Ci scusiamo per il disagio ma questa è una rivoluzione: il movimento zapatista in Chiapas

Two women delegates of the zapatistas stand outside a store named La Zapatista before meetings between the rebel group and representatives of the government 09 May 1999 in La Realidad. AFP PHOTO/Jorge SILVA

Quando l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN d’ora in poi) esce dalla giungla, praticamente nessuno conosce questo gruppo, per cosa si batta o chi rappresenti. Questo principalmente perchè l’EZLN è formato dai “dimenticabili”, la popolazione indigena del Messico.


 

 

Il primo di gennaio del 1994 un gruppo di guerriglia armata composto da uomini e donne occupò il villaggio di San Cristóbal de las Casas, Chiapas.
La città era piena di turisti, giornalisti e gente confusa che non sapeva bene cosa pensare della situazione.
Lo scrittore Tello Diaz riporta la scena di persone impegnate a litigare, guide turistiche che insistono che devono continuare il loro viaggio verso le rovine di Palenque e turisti che si domandano se riusciranno comunque a raggiungere Cancùn in macchina[1]. A quel punto, un comandante della guerriglia infastidito risponde ironicamente, “la strada per Palenque è chiusa, abbiamo preso Ocosingo. Ci scusiamo per il disagio ma questa è una rivoluzione”[2].
Quando l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN d’ora in poi) esce dalla giungla, praticamente nessuno conosce questo gruppo, per cosa si batta o chi rappresenti. Questo principalmente perchè l’EZLN è formato dai “dimenticabili”, la popolazione indigena del Messico.
La popolazione di campesinos del Chiapas discende prevalentemente dalla civiltà precolombiana dei Maya[3] e “non c’è nessuna delicatezza nel modo in cui è stato detto che non c’è posto per loro in un mondo postmoderno”[4]. Mentre San Cristóbal e altre 13 città vengono occupate, il Messico sta esplodendo sul mercato globale, presentandosi come “il bambino d’oro del neoliberalismo”[5]. Un paese sopravvissuto alla crisi economica degli anni ‘80 e all’impiego di misure di austerity draconiane, in quel primo di gennaio 1994 entra nel North American Trade Agreement (NAFTA) sotto il governo del presidente Carlos Salinas de Gotari. Con precisione cronometrica, l’EZLN scegli quella stessa data per disturbare la retorica ufficiale del “miracolo messicano” e per mostrare al mondo l’altra faccia del Messico. Era quella di donne e uomini indigeni che vedono nel NAFTA un altro mezzo per togliere loro ancora più diritti e dimenticarsi della loro presenza. Nella sua prima dichiarazione, il comitato zapatista denuncia l’incuria del governo: “a loro non importa che non abbiamo niente […] neanche un tetto sulla nostra testa, nessuna terra, nessun lavoro, nessuna assistenza sanitaria, niente cibo o istruzione, né il diritto di eleggere liberamente e democraticamente i nostri rappresentanti, né indipendenza da [stati] stranieri.”[6] Il NAFTA era, almeno simbolicamente, una delle cause principali della ribellione.
L’accordo viene denunciato per “le perdite di lavoro attese tra i contadini messicani, probabilmente messi fuori mercato dall’importazione dagli Stati Uniti di mais più economico”[7].
L’importanza data al NAFTA ha un particolare significato per la lotta zapatista: perché la rende di respiro internazionale, anticapitalista, volendo però mantenere l’importanza dell’identità indigena. Le lotte sociali, in particolare per il possesso dei terreni, non sono una novità in Messico  ,dove, tra il 1910 e il 1917, Emiliano Zapata Salazar (colui che ha ispirato il nome della rivoluzione zapatista) condusse una rivolta contadina sotto lo slogan “la tierra es de quien la trabaja[8]. I risultati della rivolta del 1910 non furono però divisi equamente. I principi di Zapata non raggiunsero il Chiapas “dove la terra e i politici continuano ad essere controllati da una cerchia di famiglie abbienti”[9]. Famiglie per lo più di origine europea che “guardano alla popolazione indigena con la tipica arroganza coloniale- come una risorsa naturale da sfruttare”[10].
In questo si vede la differenza sostanziale tra le due rivoluzioni; se quella di Emiliano Zapata poteva essere vista attraverso una lente marxista di lotta di classe, quella indigena in Chiapas è radicata in “una realtà sociale che è definita in termini etnici più che di classe”[11]

La parabola della rivoluzione zapatista sembra essere costantemente trainata da due forze contrastanti, una globalista e una particolarista. Il massacro di Tlatelolco (1968) da parte del governo messicano che uccise 300 manifestanti[12], spinse un gruppo di intellettuali dentro la giungla di Lacandona, Chiapas, dove formarono il primo nucleo che avrebbe dato vita all’EZLN ma che allora ancora si chiamava Fuerza de Liberación Nacional (FLN)[13].
Inizialmente, la loro era una struttura molto ortodossa di guerriglia marxista-leninista. La loro idea di cosa una rivoluzione dovesse essere era molto precisa: doveva essere di natura socialista, la lotta armata era essenziale e il confronto politico era da disprezzare[14]. Tuttavia, il gruppo che uscì dalla giungla dieci anni più tardi aveva poco a che fare con questa idea di rivoluzione. La risposta della popolazione indigena della Lacandona al proselitismo marxista delle FLN fu “tu palabras es muy dura, no la entendemos[15].
La presunta applicazione globale del pensiero marxista sulla riorganizzazione del sistema non aveva alcun significato per la popolazione del Chiapas. Quello che era rimasto del discorso globalista marxista, “proletari di tutti i paesi unitevi”, fu tradotto dagli zapatisti usando un discorso di identità indigena. Le ragioni dell’insurrezione erano, secondo quanto scrive il Subcomandante Marcos, “un dolore e un’umiliazione così grandi che non potevano più essere contenuti dai cuori di pochi […] la dignità era tutto ciò che ci rimaneva”[16].
Ed è proprio su questo concetto di dignità che fu fondata la chiamata transnazionale all’azione e alla solidarietà perché, come scrisse Marcos, “crediamo che questa causa non sia solo nostra. Appartiene a qualsiasi uomo o donna in ogni parte del mondo”[17]. La causa, in effetti, ha avuto risonanza globale, anche perché gli zapatisti sono stati pionieri nell’uso del web per condividere i loro comunicati e creare una rete di solidarietà internazionale. Specialmente quando il governo messicano iniziò a contrattaccare inviando 15000 truppe in Chiapas e bloccando le loro comunicazioni attraverso i media tradizionali, il web fornì uno spazio libero per continuare a guadagnare consenso internazionale[18].
Ma in questo dov’era la voce indigena?
Ad essere diventata simbolo della rivoluzione zapatista è stata la figura del Subcomandante Marcos, il guerriero mascherato con la pipa e il pugno alzato. Celebre la scelta di oscurare l’identità con un passamontagna affinché chiunque potesse identificarsi con lui, non era importante chi fosse, ciò che importava era quello per cui si batteva. Nonostante questo tentativo di anonimato inclusivo, la figura di Marcos, autore di tanti comunicati e scritti della rivoluzione, divene il simbolo della lotta indigena del Chiapas, benché Marcos fosse mestizos, e non indigeno. A tal punto arrivò l’identificazione della sua figura con il movimento che alla conclusione della marcha zapatista nel 2001, che vide ventiquattro comandanti indigeni dell’EZLN arrivare al Congresso messicano, Comandanta Esther dovette rispondere allo stupore della folla per l’assenza del Subcomandante nella delegazione. 

Il motivo della marcia non era solo simbolico. La delegazione di comandanti rappresentanti del Municipios Autónomos y Rebeldes Zapatistas (MAREZ) e quindi delle diverse etnie indigene organizzare in quelle municipalità[19], marciarono verso il Congresso per discutere la proposta Comisión para la Concordia y la Pacificación (COCOPA). L’obiettivo dietro il COCOPA era di scrivere una riforma costituzionale che includesse i diritti delle popolazioni indigene. Nonostante le premesse della marcia e del successivo confronto con il governo fossero promettenti, il risultato è stato un duro colpo per gli zapatisti.
La proposta subì dure modifiche: per esempio se inizialmente nel COCOPA le comunità indigene venivano definite come “entità di diritto pubblico”, ora diventavano “entità di interesse pubblico”[20], riportandole al loro status iniziale di invisibilità legale. Questa ultima delusione spinse gli zapatisti a ritirarsi nelle montagne chiudendo le comunicazioni con il mondo esterno. L’apertura della lotta zapatista verso la comunità internazionale aveva avuto anche ripercussioni sulle comunità indigene che vivevano con ambiguità l’esposizione al mondo esterno, preferendo usare intermediari[21].
La lotta zapatista, però, non è finita con la delusione del COCOPA. Anzi: ad oggi, la regione del Chiapas è una delle più militarizzate del Messico con 11.968 militari sul campo che regolarmente fanno incursioni in territorio zapatista[22]. Inoltre, gruppi paramilitari sono in aumento sul territorio, e uno di questi, il 22 agosto, ha incendiato due magazzini utilizzati dalle EZLN nella comunità di Cuxuljà[23].
Il livello di violenza rimane alto e costante, anche perché l’organizzazione zapatista rappresenta un’alternativa che fa paura a tutti i governi che si sono alternati dal 1994 in poi.


Note

[1] Tello Diaz, C. La Rebelion en las Cañadas, (Messico, Cal y Arena, 1995) p.16

[2] Tello Diaz, C. cita Subcomandante Insurgente Marcos in La Rebelion en las Cañadas, (Messico, Cal y Arena, 1995) p.16

[3] Stephenson, J. ‘The 1994 Zapatista Rebellion in Southern Mexico an Analysis and Assessment’, in Strategic & Combat Studies Institute Occasional Paper, n.12, 1995, p. 6

[4] Holloway, J. and Peláez, E. Zapatista! Reinventing Revolution in Mexico (London, Pluto Press, 1998) p.1

[5] Holloway, J. and Peláez, E. Zapatista! Reinventing Revolution in Mexico (London, Pluto Press, 1998) p.2

[6] General Command of the EZLN, ‘War! First declaration of the Lacandon Jungle’ in Our word is our weapon, selected writings by Subcomandante Marcos, ed. Juana Ponce de León, (London, Serpent’s Tail, 2001), p.13

[7] Stephenson, J. ‘The 1994 Zapatista Rebellion in Southern Mexico an Analysis and Assessment’, in Strategic & Combat Studies Institute Occasional Paper, n.12, 1995, p. 10

[8] “La terra è di chi la lavora”, Stephenson, J. ‘The 1994 Zapatista Rebellion in Southern Mexico an Analysis and Assessment’, in Strategic & Combat Studies Institute Occasional Paper, n.12, 1995, p. 5

[9] Stephenson, J. ‘The 1994 Zapatista Rebellion in Southern Mexico an Analysis and Assessment’, in Strategic & Combat Studies Institute Occasional Paper, n.12, 1995, p.5

[10] Stephenson, J. ‘The 1994 Zapatista Rebellion in Southern Mexico an Analysis and Assessment’, in Strategic & Combat Studies Institute Occasional Paper, n.12, 1995, p.5

[11] Berghe, K. and Maddens, B. ‘Ethnocentrism, Nationalism and Post-nationalism in the Tales of Subcomandante Marcos’, in Mexican Studies/Estudios Mexicanos, vol.20, n.1 (winter 2004), pp.123-144, p.131

[12] Mentinis, M. Zapatistas, The Chiapas Revolt and What it Means for Radical Politics, (London, Pluto Press,2006) p. 2

[13] Mentinis, M. Zapatistas, The Chiapas Revolt and What it Means for Radical Politics, (London, Pluto Press,2006) p.2

[14] Lorenzano, L. ‘Zapatismo: Recomposition of Labour, Radical Democracy and Revolutionary Project’ in Holloway, J. and Peláez, E. Zapatista! Reinventing Revolution in Mexico (London, Pluto Press, 1998) p.127

[15] “Le tue parole sono molto dure, non le capiamo”, Higgins, N.P. Understanding the Chiapas Rebellion: Modernist Visions and the Invisible Indian, (US, University of Texas Press, 2004) p. 159

[16] Subcomandante Marcos, ‘Five Hundred Years of Indigenous Resistance’ in Our word is our weapon, selected writings by Subcomandante Marcos, ed. Juana Ponce de León, (London, Serpent’s Tail, 2001), p.41

[17] Subcomandante Marcos, ‘Dignity Cannot Be Studied; You Live It or It Dies’ lettera a Eric Jauffret, in Our word is our weapon, selected writings by Subcomandante Marcos, ed. Juana Ponce de León, (London, Serpent’s Tail, 2001), p.266

[18] Cleaver, H. ‘The Zapatistas and the Electronic Fabric of Struggle’ in Holloway, J. and Peláez, E. Zapatista! Reinventing Revolution in Mexico (London, Pluto Press, 1998) p.82-83

[19] Haar van Der, G. ‘The Zapatista Uprising and the Struggle for Indigenous Autonomy’ in Revista Europea de Estudios Latinoamericanos y del Caribe, April 2004, p. 102

[20]La Jornada Perfil, Modificaciones del Senado a la Ley Cocopa: http://www.jornada.com.mx/2001/04/28/ley.html

[21]Mentinis, M. Zapatistas, The Chiapas Revolt and What it Means for Radical Politics, (London, Pluto Press,2006) p.144

[22] Camacho, Z., ‘Paramilitari e zapatisti’ da unimondo.org, 18 settembre 2020 https://www.unimondo.org/Notizie/Paramilitari-e-zapatisti-199998

[23] Navarro, L.H., ‘Se s’incendia il Chiapas’, da comune.info, 26 agosto 2020 https://comune-info.net/se-sincendia-il-chiapas/


Foto copertina:Autore: JORGE SILVA Ringraziamenti: AFP Copyright: AFP ImageForum


[vc_btn title=”Scarica Pdf” style=”classic” color=”primary” size=”lg” css_animation=”bounceIn” link=”url:http%3A%2F%2Fwww.opiniojuris.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2020%2F10%2FCi-scusiamo-per-il-disagio-ma-questa-e-una-rivoluzione-il-movimento-zapatista-in-Chiapas-Maddalena-Landi.pdf|||”]