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina ha fatto sì che la notizia del rafforzamento del contingente EUFOR[4] non fosse notata. La decisione, di carattere precauzionale in virtù del deterioramento della situazione interna e internazionale, è una risposta dell’UE ad un periodo di progressiva destabilizzazione della Bosnia che, come ha sottolineato nel novembre del 2021 il nuovo Alto Rappresentante Christian Schmidt, sta vivendo una vera minaccia alla propria esistenza.
A partire dallo scorso anno infatti, Milorad Dodik, l’esponente serbo della presidenza bosniaca tripartita, ha moltiplicato gli attacchi contro lo stato centrale, minacciando l’uscita dalle istituzioni comuni della repubblica Srpska e infine la secessione. La partita bosniaca vede un ruolo di primo piano della Russia di Putin, che ha come obiettivo quello di tenere fuori il paese balcanico dalla NATO. Per perseguire questo fine è molto probabile che il Cremlino continuerà a sostenere Dodik nelle sue richieste, ma è difficile pensare, tuttavia non del tutto escludibile, che possa diventare la causa scatenante di una nuova spirale di violenza.
La NATO è cosciente della pericolosità della situazione e di come la Bosnia possa rappresentare il prossimo palco in cui andrà in scena lo scontro con la Russia.

Conclusioni

La scacchiera balcanica sulla quale da sempre si sono giocati i destini dell’Europa, oggi sembra nuovamente di fronte ad una grave crisi.
È plausibile che le minacce di secessione di Dodik continueranno nel breve tempo. Stati Uniti e Unione Europea devono riprendere coscienza dell’importanza che riveste la stabilizzazione bosniaca, sia nella prospettiva di un confronto con Mosca, sia al fine di evitare che un processo di secessione non controllato e lasciato a sé stesso possa portare infine ad un nuovo scoppio di violenza come quello degli anni ’90.  Infine è necessario ripensare totalmente a come funziona il sistema istituzionale bosniaco. Il quadro delineato a Dayton infatti aveva lo scopo di fermare il massacro e non di mettere in piedi uno stato funzionante così come anche sottolineato dalla Commissione di Venezia nel 2006[5].


Note

[1] Previsto all’interno degli accordi di Dayton ha il compito di supervisionare l’implementazione del contenuto del trattato. Presiede il Peace Implementation Council nel quale siedono tutti i paesi coinvolti nel processo di pace.
[2] Montanari L., (2019) La complessa soluzione istituzionale adottata in Bosnia ed Erzegovina: finalità ed effetti nel passare del tempo, Eurac Researches, www.eurac.edu/edap
[3] Nel dicembre 1997 il Peace Implementation Council (PIC) ha deciso di assegnare maggiori poteri all’Alto Rappresentante al fine di garantire un’applicazione degli accordi senza ritardi dovuti ai politici locali.
[4] Chiamato Operazione Althea, ha sostituito la missione NATO a partire dal 2004 ed ha il fine di controllare l’implementazione delle clausole militari dell’accordo di Dayton.
[5] European Commission for Democracy through Law (Venice Commission), Preliminary opinion on the draft amendments to the Constitution of Bosnia and Herzegovina, 7 April 2006, CDL (2006)027, p.t 6 Venice Commission :: Council of Europe (coe.int)


Foto copertina: Guardia d’onore delle forze di polizia della Republika Srpska alla parata del 9 gennaio a Banja Luka. Foto: BIRN.