La minaccia del CoVid-19 (e non solo) nello spazio postsovietico


Come l’emergenza pandemica si lega ad una costante e pericolosa perdita di influenza della Russia.


E’ ancora in auge, in Russia, la contagiosità propria del Covid-19. Essa rivela che la prontezza delle misure adottate dall’esecutivo di Putin si lega indissolubilmente ad una miopica ed atavica percezione dell’imperturbabilità della Repubblica Federale Russa alle minacce.
Mentre il leader di Leningrado, questo 23 giugno, richiama pubblicamente all’unità e alla speranza congratulandosi con il popolo, le sfide non si fanno attendere.

Sono più di 600000[1] i contagi totali dallo scoppio dell’epidemia all’interno dei confini della Federazione Russa. Il numero dei contagi giornalieri segue il trend in discesa ma si tratta di una quota molto alta rispetto alla media mondiale con 7176 nuovi infetti. Le sfide poste al sistema sanitario russo sono aggravate dal fatto che il numero di asintomatici è cresciuto fino a quasi il 33% dei contagi giornalieri. I decessi totali si attestano, seppur in diminuzione, oltre la quota di 8500.
La crescita esponenziale dei dati numerici, tuttavia, è storia recente: in tutte le 85 repubbliche regionali, il 7 marzo si registravano 2 contagiati mentre solo l’11 maggio il picco è stato raggiunto con 11656 contagi giornalieri[2].

Passando dal decimo al primo posto nel mondo in poco più di due mesi, il virus in Russia sottende un tasso di crescita piuttosto elevato. D’altro canto, l’OMS ha sottolineato come, data la vastità geografica della nazione come fattore territoriale fondamentale nella lotta all’epidemia, la Russia determina un bassissimo rapporto tra malati e numero di abitanti.
Nonostante questa osservazione, la curva di contagio nota come il virus ha attecchito in Russia all’incirca tanto quanto negli altri paesi europei, nonostante il lockdown imposto ai residenti sin dal 30 Marzo, particolarmente duro a Mosca e a San Pietroburgo.

Secondo i dati forniti da Morgan Stanley Index[3], al 2019 la Russia si caratterizza nell’area dei paesi centro asiatici come il mercato più stabile e sicuro, e che vede opposte le inefficienze di Ucraina e Georgia. Seppure prima dello scoppio della pandemia il tasso di crescita del PIL russo era dell’1,8%, Aprile 2020 è stato un mese significativamente regressivo: il calo dell’offerta e della domanda mondiale non ha, paradossalmente, portato i paesi dell’Opec, in particolare Arabia Saudita e Russia, a reagire al crollo della domanda, sottostimato, abbassando il tasso di produzione del petrolio. Le conseguenze non sono affatto risibili: i prezzi, hanno raggiunto rapidamente quota negativa nel mese di Aprile e uno stoccaggio costoso e ormai al di là delle capacità sistemiche. Nonostante il compromesso raggiunto il 12 Aprile tra i principali produttori, i mercati russi si stabilizzerebbero solo fra Luglio e Agosto dato che la Russia è il paese chiamato ad apportare i maggiori tagli.
Il duplice shock ha senz’altro impattato sulla produzione e sull’esportazione del gas russo, e si somma ad una crisi più profonda operata dalle sanzioni economiche dell’U.E. con cui la Russia fa i suoi conti in bilancio (ed anche al Ministero degli Esteri) sin dall’intervento indiretto in Ucraina e quello diretto in Crimea nel 2014. Gli economisti prevedono una recessione del 16% del PIL nazionale, di cui un terzo deriverebbe dalla guerra dei prezzi, e due terzi dalle misure di quarantena[4].

In merito ai rapporti con le periferie, una recessione potrebbe compromettere la già difficile relazione fra minoranze etniche e governo locale e federale. In questi mesi non sono mancate manifestazioni in cui trasparenza, democrazia, diritti economici e sociali sono stati richiesti a gran voce, come in Dagestan o in Cecenia, dove il clima di terrore fomentato dal leader Kadyrov e le repressioni specie contro la comunità LGBT+, non si sono interrotti[5]. Ci chiediamo, dunque, se l’autonomia donata da Putin alle regioni federate per gestire l’intera situazione emergenziale, possa rappresentare una regressione o una evoluzione in senso emancipatorio dei rapporti con la leadership accentrata sul duplice piano regionale e federale e quale ruolo possa avere in tutto ciò la difficile situazione economica.

 

La leadership russa tra sogno e realtà.

Sin dalla caduta dell’URSS le relazioni fra l’ex impero russo e gli stati post-sovietici si rivela disomogenea: oggi osserviamo due tendenze sovrapposte. La nascita della Comunità di Stati Indipendenti (CSI) nel 1991 in seno a uno spirito di rinnovamento economico e commerciale sul modello dell’integrazione europea, seppur connaturata della duplice portata sentimentalistica tipica del connubio fine-inizio di un’era, si è dimostrata inefficiente. Al contrario, questo slancio economico tutto nuovo può essersi scontrato con una realtà di dipendenza economica ed influenza culturale, etnica, religiosa e linguistica che hanno legato per secoli i popoli post-sovietici alla madre russa.
Nella CSI, che raggruppava ai suoi albori la Federazione Russa, Ucraina e Bielorussia, Moldavia, Armenia, Azerbaijan, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan (ora membro associato), Kyrgyzstan e Tajikistan, è stata Mosca a decidere de facto sullo sviluppo dei rapporti nell’area ed a intraprendere numerosi accordi bilaterali o multilaterali su base geografica ristretta. Nel tentativo inaspettato di limitare l’influenza russa, in seguito, le cinque repubbliche centro-asiatiche con Azerbaijan e Afghanistan, si sono unite all’ Economic Cooperation Organisation di Iran, Pakistan e Turchia, e allo stesso tempo Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbaijan e Moldavia istituivano il GUUAM rimpiazzando l’Unione Economica Centro Asiatica del 1991 e suoi fallimentari risultati. L’indeterminatezza degli sforzi di cooperazione ed integrazione economica ha consentito al gigante russo a immettersi nelle vicende regionali con la creazione della Comunità Economica Eurasiatica, i cui successi hanno presto spinto due dei paesi più grandi dell’area nonché grandi esportatori, Bielorussia e Kazakhstan, a istituire nel 2015 l’Unione Economica Eurasiatica con la Russia[6]. Queste mosse sono senz’altro frutto dell’imperante forza della PEV (Politica Economica di Vicinato) promossa dall’esecutivo europeo, forte dei successi ottenuti nel 2014 conquistando la fedeltà di Romania e Bulgaria.
I leader europei non avevano mancato di protendere verso un’estensione dell’Unione fino a Mosca e lo stesso Putin non ne ha preso immediatamente le distanze. Questo si è verificato in seguito, determinando una frattura tutt’ora decisiva nel percorso di negoziazione fra area europea e area post-sovietica. Infatti, il sempre più significativo peso di Putin nell’UEE, nonostante l’ingresso di Armenia e Azerbaijan, ha giocato un ruolo influente nell’allontanare altre Repubbliche dal partenariato[7]. Nell’ultimo incontro, peraltro, il Presidente kazako Tokaïev ha sottolineato come il processo decisionale all’interno dell’Unione fosse troppo sbilanciato a favore di Putin e da parte di tutti ci si aspettano riforme, compresa la Bielorussia che rivendica equo trattamento economico rispetto ai paesi dell’Unione.

Dall’altro lato di una cortina di ferro evanescente ma non del tutto scomparsa, il successo del liberalismo europeo, assieme alla stabilità politico-istituzionale, ha sin dall’inizio attratto Ucraina, a maggior ragion veduta dal 2014, ma anche Moldavia e Georgia, che aspirano a integrarsi definitivamente con l’Europa Occidentale, forzando una coesione in ottica antirussa. Lo stesso partenariato orientale, il progetto dell’U.E. volto a favorire la convergenza istituzionale, politica ed economica con alcuni paesi post-sovietici aveva unito Georgia ed Ucraina. Ciononostante, la recente decisione del neopresidente Volodymir Zelensky di nominare l’ex presidente georgiano Saakashvili come capo dell’Esecutivo delle riforme ucraino, ha riportato a galla “antichi dissapori”[8]. I legami infra-statali immediatamente esterni ai confini europei sono tutt’altro che univoci e definiti.

 

Ai tempi del CoVid-19 su quale paese la Russia può contare, se non su sé stessa?

 

Le necessità economiche e commerciali che avvicinano la Russia all’Unione Europea grazie ai rapporti privilegiati con Germania, Paesi Bassi e Italia (le cui risorse di gas russo costituiscono il 42% dell’import energetico) possono risultare fortemente compromessi dall’epidemia e dalle sue conseguenze ma ancor di più dal calo della produzione del greggio. Si nota, infatti, che se le sanzioni avevano determinato un calo dell’import europeo di idrocarburi, il loro livello sta convergendo verso i livelli precedenti alla storica annessione a partire dal 2016[9]. Nei paesi della CSI, sin dalla seconda metà degli anni Novanta, le esportazioni, così come le importazioni russe, in quasi ogni settore, sono calate inesorabilmente a favore delle esportazioni cinesi, che spingono la Russia a rivalutare i suoi piani di un controllo commerciale dell’intera Asia Centrale. In Moldavia “la Russia ha perso progressivamente terreno e l’ UE controlla ormai circa la metà sia dei mercati di esportazione che di importazione”[10]. La Bielorussia, storico partner, si mostra sempre più indipendente e le iniziative neo-imperiali cinesi non ne favoriscono la credibilità nell’Europa Occidentale, i cui paesi vedono gli accordi con le aziende e il governo di Xi Jinping più affidabili, ma anche in Asia.
La Belt and Road Initiative, inoltre, rischia di disinnescare anche la reticenza della Turchia di R.T. Erdoğan, partner ma anche nemico strategico per la penetrazione commerciale sul mediterraneo. Tuttavia, la Russia non può non riconoscere il primato cinese, utile agli ingenti scambi commerciali e di risorse finalizzate alla sicurezza. Dovrà mantenere diplomaticamente ed economicamente ottimi rapporti con Pechino, se non vorrà retrocedere ad una posizione subalterna, anche nei confronti di Washington. L’alleanza con la Cina, infatti, è indispensabile per dialogare con l’impero americano.

L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) resta l’unico fronte in cui la Russia può e deve assicurare la sicurezza e la difesa dei membri grazie alla modernizzazione militare e i suoi successi[11] contro il terrorismo islamico e le guerre civili in area MENA, soprattutto in Siria. Tuttavia, la volontà dell’organizzazione regionale di servire l’ONU e piantare la bandiera blu[12], rappresenta comunque un ennesimo rischio alle porte. Probabilmente, a causa della recente maggiorazione della spesa difensiva di Romania e Bulgaria (+127% nel 2019[13]) percepita come un ulteriore passo della NATO verso un rafforzamento, ovvero uno scoraggiamento alla virtù egemonica che la Russia, in primis, ha iniettato nell’Organizzazione. Anche sul fronte militare, infatti, la Russia scivola al quarto posto dopo USA, Cina ed India con 65,1 miliardi di dollari di approvvigionamenti, pari al 3,9% del PIL. Il trasferimento di parte di questi fondi verso la cassa utilizzata per la gestione dell’epidemia e la ripartenza economica, però, resta un’incognita etica ed ideologica che coinvolge il mondo intero, U.S.A., come sempre, in testa.

 

Marciare o marcire?

Sul versante politico Putin ne esce fortemente indebolito. Il mese di luglio si dimostrerà decisivo su un duplice piano: sul fronte popolare la pressione economica dovuta alla pandemia determinerà anche il supporto alla sua leadership a vita mentre sul piano personale la gestione dell’emergenza sarà fondamentale nella percezione di sé alla guida della Federazione. A questo proposito, gli interventi pubblici pianificati nel corso dell’emergenza a favore di famiglie, imprese e meno abbienti possono significare un tentativo di riprendere in pugno le redini del suo pluriennale consenso, così come un’eventuale decisione di implementare la spesa sociale riducendo le risorse del National Welfare Fund (NWF), contenitore dei proventi della vendita di idrocarburi[14]. Inoltre, se Vladimir Vladimirovič Putin appare ai media sempre più stanco e indifferente alla decisione della Corte, è anche vero che è certamente combattuto nella scelta di proseguire oltre il 2024 (data termine del mandato attuale, quello presidenziale) per non deludere i timori di matrice culturale nei confronti di un cambiamento di leadership[15] (Crimea inclusa), spesso evento catalizzatore di instabilità ed insicurezza.

Le dinamiche geopolitiche di un’area geografica che continua a fare i conti con il suo passato, con le persistenti fratture etniche ed economiche che ha lasciato, e con l’instabilità derivante da una dinamica multipolare tutta post-moderna, potranno essere risolte alla luce di uno sviluppo economico che prenda in considerazione ogni elemento sociale. In questo senso, la potenza del CoVid-19 si dispiegherà nella direzione in cui sarà delineato il concetto di cooperazione, tanto in occidente quanto in oriente, al netto di differenze culturali e geografiche sempre più evanescenti.
Le ritorsioni della natura, del clima, della biologia che il raziocinio umano non ha i mezzi scientifici per domesticare, sono in procinto di annullare queste differenze. Sfortunatamente, questo fenomeno procede in direzione opposta alla preponderante presunzione insita nell’umanismo del ventunesimo secolo.


Note

[1] https://it.sputniknews.com/mondo/202006249235725-coronavirus-in-russia-606881-contagi-7176-8513-decessi-154–368822-guarigioni-12393/

[2] https://statistichecoronavirus.it/statistiche-coronavirus-russia/

[3] https://www.msci.com/documents/10199/1b68aecc-6aae-4451-8b7d-23630edb9844

[4] https://www.neweurope.eu/article/russias-gdp-falls-28-in-april-as-unemployment-skyrockets/

[5] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/pandemic-unravels-russian-north-caucasus-26217

[6] M. S. Chiaruttini, La ristrutturazione dello spazio economico postsovietico: regionalismi europei in conflitto, Oltre la globalizzazione Conflitti/Conflicts, Società di Studi Geografici, 2015.

[7]https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/ispi_report_russia_2020_final.pdf#page=33

[8] Carlo Alberto Franco, https://www.eastjournal.net/archives/106284

[9] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-russia-e-sanzioni-22134/

[10] M.S. Chiaruttini, La ristrutturazione dello spazio economico postsovietico: regionalismi europei in conflitto

[11] Aldo Ferrari, Greater Eurasia. Opportunity or Downsizing for Russia?, Final report 2020, ISPI.

[12] https://eng.belta.by/politics/view/csto-secretary-general-calls-for-consolidated-international-effort-to-fight-pandemic-131056-2020/

[13] https://www.affarinternazionali.it/2020/04/come-aumentata-la-spesa-militare-globale-nel-2019/

[14] Eleonora Tafuro Ambrosetti, Il nodo nero del petrolio e del National Welfare Fund, ISPI, 2020

[15] https://www.ispionline.it/it/eventi/evento/covid-19-and-cheap-oil-russia-explosive-mix


Foto copertina:© KalpakTravel / CC BY 2.0 / https: //flic.kr/p/2gtj8jP


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