Breve storia della migrazione in Germania. A partire dal periodo successivo alla II guerra mondiale, la Germania è diventata destinazione di forti flussi migratori, sebbene il suo riconoscimento da parte delle istituzioni sia avvenuto attraverso un lungo percorso.
La Germania è un paese di immigrazione? La prima ondata migratoria di fatti si verificò durante il periodo di crescita economica degli anni ’60 per l’apertura della domanda di lavoro a livello internazionale, attraverso la stipulazione di trattati il cui scopo era non quello di favorire l’immigrazione ma di sopperire alla carenza di lavoro nazionale.
A differenza di altri paesi, come Belgio, Francia, Spagna, che potevano attrarre forza-lavoro dalle loro precedenti colonie, la Germania si servì di trattati bilaterali beneficiando soprattutto degli accordi dapprima con l’Italia e poi con la Turchia e l’allora Jugoslavia che indussero i loro lavoratori a partire in massa.
Quali settori coinvolti?
I settori in cui essi venivano impiegati, quali il tessile, lavorazione del metallo e costruzioni, erano dunque al loro apice della crescita, che però di lì a breve sarebbe rallentata in favore di un processo di rinnovamento. In concomitanza del periodo di crisi scaturito dagli aumenti del prezzo del petrolio negli anni ’70, la quantità assunta di lavoratori fino ad allora divenne esuberante a tal punto da fermare il processo di recruitment, cercando addirittura di finanziare viaggi di ritorno nei rispettivi paesi di origine dei lavoratori ma tale politica non ebbe l’esito sperato. D’altra parte i migranti che al tempo giunsero furono denominati “guestworkers” in quanto ci si aspettava che la loro permanenza in Germania sarebbe stata solo temporanea, ma in realtà così non fu perché anzi molti furono nel frattempo raggiunti dalle proprie famiglie con l’intento di stabilirsi nel nuovo paese definitivamente. Rilasciare il visto per motivi familiari rappresenta una delle tipologie più utilizzate e in grande misura sono ottenuti da migranti di origine turca, e ad oggi, la loro comunità è una delle più rappresentative tra quelle straniere in Germania. All’interno di essa, molto forte è anche la presenza di Curdi, giunti in Germania alla ricerca di asilo per sfuggire dalle persecuzioni di cui sono vittime in molte zone del Medio Oriente.
La Germania giocò infatti un ruolo molto importante nella concessione degli aiuti umanitari sia per chi era alla ricerca di asilo, accogliendo non solo i Curdi ma anche altri gruppi come quelli provenienti da paesi dell’africa subsahariana nei quali vengono perseguitati per differenti ragioni, e anche nell’ospitare i rifugiati di guerra di cui era diventato teatro negli anni ’90 la penisola balcanica.
I tassi di accettazione di asilo erano comunque relativamente bassi, in quanto parte di chi presentava domanda non ne aveva diritto, né da quanto previsto dall’ordinamento tedesco né dalla Convenzione di Ginevra.
Alcuni di essi però riuscirono nell’intento di stanziarsi in Germania in quanto considerati rifugiati “de facto”, i quali, o per mancanza di passaporto, per guerre o per altri motivi non potevano fare ritorno al proprio paese. Ciò rese necessario regolare più adeguatamente la materia dell’immigrazione, inducendo una revisione della Costituzione sulle condizioni di asilo e attraverso la partecipazione ai Trattati di Dublino e Schengen al fine di creare una maggiore coordinazione internazionale.
L’ultimo gruppo di migranti, il più rappresentativo e i cui membri furono denominati “ethnic germans”, cominciò a formarsi grazie a cittadini polacchi, e in minor misura russi, aventi origini tedesche che dagli Stati dell’est fecero ritorno in Germania dopo il crollo dell’Unione Sovietica.[1]
Il percorso travagliato dell’integrazione
In realtà il discorso che va fatto è più generale in quanto è l’intera Europa ad esser stata investita dallo stesso fenomeno. Secondo stime dell’Eurostat del 2014[2], le quote più alte di immigrati rispetto al totale della popolazione sono detenute da Estonia (32,7%), Svezia (30,8%), Lettonia (28,7%), Austria (28,7%) e Belgio (27,6), che comunque contano per una fetta relativamente piccola del totale della popolazione residente in Europa. La quota più alta in termini assoluti è proprio detenuta dalla Germania (21%), seguita dalla Francia (19%). Anche Italia e Spagna hanno una quota significativa pari rispettivamente all’11% e 10%, rappresentata principalmente da migranti di prima generazione, mentre dove i migranti sembrano essere più disposti a formare anche una propria famiglia è in Francia, in cui quelli di seconda generazione contano per il 60% rispetto a quelli di prima generazione (26%), mentre in Germania rappresentano il 35% del totale dei migranti residenti. Infine, lo stesso studio mostra che su un totale di circa 80 milioni di persone residenti in Germania, il 21,4% è straniera o ha origini straniere ovvero un rapporto pari a ⅕ del totale.
Tali dati delineano un quadro singolare per la Germania, e vanno integrati analizzando il contesto cui essi fanno riferimento. Bisogna segnalare innanzitutto che i guestworkers non erano dotati di un alto livello di istruzione, sebbene possedessero quei requisiti che gli imprenditori dell’epoca richiedevano per poter lavorare. Tuttavia i bassi livelli di istruzione si sono trasmessi tra le generazioni coinvolgendo anche coloro che sono partiti dalle proprie terre per raggiungere i genitori. È stato osservato tra l’altro che minoranze come quella turca tendano a chiudersi in sé stesse, frequentando luoghi in cui sono presenti solo membri della loro stessa etnia.
Diversamente da quanto accade oltreoceano in cui l’assenza di forti radici culturali e il melting pot si alimentano a vicenda, in Germania esiste un sentimento identitario che spinge alcuni stranieri a sostenere che il loro isolamento sia il risultato di un’impossibilità di provare a far convivere le diverse etnie insieme, per cui integrazione significherebbe rinunciare ai propri valori e di non poterli trasmettere ai propri figli. D’altra parte ciò rappresenta il concetto rovesciato espresso da parte di chi della popolazione giunge a sostenere l’esistenza di un vero e proprio progetto per eliminare la cultura tedesca.
Tale sentimento xenofobo è poi confluito nelle idee del nuovo partito di estrema destra, l’AFD[3] (Alternative for Deutschland), che in molte città, dove la presenza di etnie diverse è più consistente, è cresciuto tanto da poter ottenere abbastanza voti per entrare nel Parlamento di vari Lander[4]. Ciò è accaduto soprattutto in corrispondenza di una crescente insoddisfazione per la gestione di Angela Merkel della crisi migratoria che ha coinvolto l’Europa dal 2015, per un aumento del numero di richieste di asilo che in Germania provenivano principalmente da siriani che giungevano, attraversando la rotta balcanica, per fuggire dal conflitto civile iniziato nel 2011. La risposta della Merkel, riassunta da una sua frase diventata celebre tradotta in “possiamo farcela”, ha aperto le porte a chi cercava di entrare, in nome di un sentimento di solidarietà verso chi scappa da situazioni così tragiche, attirandosi però le critiche di chi ritiene che molti restino nel proprio paese pur non avendone il diritto.
Soltanto recentemente, a partire dagli anni 2000, c’è stata una presa d’atto su ciò che era in corso ormai da tempo, in quanto inizialmente i migranti avevano accesso al sistema tedesco di welfare che permetteva loro di soggiornare nel paese, ma poi solo lentamente sono state promosse politiche volte a migliorare la loro completa integrazione. Innanzitutto dunque nel 2000, per effetto della nuova legge sulla cittadinanza, è stato reso possibile acquisire la nazionalità tedesca in base al criterio del luogo di nascita, quindi se in Germania o meno, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Ciò permise ai migranti delle generazioni successive di essere cittadini a tutti gli effetti del paese in cui sono nati, con l’acquisizione dei relativi diritti ed obblighi che gli spettano.
Per quanto riguarda l’apprendimento della lingua, le istituzioni ne hanno riconosciuto il valore e messo al centro tra gli obiettivi delle politiche di integrazione. Tempo addietro corsi di lingua tedesca furono creati con l’unico scopo di formare i guestworkers, successivamente furono ammessi a partecipare alcune categorie di migranti disoccupati ed infine nel 2005, con una riforma organica apportata dalla nuova legge sull’immigrazione, i corsi sono stati estesi a tutte le categorie di migranti che risiedono permanentemente in Germania.
Il crescente invecchiamento della popolazione in Europa
D’altra parte aprire i propri confini è una richiesta sostenuta a gran voce da esperti e imprenditori, pena un calo sostanziale della crescita, allo scopo dunque di sopperire ad una nuova carenza di offerta di lavoro, che non riesce ad essere colmata dalla possibilità per i lavoratori di circolare liberamente all’interno dell’Unione Europea. Ciò è dovuto ad un crescente invecchiamento della popolazione: meno nascite rispetto a prima in sostanza, e quindi anche un minor numero di ingressi nella forza-lavoro, registrandosi principalmente tra i MINT (mathematics, inormation technology, natural sciences and tech). Anche infermieri e ingegneri, tra gli altri, sono in alta domanda, cui però non corrisponde un’offerta adeguata, limitando la possibilità di effettuare nuovi investimenti laddove la capacità delle strutture risultano già sovraccaricate. Alcuni esperti hanno individuato delle criticità anche in aspetti intrinseci, interni al sistema, ovvero il raggiungimento dell’età pensionabile ad una soglia troppo alta, oppure vi è chi ritiene al contrario che siano state effettuate troppe assunzioni che hanno inficiato sul livello della produttività aggregata.
La necessità di ridurre il gap tra domanda e offerta di lavoro ha spinto il governo ad adottare una serie di misure per allentare le barriere all’ingresso, attraverso strumenti quali l’introduzione della Green card e in ultimo nel 2019 l’adozione di nuove regole per l’accesso nel paese da parte di extracomunitari (skilled immigration act). Esse prevedono l’opportunità di presentare domanda per il visto per chi ha già ricevuto un’offerta di lavoro o anche per chi semplicemente intende andare alla ricerca di un lavoro o di apprendistato, ricevendo un permesso di residenza di 6 mesi in Germania, anche in mancanza di una laurea riconosciuta in Germania, pur essendo sempre necessario l’attestazione delle proprie capacità, in particolare di aver acquisito un periodo di almeno due anni di formazione professionale in un settore specifico all’interno del proprio paese.
La nuova legge si rivolge anche ai richiedenti asilo cui è richiesto un periodo lavorativo di 18 mesi per 35 ore a settimana ed il possesso di un livello di lingua B2.
I dati relativi all’ultimo periodo migratorio mostrano un aumento del numero dei richiedenti asilo nelle università tedesche, così come nel numero dei posti di lavoro, che riflettono senz’altro gli effetti del picco migratorio raggiunto nel 2015, ma anche i contributi apportati dai corsi di lingua, di integrazione culturale e dei programmi, sia privati che pubblici, di qualificazione professionale. Questi ultimi sono fondamentali rappresentando un requisito domandato ai richiedenti asilo per sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato e permettendo inoltre di valutare le capacità di ognuno su una base più ampia di candidati.
In ultimo, come rivelato dalla German Federal Employment Agency sono ancora meno della metà i richiedenti asilo ad avere un posto a tempo indeterminato, la cui percentuale più alta è rappresentata da coloro provenienti dal Pakistan (43,6%), invece i meno rappresentati sono coloro provenienti dalla Siria (27,9%), mentre circa 372 000 sono sottoccupati. Tali misure infatti, sebbene costose nel breve periodo, sono destinate a mostrare i loro pieni effetti su un arco temporale più lungo.[5]
Note
[1] Il quadro fin qui delineato fa riferimento al lavoro OECD 238411133860.pdf
[2]https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=First_and_second-generation_immigrants_-_statistics_on_main_characteristics#Context
[3] https://www.opiniojuris.it/afd-lalternativa-destra-nel-panorama-politico-tedesco/
[4] https://www.opiniojuris.it/alternativa-la-germania-ultimo/
[5] https://wenr.wes.org/2019/08/the-state-of-refugee-integration-in-germany-in-2019
Foto copertina: Immigrati in Germania. Foto: dpa. Badische Zeitung