Gli individui che hanno subito una violazione possono solo rivendicarlo indirettamente attraverso gli organismi predisposti per i diritti umani. Questi processi, quando collegate ai diritti ambientali, sono state definiti “climate litigations”.
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Il diritto internazionale ha cristallizzato la protezione dei diritti umani a livello sia internazionale che nazionale; ne consegue la possibilità di potersi rivolgere a una Corte chiamando in giudizio una eventuale violazione rimandandolo così a dei poteri competenti. Ad esempio, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani seppur non vincolante da un punto di vista giuridico per gli Stati firmatari, tutela alcuni diritti fondamentali che sono consacrati nelle costituzioni. Proprio per questo, una violazione può essere invocata.
Lo stesso avviene con i diritti riconosciuti nella “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”[1] e nella “Carta europea dei diritti fondamentali”[2]. Pertanto, ogni volta che uno Stato fallisce nel garantire o nell’adempiere un diritto nei confronti del proprio cittadino deve essere responsabile del suo comportamento. Lo Stato, inoltre, ha la responsabilità di rispettare la costituzione. Questo è un meccanismo che garantisce l’accesso alla giustizia qualora si verifichi una violazione.
Bisogna però sottolineare che i diritti umani sono stati riconosciuti prima della diffusione dell’attuale dibattito ambientale, quindi prima delle richieste per un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile. Inoltre, solo pochi strumenti internazionali riconoscono il danno ambientale come ostacolo al godimento dei diritti umani. Di conseguenza, gli individui che hanno subito una violazione possono solo rivendicarlo indirettamente attraverso gli organismi predisposti per i diritti umani. Questi processi, quando collegate ai diritti ambientali, sono state definiti climate litigations.
Questi casi sono una sottocategoria delle controversie internazionali dei diritti umani attraverso i quali le vittime possono ottenere il riconoscimento di una violazione, tramite ricompenso, da aziende, Stati e chiunque sia responsabile per un danno ambientale che ha causato un deterioramento del benessere della vittima.[3]
Pertanto, questo strumento non consente solo l’accesso alla giustizia e ad un processo, ma è un mezzo che sottolinea l’eventuale responsabilità degli Stati che non intervengono in materia ambientale.
Tuttavia, dobbiamo sottolineare che anche nelle climate litigations il procedimento può risultare molto costoso.
Le climate litigations sono un importante aspetto delle politiche del cambiamento climatico, la loro diffusione è recente ma diventano, giorno dopo giorno, sempre più comuni nell’ambito del diritto internazionale: a livello globale si sono registrati un numero sempre più crescente di questi casi, in particolar modo riguardo alla qualità dell’aria, delle acquee e sulla sicurezza ambientale.
Inoltre, le climate litigations si verificano maggiormente solo nei paesi appartenenti al sistema legale del common law, come gli Stati Uniti, nei quali è presente un corpus di casi significativi. In questi paesi, questi casi hanno un legame diretto con il cambiamento climatico, affrontando le emissioni dei gas a effetto serra correlati ai processi di mitigazione, e processi riguardanti gli effetti sugli ecosistemi e società, che sono invece relativi al processo di adattamento al cambiamento climatico.
Gli appellanti tentano di promuovere le normative sul clima, o di chiederne la produzione ove non sono presenti, con contenziosi proattivi. Ciò dimostra quanto questi processi possono essere utili nella governance del clima; soprattutto perché i negoziati internazionali sono falliti e attualmente bloccati in questo momento di impasse.
Bisogna, però sottolineare che le politiche climatiche sono multidimensionali, numerosi sono gli attori coinvolti che interagiscono in essa, di conseguenza, le climate litigations riescono a connettere tutti i diversi fattori climatici.[4]
Uno dei problemi principali che deve essere sottolineato riguardo a queste controversie è la difficoltà che incontrano gli individui (ma anche le ONG che operano in questo ambito) nell’affermare le proprie posizioni davanti le Corti, in quanto è difficile accertare che le emissioni di un paese siano effettivamente responsabili di un evento climatico che violi il diritto alla vita di una comunità. Si ricorda infatti che le politiche climatiche si basano sul principio di precauzione, uno dei principi cardini nel diritto ambientale.
Le climate litigations sono state formulate distinguendo tre tipi di procedure internazionali. Nella prima tipologia sono incluse quelle procedure che realizzano effetti positivi in termini di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
Il secondo tipo è indicato come procedura regressiva, utile per impedire agli Stati di attuare politiche climatiche nazionali, o internazionali, che potrebbero ostacolare altre norme, come ad esempio, quelli riguardanti la liberalizzazione degli scambi e del mercato. Ultimo e terzo tipo è il classico contenzioso amministrativo, determinato dall’UNFCCC e dal Protocollo di Kyoto, che può essere impiegato per garantire che gli impegni assunti nell’ambito del regime interazionale climatico siano rispettati.[5]
I tentativi di utilizzare affermazioni basate sui diritti nei casi climatici sono comparsi nei primi anni 2000. Uno dei primi contenziosi fu il caso “Gbemre v. Shell Petroleum Development Company“[6] in Nigeria. Jonah Gbemre, rappresentante della comunità di Iwherekan, sostenne che il petrolio e le attività produttive dell’azienda Shell presente nell’area stava violando una serie di diritti fondamentali, dal diritto alla vita e alla dignità della intera comunità, diritti riconosciuti sia nella Costituzione nigeriana che nel Carta Africana dei Diritti Umani e dei Popoli. La Corte federale nigeriana stabilì l’interruzione immediata delle attività della compagnia che inquinava con i suoi scarichi il delta del Niger. Le pratiche furono infatti considerate incostituzionali poiché violavano i citati diritti fondamentali.
In questi casi c’è un elemento comune: l’appello alla scienza. Ciò deriva dal fatto che gran parte del successo del processo dipende da come la vittima riesce a ricondurre la scienza climatica nel suo caso raccogliendo tutte le prove scientifiche necessarie per dimostrare la violazione subita. L’appello alla scienza è importante non solo perché è il fondamento della teoria del cambiamento climatico, ma soprattutto perché la sua credibilità stessa si basa sulla teoria scientifica.
L’IPCC nel corso degli anni ha lavorato per la costruzione di questo consenso scientifico attorno al cambiamento climatico, infatti, tutti i rapporti dell’IPCC vengono ora citati come delle vere e proprie risorse scientifiche.
In fine, le climate litigations sono un ottimo mezzo per incoraggiare la definizione delle priorità in alcuni dibattiti scientifici presenti nei negoziati, dove di solito gli approcci più diffusi sono quelli di tipo politico o giornalistico. È anche per questo che i casi in questione hanno contribuito a sottolineare la fragilità del regime climatico internazionale.
Quel che è certo è che l’interpretazione dei diritti umani collegati al cambiamento climatico deve andare oltre il classico approccio individualistico dei diritti umani, solo in questo modo la giurisprudenza internazionale può riconoscere un danno ambientale come una violazione collettiva di un diritto, uno scenario reale e urgente che merita di essere riconosciuto.
Note
[1] The European Convention on Human Rights: https://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ENG.pdf
[2] The European Charter of Fundamental Rights: https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_en.pdf
[3] “Climate Change and International Human Rights Litigation: A Critical Appraisal”, Eric A. Posner, University of Pennsylvania Law Review 155, no. 6, June 2007, p.1925
[4] “Climate Change Litigation Regulatory Pathways To Cleaner Energy”, Jacqueline Peel, Hari M. Osofsky, Cambridge University Press, 2015, pp.1-15
[5] “International Courts and Climate Change: Progression, Regression and Administration”, Stephens Tim, Forthcoming in Rosemary Lyster (ed), Revelling in the Wilds of Climate Change Law (Australian Academic Press, Brisbane), Legal Studies Research Paper, No. 09/115, October 2009
[6] Gbemre v Shell Petroleum Development Company Nigeria Limited and Others (2005) AHRLR 151 (NgHC 2005) http://climatecasechart.com/non-us-case/gbemre-v-shell-petroleum-development-companyof-nigeria-ltd-et-al/
Foto copertina: Immagine web. Phys
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