Il Caucaso è una delle aree di maggior rilievo strategico nel mondo contemporaneo. Una zona di confine tra il mondo europeo e quello mediorientale, tra lo spazio russo e la Turchia. Per comprenderne le dinamiche ne parliamo con Aldo Ferrari
Il Caucaso è un’area di frontiera storico-culturale tra Europa e asia, tra cristianesimo e islam, ma anche di contrapposizioni geopolitiche e strategiche tra Russia, Turchia Iran e recentemente anche la nato. la frammentazione etnica ha posto le basi per tanti punti di instabilità, per comprenderne le dinamiche ne parliamo con Aldo Ferrari che insegna lingua e letteratura armena, storia del Caucaso, e storia della cultura russa presso l’’Università Ca’ Foscari di Venezia. per l’Ispi di Milano dirige i programmi di ricerca su Russia, Caucaso e asia centrale. Presidente dell’asiac. Collaboratore di Limes e autore, tra gli altri, di breve storia del Caucaso
Il 16 marzo del 2021 si è celebrato il centenario dell’accordo di Mosca tra Urss e Turchia. In questi cent’anni tante cose sono cambiate, ma quanto vale oggi il Caucaso per la Russia e per la Turchia? E come la loro presenza è vissuta da Armenia, Azerbaijan e Georgia?
Il Caucaso è un luogo geografico, politico e culturale importante per la Russia. Ma ciò che è accaduto dopo il 1991, cioè che il Caucaso del nord è rimasto all’interno della Federazione Russa mentre il sud sia divenuto indipendente con la nascita delle tre repubbliche Armenia, Georgia e Azerbaijan, ha modificato radicalmente il contesto. Resta importante per Mosca, così come gli altri spazi ex-sovietici considerati dalla Russia come “estero vicino” cioè zone in cui si sente in diritto-dovere di intervenire a difesa sia dei propri connazionali che ancora vivono in queste repubbliche, sia per difendere i propri interessi strategici.
Il Caucaso meridionale è un luogo tanto importante quanto instabile.
A questo si aggiunge la vicinanza con la Turchia, erede di quell’Impero Ottomano che con la Persia Safaride, nei secoli prima della conquista russa del Caucaso, aveva esercitato nella regione un influenza notevole.
Nella fase Post-Sovietica, la Russia è stato l’unico attore importante nella regione in virtù della presenza dell’alleato armeno, quasi costretto ad avere un rapporto di dipendenza di sicurezza con Mosca, e poi perché negli anni’90 la Russia ha avuto la possibilità di dislocare le proprie truppe in Ossezia meridionale e in Abcasia in seguito al dispiegamento di Peacekeeper per separare i georgiani da osseti e abcasi. Ma dopo l’impegno turco nella guerra nel Nagorno-Karabakh a sostegno dell’Azerbaigian, la Russia non può essere considerato l’unico paese influente nella regione. La Turchia ha creato un rapporto di alleanza strategica con Baku e questo aspetto non può essere sottovalutato.
Potrebbe interessarti:
- Leggi tutti gli articoli sul Caucaso
- Abcasia: un conflitto “congelato”
- Non solo il Nagorno-Karabakh: i movimenti separatisti in Georgia
Lo scorso 14 gennaio delegati dell’Armenia e dalla Turchia si sono incontrati a Mosca per avviare i negoziati sulla normalizzazione delle relazioni. Gesto conseguente alla decisione armena di porre fine al divieto di importazione turca. Cosa sta accadendo?
La normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Turchia non è la prima volta che viene tentata. Già nei primissimi anni ’90 la Turchia riconobbe subito l’Armenia indipendente, e nei primi anni ci furono dei rapporti che possiamo considerare tutto sommato cordiali se consideriamo che da una parte c’era l’erede dell’Impero Ottomano che aveva compiuto i massacri del 1915, e dall’altro quel poco che è rimasto dell’Armenia storica. La frontiera fu chiusa unilateralmente dalla Turchia quando nella guerra del Karabakh del 1994, l’Armenia stava vincendo. Una soluzione che inflisse un grave colpo ad un paese piccolo, con poche risorse e geograficamente bloccata sia ad oriente che ad occidente. Un colpo anche per il turismo, buona parte dell’Armenia storica è rimasta in Turchia orientale. Un’eventuale riapertura, da questo punto di vista potrebbe giovare entrambi gli Stati.
Un altro tentativo di normalizzare i rapporti si è avuto nel 2010 con la diplomazia del calcio, quando alcune delegazioni parteciparono ad alcuni incontri di calcio tra le due nazioni[1] e furono firmati anche dei protocolli d’intesa mai ratificati dai rispettivi parlamenti. Ora si tenta per la terza volta con Mosca come patrono. Questa situazione non deve sorprenderci più di tanto, la Russia ha l’Armenia come storico alleato e con la Turchia un rapporto di amore-odio, sono su fronti opposti in tanti scenari: dallo stesso Caucaso alla Libia e alla Siria, ma nonostante ciò i due paesi riescono ad avere rapporti positivi e cooperazione economica e anche sulla base di una logica che noi Occidentali, abituati alla logica di contrapposizione tra l’aspetto idealistico della politica (democrazia) e comportamenti anche brutali di alcuni di questi paesi (Stati Uniti, Francia) nel portare a compimento i proprio obiettivi strategici. Paesi come la Turchia e la Russia hanno invece rapporti che prescindono dall’aspetto ideale, dalla democrazia, dalle libertà, è solo una questione di Realpolitik e anche laddove ci sono interessi divergenti e opposti si trova il modo di far conciliare gli interessi per un accordo. Un approccio completamente diverso nel rapporto tra Occidente e Russia, dove l’Occidente maschera i propri interessi mettendo davanti la propria interpretazione del diritto internazionale, la Russia non lo fa e parla semplicemente dei propri interessi. Questa diversità di linguaggio e approccio è alla base dei conflitti che vediamo riesplodere in questi giorni.
Lo scorso anno è scoppiata una nuova guerra tra Armenia e Azerbaijan per la questione del Nagorno-Karabakh. Crede possa arrivare ad una soluzione condivisa tra i due Stati e che ruolo gioca la propaganda culturale e storiografica portata avanti dalle due parti nella narrazione di questa vicenda
La situazione è molto complicata, e non ci sono tanti motivi per essere ottimisti. Nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan, secondo la mia opinione, fermo restante che non esistono situazione in cui un paese ha completamente torto o ragione, gli armeni abbiano dal punto di vista storico-culturale “più ragione” degli azeri. Il Karabakh è prima ancora dell’insediamento turco nella regione, un territorio armeno. A dimostrarlo sono le pietre, le chiese, le croci, fortezze presenti nella regione. Sulla base di dati che non sono armeni, ma della scienza internazionale. E da questo punto di vista hanno più ragione gli armeni. Ma va detto che ne hanno anche un po’ gli azeri. Alla fine della seconda metà del ‘700 si crea un Khanato[2] turco che possiamo definire azero anche se come gli azeri in senso stretto verranno dopo. Facendo un passo avanti, la decisione più corretta negli anni ’20 avrebbe dovuto dare il Karabakh alla repubblica armena e non a quella azerbaigiana. La scelta, che fu attribuita a Stalin ma sarebbe più coretto dire che fu una decisione presa dall’apparato sovietico, di dare questo territorio all’Azerbaijan non è un mistero ma va compresa nella logica sovietica. I due popoli turchi, che chiameremo azeri e armeni, vivevano insieme in quei territori pacificamente da secoli. Negli anni ’20 c’erano tre regioni nelle quali gli abitanti erano veramente mescolati: l’attuale Nachičevan, l’attuale Karabakh e un territorio chiamato Zangezur e che ora si chiama Syunik, e dopo che in questi territori c’erano stati grandi massacri, le autorità sovietiche decisero che due di questi territori (Nachičevan e Karabakh) andassero all’Azerbaijan e uno (Zangezur) all’Armenia. Una soluzione che in futuro si rivelerà più favorevole all’Azerbaijan ma in quel momento fu presa perché, mentre gli armeni si erano dimostrati già fedeli all’Urss[3], gli azeri lo erano assai meno, oltretutto mancava del tutto una élite comunista e con questa mossa si cercò di avvicinare non solo gli azeri ma anche i turchi della neo-repubblica kemalista. Detto questo, gli armeni sono riusciti a vincere fortunosamente la guerra negli anni ’90 pur essendo nettamente inferiori. Determinante fu la motivazione, gli armeni del Karabakh combattevano per difendere la casa, a differenza degli azeri che erano meno addestrati e forse meno motivati. La vittoria fu un evento eccezionale, del tutto casuale e irripetibile, ma gli armeni questo non l’hanno capito. Davide può battere Golia solo una volta. Il più grande errore armeno è stato quello di cullarsi su un mito dell’invincibilità completamente fasullo, direi inconsistente vista la sproporzione demografica ed economica diventata abissale negli ultimi anni. Gli armeni avevano anche occupato 7 distretti che appartenevano agli azeri. Considerando la sproporzione di forze, una soluzione razionale sarebbe stata quella di trovare un compromesso sulla base della restituzione dei territori occupati in cambio di una forma di indipendenza de facto del Karabakh con la presenza russa a fare da garante. Questo non è avvenuto. E quando nel 2020 è scoppiato il nuovo conflitto, la forza dell’Azerbaijan è stata dirompente.
Le forniture militari, pensiamo ai droni turchi e israeliani, hanno dato a Baku oltre al vantaggio numerico anche quello tecnologico-militare e sfruttando abilmente il momento favorevole hanno attaccato. La leadership armena invece si è dimostrata completamente inadeguata dal punto di vista politico e militare. Ora ci sono solo due soluzioni: quello che resta del Karabakh come una ex-clave armena protetta dalla Russia, oppure la liquidazione di ciò che resta della presenza armena in Karabakh.
Il tema della propaganda è molto complesso, da parte dell’Azerbaijan si afferma che gli armeni sono molto più bravi in questo campo. Io sono un armenista, ma non posso non affermare che l’Azerbaijan è guidato in maniera molto più efficace. In Italia esiste una vasta e importante diaspora armena, non tanto dal punto di vista numerico ma quanto dal punto di vista culturale ed economico. E mentre il rapporto tra Italia e Armenia si basa su una consuetudine culturale molto forte, l’Azerbaijan non ha nulla di tutto questo, non c’è una diaspora azera in Italia, e l’unico modo per avere voci favorevoli è sostanzialmente finanziare una narrativa pro-Azerbaijan.
Nel conflitto recente, la “guerra” della propaganda è stata nettamente vinta da Baku. E’ vero che gruppi di armeni e armenisti in Italia hanno appoggiato l’Armenia con un supporto intellettuale, ma è stata molto più incisiva la propaganda azera che ha influenzato il racconto portato avanti da giornali e telegiornali. E’ una mia sensazione, ma credo che le veline azere arrivassero direttamente nelle redazioni di giornalisti, probabilmente inconsapevoli di ciò che poi avrebbero riportato e la copertura mediatica non è riuscita nemmeno ad ammettere l’assurdità della versione azera che ad iniziare il conflitto sia stata l’Armenia. Quindi si l’Azerbaijan ha vinto anche la guerra della propaganda.
Caucaso del Nord la Cecenia e il Daghestan sono stati per tanto tempo una spina nel fianco di Mosca. Ci potrebbe descrivere la situazione attuale?
Se ne parla poco perché la nostra informazione si concentra su altri aspetti. Provando a dare un quadro molto rapido, la Cecenia si trova in una situazione delicata, epicentro della crisi post-sovietica, indipendente de facto dal 1991 al 1999, riportata sotto la Russia dall’azione dura ed efficace di Putin. Una mossa è stata quella di affidare la repressione della componente separatista e degli elementi radicali islamici non all’esercito russo ma a leader e forze cecene locali, che sono stata responsabili della repressione interna, e che ha visto i Kadyrov (padre[4] e figlio[5]) come punto del compromesso: stabilità in cambio di soldi e finanziamenti. Soldi che hanno permesso oggi alla Cecenia di avere una situazione “migliore” rispetto alla altre repubbliche circostanti. C’è pero in Cecenia agli occhi di Mosca un problema particolare. Kadyrov rappresenta un unicum nella federazione russa, rappresenta cioè un leader a vita e ciò può costituire un precedente poco gradevole per il Cremlino che desidererebbe di evirare questo genere di situazioni, ma al momento non piò fare altrimenti.
Certo che la capacità aggregativa di Kadyrov è limitata, rappresenta infatti un leader molto ricco ma un po’ distante e per questo poco amato dalla popolazione. Il Daghestan resta instabile con omicidi, rapimenti, attentati, forze jihadiste, contrapposizioni etnico-tribali, insomma non se la passano molto bene.
Abcasia e Ossezia da Mosca sono riconosciuti come Stati indipendenti, la Georgia e la Comunità internazionali come “territori occupati”. Possiamo fare un po’ di chiarezza?
Sono due casi un po’ diversi, l’Ossezia meridionale fa parte di un Ossezia più grande e cioè della repubblica autonoma dell’Ossezia del nord. L’Abcasia rappresenta un unicum. Prima della guerra gli abcasi erano il 20% della popolazione anche se non ci sono dati certi, ma al tempo stesso ha una posizione geografica ed alcune risorse turistiche e strategiche che oggi la rendono quasi uno Stato, almeno in prospettiva.
Questi territori resteranno come oggi un punto forte della Russia. Con la mossa di concedere i passaporti russi agli abcasi, Mosca ha la possibiltà di restare per tanto tempo nella regione. Esiste una certa instabilità in politica interna, ma grazie al rapporto fortissimo con la Russia la situazione non può essere messa in discussione. Una stabilità soddisfacente per alcuni, ma non certamente per la Georgia. Una situazione se vogliamo anche triste, ma dobbiamo considerare che se Abcasia e Ossezia hanno portato avanti la strada secessionistica nei primi anni ’90, è stato soprattutto per reazione ai tentativi georgiani di limitare le autonomie ricevute in epoca sovietica. Come se noi in Italia decidessimo di privare l’Alto Adige delle autonomie costituzioni, le reazioni dell’Alto Adige non sarebbero tanto diverse. Quando si parla di questi conflitti bisogna tener conto di molti aspetti del ruolo della Russia ma anche delle responsabilità della Georgia.
Per arrivare ad un riconoscimento dell’indipendenza di questi due paesi la strada è lunga?
Non credo ci si possa arrivare. Il riconoscimento internazionale di secessioni sono rarissimi e avvengono solo se gli Stati Uniti sono favorevoli. Non è una legge
scritta, ma anche nel caso del Kosovo il riconoscimento non è stato completo, Russia, Romania e Spagna non l’hanno riconosciuto come Stato indipendente.
Un riconoscimento futuro come quello kosovaro non è prevedibile tanto per l’Abcasia quanto per l’Ossezia, dovrebbe cambiare tutto il panorama politico internazionale e non credo che avverrà.
Crede possibile l’ingresso della Georgia nella NATO e nell’Ue?
Nel breve periodo non è prevedibile. Al di là della posizione russa, la NATO da statuto non può accettare paesi che hanno questioni territoriali aperte sul proprio territorio e quindi né la Georgia (Ossezia del Sud e Abcasia) né tantomeno l’Ucraina (Donbass e Crimea) hanno i requisiti per poterne far parte. Però forse Mosca si sta concentrando un po’ troppo sull’ingresso formale, perché di fatto Georgia e Ucraina stanno sempre all’interno dell’orbita occidentale per situazioni legate alla strategia e ai rifornimenti militari, di fatto vengono armate dalla NATO.
Gli Stati Uniti sono pronti a morire per Kiev?
Gli Stati Uniti avrebbero dovuto “mollare” l’Ucraina da molto tempo. Il rischio di una guerra e di conseguenza spingere la Russia verso la Cina sarebbe davvero pericoloso. Aver preso le parti dell’Ucraina cosi frettolosamente, l’aver espulso la Russia dal G8, l’aver imposto sanzioni dure e aver provato a delegittimare Mosca, ha spinto tantissimo la Russia nelle mani della Cina. Forse non ci sarà mai un’alleanza formale tra i due paesi per mille motivi, ma al momento i russi sono costretti a guardare verso Pechino. L’Occidente ha un grosso problema, la proclamazione di ideali astratti slegati dalla realpolitik, mi chiedo, ma se il Messico decidesse di entrare nell’orbita russa lo potrebbe fare senza problemi? Io credo di no.
C’è un tale contrasto tra ideali proclamati e prassi politica che fa pensare. Dov’era il diritto internazionale quando Usa e GB hanno invaso e distrutto l’Iraq nel 2003?
In Kazakistan è avvenuto un tentativo di guerra ibrida?
La categoria guerra ibrida mi lascia qualche perplessità, è un etichetta giornalistica, nulla di nuovo. In Kazakistan c’è stata una crisi interna cavalcata da una parte dell’élite scontenta della ripartizione delle risorse. La rivolta è stata repressa con l’aiuto con il CSTO[6] che è intervenuto per la prima volta.
Nella motivazione per giustificare l’intervento si è fatto riferimento ad elementi esterni che però non sono stati dimostrati. Ma il CSTO non è intervenuto non tanto nella guerra nel Nagorno-Karabakh che giuridicamente fa parte dell’Azerbaijan, ma quando gli azeri sono penetrati in Armenia per 40km. La richiesta armena fu negata minimizzando l’accaduto, evidentemente i rapporti tra Baku-Mosca sono così buoni che non era il caso di intervenire.
Quindi non si è trattato di un tentativo di Rivoluzione colorata…
Le giovani generazioni sono diverse da quelle dei padri e dei nonni, i giovani kazaki che studiano all’estero, pretendono maggiori libertà. Motivazioni che potenzialmente avrebbe potuto portare ad una rivoluzione colorata, ma ciò non è avvenuto. La categoria Rivoluzione Colorata in realtà è molto comoda per Mosca per affermare che dietro la rivolta ci siano Stati stranieri e quindi legittimare l’intervento del CSTO.
La verità è che le società cambiano, oggi l’Ucraina è davvero più occidentale di 30 anni fa, quelle centroasiatiche fanno più fatica, sono più isolate. Anche in Armenia le giovani generazioni sono molto meno filorusse e guardano molto all’Europa e agli Usa e subiscono le dinamiche geopolitiche che legano Erevan a Mosca. E nel governo di Pashinyan molti guardano ad Occidente. Cosa che a Mosca non sfugge.
Note
[1] Il riferimento è alle gare di qualificazioni ai mondiali di calcio in Sudafrica nel 2010. Turchia ed Armenia furono inserite nel gruppo 5 del raggruppamento europeo. La partita di andata si giocò ad Erevan il 6 settembre 2008 (risultato 0-2), il ritorno a Bursa il 14 ottobre 2009 (risultato 2-0 sempre per i turchi). Il presidente armeno è Serzh Sargsyan e il suo omologo turco Abdullah Gül erano seduti insieme a guardare entrambe le partite.
[2] Il Khanato è un territorio governato da un Khan, il Khanati del Karabakh fu un canato semi indipendente istituito dai persiani intorno al 1750 nel territorio corrispondente grosso modo all’attuale repubblica del Nagorno Karabakh ma comprendente anche aree adiacenti oggi situate in Armenia ed Azerbaigian. Nel 1805 il Trattato di Kurakchay, meglio conosciuto come trattato russo-karabakho, siglato dal comandante militare russo nel Caucaso Pavel Tsitsianov e dal Khan Ibrahim Khalil, fece del territorio un protettorato russo.
[3] Nel dicembre 1920 l’esercito sovietico fermò quello ottomano in Armeno.
[4] Achmat Abdulchamidovič Kadyrov è stato un paramilitare e Gran Muftī della Repubblica cecena di Ichkeria durante e dopo la prima guerra cecena e Presidente della Cecenia in seguito alla seconda guerra cecena.
[5] Ramzan Akhmatovič Kadyrov è un politico, militare e dirigente sportivo russo di etnia cecena, capo paramilitare della Cecenia, attuale presidente della Repubblica Cecena e presidente della squadra di calcio dell’Achmat Grozny
[6] L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva Организация Договора о коллективной безопасности. Ne fanno parte: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan.
Foto copertina: Narikala è un’antica fortezza della Georgia che domina la capitale Tbilisi ed il fiume Kura. Wikipedia