Chi sono i Curdi? Esiste un “Fattore curdo”? Il Kurdistan sarà mai indipendente? A queste e a tante altre domande prova a rispendere il libro “Curdi”, edito da Rosenberg & Sellier, a cura di Antonella De Biasi, con i contributi di Nicola Pedde, Giovanni Caputo e Kemal Chomani. Intervista alla giornalista Antonella De Biasi.
Il libro analizza la situazione dei curdi, partendo dall’entità di questo popolo senza nazione, analizzando i rapporti tra le diverse anime, le lotte intestine e il rapporto tra i curdi e i governi dei paesi che contengono la regione del Kurdistan.
Divisa nei quattro Stati di Turchia, Siria, Iraq e Iran, la popolazione curda conta ben 35 milioni di individui; essi rappresentano la quarta etnia del Medio Oriente, nonché il popolo più numeroso al mondo a non avere un proprio Stato-nazione. Nel corso della storia, i curdi sono stati oggetto di discriminazioni, persecuzioni ed alleanze tradite, il che ne ha decretato la condizione attuale[1]
Antonella De Biasi, giornalista[2], studia da molti anni la questione curda e analizza il rapporto tra i curdi e la Turchia, con un focus particolare sul ruolo delle donne curde. Giovanni Caputo ha illustrato la situazione nelle aree curde in Siria fino all’occupazione turca di Afrin. Kamal Chomani giornalista curdo-iracheno ha descritto i rapporti all’interno della sua comunità. Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, e collaboratore di diverse testate[3], analizza il rapporto dei curdi con lo stato iraniano.
Dialogo con la curatrice del libro, la giornalista Antonella De Biasi
Quando si parla di curdi spesso di commette l’errore di considerare questo popolo come un gruppo monolitico, e invece non è così…
I curdi sono la quarta etnia del Medio Oriente dopo arabi, persiani e turchi. Naturalmente come tanti altri popoli hanno al loro interno divisioni politiche e settarie, convinzioni religiose, abitudini culturali che differiscono a seconda delle aree geografiche di appartenenza o di origine. Anche la lingua li rende al loro interno frammentati perciò tutto sono fuorché un monolite. Per esempio i curdi del Kurdistan iracheno non parlano lo stesso dialetto dei curdi siriani o turchi. È però molto facile cadere nell’errore di pensare tutti i curdi – anche se si tratta di più di 35 milioni di persone – come un unico soggetto che agisce proprio perché, anche se questo popolo è antichissimo, non lo si conosce dato che la storiografia o le scienze politiche non se ne sono molto occupati. I curdi sono sempre stati ai margini dei discorsi o delle analisi sul Medio Oriente.
L’iniziale approccio[4] di Erdoğan alla questione curda, aveva lasciato sperare ad un futuro di pace per la regione. Poi cosa è successo?
Hanno fatto capolino le convenienze politiche e gli interessi economici. Erdoğan è un politico scaltro e navigato perciò la questione curda in Turchia è tornata nel dimenticatoio o è stata purtroppo molte volte usata come un’arma per silenziare le opposizioni come hanno fatto altri prima di lui. Quando i curdi servono vengono chiamati in causa o usati, quando sono un problema – perché sono la più grande minoranza della Turchia, vessata e silenziata sin dalla fondazione della Repubblica turca – vengono incarcerati o si fa finta che semplicemente non esistano.
Non si può parlare di curdi se non si parla del Pkk e di Abdullah Öcalan. Nel suo libro pone un quesito importante: cosa accadrebbe se Öcalan morisse in totale isolamento con la repressione del Sultano ai massimi livelli? Cosa rappresenta oggi Öcalan per il popolo curdo e non solo.
Abdullah Öcalan oggi è non solo un politico ma un teorico delle scienze politiche, uno studioso che ha pubblicato seppur in carcere da più di venti anni diversi libri letti in tutto il mondo e dibattuti nelle università. Il suo pensiero ha travalicato i confini statali della Turchia, è uscito dalle carceri e si è diffuso. Il pensiero di Öcalan oggi è più pericoloso che mai perché parla a tante persone, non solo curdi, perché ha una visione di società, un’idea di Medio Oriente e di Kurdistan plurale, aperta, ecologica, radicale perché si preoccupa soprattutto di liberare le donne perché senza questo passaggio l’intera società non è libera. Sono parole che può pronunciare la neoeletta vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris o una qualsiasi ragazza o ragazzo che vive nel nostro tempo. Questo fa la differenza. Öcalan inoltre per la maggior parte del popolo curdo è e resta un simbolo di ribellione all’assimilazione e alla turchizzazione forzata, è anche un pezzo di storia per almeno due generazioni: non a caso è considerato il Mandela curdo.
L’informazione ha dato molto risalto al ruolo delle guerrigliere curde (ma anche Yazide) Ypj[5] nelle battaglie sul campo contro Daesh in Siria. Cosa ha spinto queste donne ad arruolarsi?
Noi occidentali abbiamo seguito con attenzione la strenua resistenza dei curdi contro Daesh e siamo stati catturati dalle immagini delle “eroine” curde che con pochi mezzi davano filo da torcere ai miliziani dell’autoproclamato Stato Islamico. Il fatto di vedere molte di queste giovani donne combattenti e non velate per la maggior parte combattere con onore non solo per la loro terra ma anche per difendere i cosiddetti valori occidentali ci ha portato a semplificare molto la vicenda. Queste ragazze si sono arruolate per difendere non solo la loro terra ma la loro identità costantemente minacciata. Non c’era (e non c’è) solo la mentalità Daesh da combattere ma anche la mentalità machista o quella fascista o assimilazionista della Turchia per esempio. La motivazione di queste combattenti è molto forte perché le curde siriane hanno visto per decenni le curde turche vessate e torturate nelle carceri e hanno imparato che è importante difendersi e non abbassare la testa rispetto ai soprusi.
La centralità della donna nel Pkk e in generale nelle formazioni filo-curde sembra un bel po’ fuori dagli schemi del ruolo della donna nel Medio Oriente (ma non solo). Ci spiega il “Femminismo à la curda”
Per rispondere a questa domanda devo tornare a citare Abdullah Öcalan che nei suoi libri parla di “liberazione della donna” dagli schemi patriarcali. Il cambio di paradigma all’interno del PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, ha permesso a molte curde e curdi di capire che cosa c’era di marcio nella società e che cosa c’era da cancellare nel rapporto uomo-donna all’interno della famiglia e poi via via nella religione e nell’intera società. Una società è sana se la donna è libera. C’è ancora molta strada da fare ma se si è riorganizzato un partito politico del Medio Oriente anche assegnando cariche paritarie ai dirigenti e in ogni apparato che controlla allora le cose piano piano possono cambiare. Il femminismo à la curda consiste nell’applicare i principi teorizzati da Öcalan nei suoi libri, significa dare potere alle donne, alle minoranze in generale, ascoltare le voci di tutti per lavorare tutti insieme per creare una società egualitaria ed ecologista. Le organizzazioni militari e non solo dei curdi siriani danno concretezza a questa parità teorizzata sui libri. All’interno di un esperimento politico di autonomia democratica come quello in atto nella Siria del nordest in mano ai curdi vengono messi in atto questi principi, nonostante la guerra e le minacce dei vicini.
Ad un certo punto dopo i risultati sul campo contro Daesh, sulla scia della spinta dell’opinione pubblica internazionale, sembrava vicino il punto di svolta verso un Kurdistan indipendente. Poi cosa è successo?
I curdi siriani che, con il sostegno degli Stati Uniti, hanno combattuto contro Daesh nel nord della Siria e hanno liberato anche Raqqa – l’autoproclamata capitale del gruppo Stato islamico – già dopo lo scoppio della guerra civile siriana avevano costituito il cosiddetto Rojava ovvero l’Amministrazione autonoma del nordest della Siria. Il Nordest curdo della Siria non è riconosciuto a livello internazionale e sin dalla sua costituzione nel 2012 è sempre stato concepito per essere all’interno dei confini della Siria quindi non indipendente ma basato sui principi dell’autonomia democratica e quindi come abbiamo detto basato sull’uguaglianza di genere e sul rispetto dell’ambiente, multietnico e multiconfessionale. Nell’ottobre 2019 però il presidente Usa Donald Trump ha annunciato il ritiro delle truppe americane dal nord della Siria e gli equilibri sono di nuovo cambiati perché la Turchia – che equipara i curdi turchi ai curdi siriani e li considera delle minacce – ha lanciato un’offensiva per cacciare le forze curde dai territori di confine. I curdi quindi, come sempre nella loro storia hanno dovuto cercare il male minore per salvarsi la pelle, e si sono accordati col governo siriano per difendersi dai turchi. Oggi si svolgono pattugliamenti congiunti nel Nordest siriano perché Turchia e Russia che protegge la Siria hanno fatto un accordo. Gli Stati Uniti mantengono un contingente nella zona e con un nuovo inquilino alla Casa Bianca qualcosa potrebbe cambiare di nuovo.
Cosa ha impedito ai curdi di formare il tanto desiderato stato unito, autonomo e indipendente del Kurdistan?
I curdi si trovano in un territorio centrale sia un secolo fa che oggi per la geopolitica. Quello che oltre a tutte le difficoltà, le privazioni, le guerre e gli accordi militari ha impedito la nascita di uno stato del Kurdistan è stata proprio la mancanza di unità e il sistema curdo della società che era basato sui clan. Oggi molte cose sono cambiate e molti curdi sono non solo consapevoli dei loro diritti e consci della loro storia ma hanno voglia di pensare a un modello nuovo di società quindi al superamento dello Stato nazione andando verso l’autonomia all’interno degli Stati che sono già stati creati a tavolino dopo guerre e trattati.
Note
[1] https://www.opiniojuris.it/kurdistan/
[2] Freelance, è stata redattrice del settimanale “La Rinascita”, collaboratrice della testata online dell’Anpi.
[3] Collabora con l’Huffington Post e Limes
[4] In uno storico discorso tenuto a Diyarbakir, una delle principali città curde, l’allora primo ministro Erdoğan dichiarò «Il problema curdo è il mio problema e lo risolverò attraverso la diplomazia»
[5] Formazione militare femminile del Pyd, partito curdo siriano che è l’omologo del Pkk turco.
Foto copertina: Immagine libro