I risultati dello scorso 12 dicembre, se da un lato, hanno profondamente ridefinito gli equilibri della politica interna britannica, dall’altro, hanno dato agli inglesi e a Bruxelles una certezza: il Regno Unito recederà dall’Unione Europea il 31 gennaio 2020. Il “come” sembra, per ora, ancora da definire.
Nella notte del 13 dicembre, il Regno Unito si è tinto di blu. Con 365 seggi[1] conquistati e una più che solida maggioranza alle Camere, il leader dei Conservatori Boris Johnson ha ottenuto una delle più significative vittorie dai tempi della “Iron Lady”[2]. Al grido dello slogan “Get Brexit Done”, BoJo (come lo chiamano i media britannici) ha conquistato l’elettorato nazionale ben oltre le aspettative grazie ad un programma semplice e capace di persuadere i cittadini del Regno Unito che l’estenuante “saga” della BREXIT volgerà finalmente al termine[3]. Sul fronte opposto, i Laburisti di Jeremy Corbyn hanno incassato una pesante sconfitta occupando soltanto 203 seggi[4] e vedendosi strappate le circoscrizioni storicamente rosse nel Nord-Est del Paese. Altro risultato eclatante è stato, infine, quello ottenuto dallo Scottish National Party (SNP) di Nicola Sturgeon, la quale ora, con i suoi 43 seggi[5], esige che il volere dei cittadini scozzesi venga rispettato e che il Governo approvi la richiesta di indire un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia. I risultati dello scorso 12 dicembre, se da un lato hanno profondamente ridefinito gli equilibri della politica interna britannica, dall’altro hanno dato agli inglesi e a Bruxelles una certezza: il Regno Unito recederà dall’Unione Europea il 31 gennaio 2020. Il “come” sembra, per ora, ancora da definire[6].
Dalla tentata sospensione dell’attività delle Camere alla perdita della maggioranza parlamentare: il caos pre-elezioni
A partire dall’inizio del suo mandato nel luglio 2019[7], il PM Boris Johnson ha reso chiare le sue intenzioni: finalizzare la BREXIT entro il 31 ottobre 2019[8] essendo disposto ad accogliere l’ipotesi di una no deal BREXIT. Lo spettro di un recesso senza accordo, con la conseguente costituzione di un hard border in Irlanda del Nord, ha però travolto il Parlamento britannico suscitando ritrosie sia in seno all’opposizione che alla stessa maggioranza di governo. Il precipitare della situazione politica interna si è verificato il 28 agosto, quando Boris Johnson ha richiesto ed ottenuto dalla Regina la sospensione dell’attività delle Camere fino al 14 ottobre, nell’estremo tentativo di inibire il dibattito parlamentare spingendolo, di fatto, ad approvare la sua linea negoziale del “recesso a tutti i costi”, in vista dell’appuntamento con Bruxelles del 17 ottobre.
Il tentativo del Primo Ministro si è però rivelato fallimentare in quanto, non solo l’attività delle Camere ha ripreso il 3 settembre e, successivamente, la Corte Suprema ha dichiarato illegale[9] la sospensione, ma Boris Johnson ha anche perso la maggioranza parlamentare a seguito della decisione del Tory Philip Lee di sedersi tra le fila dei liberaldemocratici dichiarando come il Governo stia perseguendo una BREXIT senza valori e suscettibile di mettere a rischio il benessere dei cittadini britannici[10]. Privo di maggioranza ed indebolito dalle opposizioni ed estromissioni dei Tories contrari ad un’uscita senza accordo, il PM Johnson ha assistito, nel mese di settembre, alla reiterata bocciatura della sua mozione per indire elezioni anticipate entro il 15 ottobre, ed all’approvazione alle Camere della legge anti no deal (nota anche come legge Benn[11]). L’obiettivo della misura è di prevenire il rischio di una hard BREXIT e fare pressioni sull’Esecutivo affinché venga fatta richiesta di proroga del termine ultimo per il recesso all’Unione europea.
Alla vigilia dell’incontro con il capo negoziatore europeo, Michel Barnier, il Regno Unito si presenta profondamente diviso ed incapace di presentare sul tavolo negoziale una visione condivisa sul recesso. Da un lato, il PM Boris Johnson ha ribadito l’assoluta necessità di finalizzare la BREXIT entro il 31 ottobre, esortando le Camere ad evitare l’ipotesi di un’ulteriore proroga, la quale renderebbe necessarie elezioni politiche anticipate[12]. Dall’altro, il variegato spettro delle opposizioni (comprendenti laburisti, conservatori estromessi, liberaldemocratici e SNP), malgrado le posizioni profondamente differenziate in materia, converge sul solo punto di evitare una hard BREXIT ed impedire al leader conservatore di portare avanti una strategia negoziale deleteria per la tutela degli interessi dei cittadini britannici. I timori delle opposizioni sono, peraltro, sostenute anche dal governatore della Bank of England, Mark Carney, il quale ha affermato come una no deal BREXIT rallenterebbe l’attuale crescita in recupero del Paese e causerebbe un aumento ulteriore dell’inflazione a tutto danno degli inglesi[13].
Il nuovo accordo recesso
Nonostante lo scenario politico poco promettente, l’incontro del 17 ottobre tra Londra e Bruxelles ha dato la luce ad un’intesa sul nuovo accordo di recesso da far approvare prima a Westminster e, successivamente, al Parlamento europeo. L’accordo si differenzia rispetto a quello di Theresa May su due punti: la backstop solution per l’Irlanda del Nord e le disposizioni sul futuro dei rapporti UK-UE. Con riguardo alla questione nordirlandese, il nuovo accordo prevede: la permanenza della sola Irlanda del Nord nel mercato europeo, con la conseguente creazione di una dogana nel Mare d’Irlanda; la possibilità che l’Irlanda del Nord applichi i dazi UE alle merci; e la facoltà del Parlamento di Stormont[14] di bloccare l’accordo dopo quattro anni, con voto a maggioranza semplice. In merito ai rapporti futuri tra Regno Unito ed Unione europea, pur riconfermando la volontà di rispettare uno standard comune elevato, la nuova intesa si limita a prevedere la conclusione di un accordo di libero scambio tra le parti ma senza ricercare quel livello di stretta collaborazione auspicato, per contro, dalla May[15]. Scelta, quest’ultima, piuttosto strategica da parte di Boris Johnson, il quale strizza l’occhio al Presidente statunitense Donald Trump riguardo la possibilità della futura conclusione di un accordo commerciale vantaggioso per il Regno Unito[16].
Sottoposto alle Camere il 19 ottobre, l’accordo di recesso non ha ricevuto l’approvazione sperata. Con 322 voti favorevoli e 306 contrari[17], il Parlamento britannico ha approvato l’emendamento Letwin, il quale prevede un rinvio del voto sull’accordo che, nel frattempo, resta “congelato”. Impossibilitato dalla legge Benn a procedere ad una BREXIT senza accordo e non senza tentennamenti, Boris Johnson ha quindi chiesto all’Unione europea un rinvio di tre mesi rispetto alla scadenza ultima per il recesso. In attesa della non scontata risposta di Bruxelles, una parziale vittoria del Premier britannico è stata l’approvazione in prima lettura alle Camere di parte del Withdrawal Agreement Bill[18], ovvero la legge attuativa del recesso, la quale costituisce il primo atto a favore della BREXIT approvato dal Parlamento e, implicitamente, un timido segnale di sostegno all’accordo raggiunto[19]. Nettamente respinta è stata, invece, la proposta di adozione un iter legislativo accelerato[20] di tre giorni per approvare l’intero pacchetto del Withdrawal Agreement.
Sfumata ogni possibilità di finalizzare il recesso entro il 31 ottobre, Boris Johnson ha così presentato una mozione per indire elezioni politiche anticipate al 12 dicembre, restando fedele, peraltro, alle intenzioni precedentemente manifestate. Più volte respinta a causa delle resistenze di liberaldemocratici, nazionalisti scozzesi e laburisti, la svolta in seno alle Camere è avvenuta il 28 ottobre quando, in conformità alle posizioni favorevoli precedentemente espresse dalla neoeletta Ursula Von Der Leyen[21], i Ventisette hanno concesso di rinviare nuovamente l’uscita dall’UE attraverso una “proroga flessibile” o “flextension” , ovvero il Regno Unito avrà tempo fino al 31 gennaio 2020 per recedere ma, qualora la ratifica dell’accordo di recesso avvenga prima di suddetta scadenza, il recesso si compirà entro il primo giorno del mese successivo[22]. Scongiurata l’eventualità di una no deal BREXIT, grazie alla conferma di Bruxelles sulla proroga, anche l’ultimo baluardo laburista[23] di resistenza alle elezioni anticipate è crollato e, finalmente, la mozione presentata da Boris Johnson è stata approvata a maggioranza dei 2/3.
La campagna elettorale e i risultati del voto: il nuovo volto del Regno Unito
Le elezioni dello scorso 12 dicembre hanno ridisegnato abbastanza nettamente il volto della politica nel Regno Unito. Sono state le elezioni delle grandi vittorie e delle eclatanti sconfitte; dell’assunzione di grandi responsabilità da parte di alcuni e di dolorose prese di coscienza per altri; dello stato confusionale delle istituzioni riflesso della volontà popolare[24]. Il fattore che, fra tutti, ha influenzato di più il voto e che di rimando ha plasmato la risposta dei partiti in campagna elettorale, è stata la necessità di certezza e di risposte dell’elettorato britannico, il quale, infiacchito da tre anni di proroghe, instabilità ed impoverimento[25], si è affidato “all’uomo forte” del momento, al politico che, al grido di “Get Brexit Done”, ha fornito soluzioni semplici, incisive ed immediate al grande nodo dell’uscita dall’Unione europea[26].
Proprio la BREXIT, variamente declinata dalle forze politiche in competizione, ha costituito il leitmotif di questa vivace campagna elettorale. Almeno nella sua fase iniziale, lo spettro degli orientamenti politici al riguardo è stato più che mai variegato arrivando, in taluni casi, a mettere in dubbio lo stesso “tribalismo” radicale[27] del bipolarismo britannico, la cui fondamentale opposizione ideologica tory-labour è impallidita dinanzi al fluire disordinato di laburisti brexiters pronti a votare con conservatori brexiters, conservatori remainers pronti a votare con laburisti remainers, e conservatori e laburisti remainers pronti a lasciare i rispettivi partiti per unirsi con i liberaldemocratici[28]. Superata questa prima fase di rimpasto ideologico, le compagini partitiche si sono successivamente riallineate, nel bene o nel male, sulle posizioni storicamente sostenute. Mentre i Conservatori di Boris Johnson hanno reso esplicite le loro intenzioni di far approvare rapidamente l’accordo raggiunto con Bruxelles attraverso l’incisivo slogan elettorale “Get Brexit Done”, i Liberal Democratici di Jo Swinson e lo SNP di Nicola Sturgeon si sono riconfermati ferventi remainers, posizione che, nel caso del partito scozzese, è stata strettamente connessa alle istanze indipendentiste della regione. Coerenti nella loro strategia di ambiguità, i Laburisti di Jeremy Corbyn, lungi dall’assumere una posizione netta, hanno promesso una rinegoziazione dell’accordo di recesso entro sei mesi e un successivo referendum per rendere i cittadini britannici i veri “giudici” sulla decisione di recedere. Una simile posizione ha reso chiara la strategia dei laburisti di attrarre i voti di quelle frange di elettorato più moderate e meno rappresentate dalle istanze fortemente polarizzate di brexiters o remainers.
Malgrado queste elezioni siano state definite “Brexit elections”, data l’estrema visibilità e ricorrenza del tema nel dibattito politico interno, i vari partiti in competizione raramente hanno presentato un chiaro progetto di come portare a compimento la procedura di recesso. Insomma, tutti hanno nominato la BREXIT senza, però, parlarne davvero nel dettaglio[29]. Lo stesso Boris Johnson, che ha reso l’uscita dall’UE il cuore pulsante del proprio programma, quando interrogato dai media britannici ha evitato di entrare nel merito della questione, limitandosi a presentare due scenari in opposizione tra loro: un’uscita alle sue condizioni o un’indefinita alternativa. A tal proposito, i laburisti di Corbyn hanno preferito una strategia diversa rispetto agli avversari. In virtù anche dell’ambiguità della posizione sul tema, Jeremy Corbyn ha incentrato la propria campagna elettorale su un ambizioso, quanto anacronistico, programma di ristrutturazione economica in senso profondamente socialista, sperando di attirare i voti dei cittadini britannici con soluzioni pragmatiche ai “bread-and-butter issues”[30].
In un Regno Unito in cui la crescita economica continua a rallentare, la sterlina è stata svalutata del 20% rispetto all’euro e le diseguaglianze di reddito e regionali aumentano[31], le questioni socioeconomiche, ed in particolare la riforma del sistema sanitario, hanno costituito l’altro grande tema della campagna elettorale. L’Ipsos MORI-General Election Campaign Tracker ha rilevato che il 58% degli elettori ha considerato la riforma del sistema sanitario (NHS) il problema più urgente da affrontare, mentre il 53% ha classificato al primo posto la BREXIT[32]. In merito alle questioni socioeconomiche ed al NHS, i laburisti di Corbyn sono stati di gran lunga coloro che hanno meglio strutturato il proprio manifesto elettorale promettendo massicci investimenti pubblici nel settore sanitario, allentando radicalmente le misure di austerity precedentemente adottate dai governi conservatori, ed avviando un graduale processo di nazionalizzazione di molti settori dell’economia britannica. Molto più blandi sono stati, invece, i provvedimenti dei Conservatori, i quali hanno addirittura prefigurato la possibilità di privatizzare[33] il NHS ed aprire ulteriormente il mercato nazionale ai farmaci e alle imprese statunitensi, al fine di favorire la conclusione di un favorevole accordo commerciale con il partner d’oltreoceano[34].
A conti fatti, la campagna elettorale ha visto la BREXIT protagonista nei limiti in cui è servita ad attirare gli importanti voti degli stanchi elettori britannici[35], desiderosi di soluzioni immediate e risposte alle troppe domande che il recesso ha sollevato negli ultimi tre anni. In tale ottica, non sono sorprendenti gli straordinari risultati del partito Conservatore che, con 365 seggi, è stato il vincitore netto di queste elezioni, dimostrando di saper abilmente intercettare gli umori popolari[36]. Più inaspettato è stato, invece, il successo dello SNP della Sturgeon che ha conquistato 43 seggi e, ora, punta all’ottenimento di un referendum per l’indipendenza della Scozia. I LibDem, al contrario, hanno ottenuto un risultato piuttosto deludente, avendo addirittura perso seggi rispetto alle elezioni del 2017[37]. Infine, contro ogni pronostico, i Laburisti hanno subito una schiacciante sconfitta, rasentando la storica disfatta delle elezioni del 1935 con l’allora leader Clement Attlee.
I grandi sconfitti: i motivi della disfatta di Corbyn
Pur costituendo nei fatti la seconda forza politica del Paese, gli 86 seggi di distacco rispetto ai Conservatori mandano un chiaro messaggio ai Laburisti: è tempo di tirare le somme ed imparare dagli errori commessi per rinnovarsi. Rinnovamento che probabilmente dovrà consistere in un “ritorno alle origini” da parte del partito[38]. Particolarmente amaro per il leader laburista è stato, infatti, lo sfondamento conservatore del “red wall”[39], ovvero di quelle circoscrizioni a prevalenza industriale nel Nord-Est del Paese e storicamente socialiste[40]. Tra debolezza del leader, manifesto elettorale troppo ambizioso e strategie azzardate, troppi sono stati gli errori costati a Jeremy Corbyn la leadership del partito.
Sul piano strategico/ideologico, l’elemento storico di forza del partito Laburista è stata la capacità di rappresentare gli interessi degli elettori delle aree industriali e più arretrate del Paese attraverso una strategia di profondo radicamento territoriale, fatta di assistenza alle località e loro diretto coinvolgimento in iniziative politiche. Con un processo iniziato negli anni ’70, questo elemento è venuto meno. Non solo il partito ha gradualmente iniziato a puntare sui segmenti di elettorato urbano diversi da quelli storici, ma si è anche quasi totalmente sradicato dal territorio. Questo distacco si è amplificato nel corso dell’ultima campagna elettorale, suscitando un senso di profondo abbandono anche negli elettori storici che hanno deciso di rivolgersi alla retorica dei Conservatori, portatrice di soluzioni e risposte in un momento storico di profonda incertezza[41].
Sul fronte della BREXIT, è costata cara la politica di ambiguità del partito, il quale, a parte una blanda manifestazione anti-BREXIT nel 2017 contro il governo di Theresa May, non si è mai nettamente schierato. Quella che avrebbe dovuto essere una strategia di attrazione di elettori indecisi è divenuta l’ennesima scelta sbagliata. In un contesto in cui i cittadini richiedono certezze e in cui lo storico radicamento territoriale non viene più in soccorso, il partito di Corbyn ha dimostrato scarsa attenzione e reattività al mutato contesto sociale finendo col perdere, invece di guadagnare, importanti voti[42].
Con riguardo al manifesto elettorale, sul quale i Laburisti avevano puntato durante la campagna, il programma “It’s Time for Real Change” è risultato troppo complesso, ambizioso e di sinistra in un Paese dove l’ortodossia economica è il liberismo. In effetti, pur contenendo misure validamente strutturate e funzionali al superamento dello stallo economico in cui il Regno Unito versa, il programma è stato considerato troppo vasto ed articolato per poter essere realizzato nell’arco di una sola legislatura. In questo caso, quindi, è stata la poca fiducia nella capacità del partito di realizzare gli obiettivi proposti a scoraggiare il voto degli elettori britannici[43]. Infine, la debolezza mediatica del leader Jeremy Corbyn, unitamente ad alcuni suoi clamorosi passi falsi, ha costituito un fattore non di poco conto per la sconfitta del Labour Party. Secondo l’Ipsos MORI, il leader laburista si è presentato alle elezioni con un tasso di gradimento tra i più bassi mai registrati dal 1970[44].
In conclusione, molti sono stati gli errori che sono costati ai laburisti una schiacciante sconfitta a questa tornata elettorale. Malgrado ciò, il partito ha modo di imparare da suddette scelte per riorientarsi e adottare nuove strategie che, pur affondando le proprie radici nel passato, possono ancora costituire un importante vantaggio nell’arena politica nazionale.
Il Regno Unito di Boris Johnson: “Get Brexit Done” ma a che prezzo?
Boris Johnson resta al numero 10 di Downing Street e conquista una solida maggioranza parlamentare con 86 seggi di vantaggio rispetto alle opposizioni. L’esito delle elezioni è stato chiaro: il Regno Unito ha nuovamente scelto la BREXIT, malgrado alcune spinte in senso opposto in Scozia ed Irlanda del Nord dove, per la prima volta dal 2016, il Sinn Féin ha superato il DUP. A grandi vittorie conseguono, però, anche grandi responsabilità. Ora, infatti, il PM Johnson dovrà dimostrarsi capace di mantenere la parola data e, non solo recedere dall’Unione europea entro il 31 gennaio 2020 ma concludere un complesso accordo sulle relazioni future UK-UE entro la fine del periodo transitorio, fissata al 31 dicembre 2020.
Se far approvare l’accordo di recesso alle Camere non sembra un’impresa ardua, data la maggioranza parlamentare numericamente schiacciante, concludere un complesso accordo sulle relazioni future in soli 11 mesi costituisce una grande sfida per l’Esecutivo conservatore[45]. Sfida che si complica ulteriormente a causa della volontà manifesta del Governo di Johnson di rendere Londra una “Singapore sul Tamigi”[46] paradiso di deregulation e liberalizzazioni, affermazione che di per sé denota l’intenzione di allontanarsi dagli standard del mercato unico europeo in materia sociale, ambientale, sanitaria e di concorrenza. Una simile attitudine chiaramente mina alle fondamenta la possibilità di concludere un accordo commerciale tra le parti di ampio respiro ed in tempi ristretti[47].
Il tempo, o meglio, la mancanza di tempo allarma Bruxelles che teme il riproporsi di uno stallo nei negoziati e di una conseguente crisi politica entro la fine del periodo di transizione. A tal proposito, la Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, non solo ha avvertito il PM Johnson che l’ottenimento di una schiacciante vittoria non costituirà motivo di accelerazione dell’iter procedurale, ma ha anche prefigurato la possibilità che sia l’Unione europea a richiedere una proroga del periodo transitorio oltre il dicembre 2020[48]. Inoltre, qualora l’ipotesi della proroga sfumasse definitivamente, la Presidente della Commissione ha altresì proposto un “procedimento per fasi” dei negoziati, il quale darebbe la priorità ai temi centrali del regolamento delle tariffe, scambi commerciali ed attività di pesca, per poi delegare ad un secondo accordo post 2020 la definizione puntuale dei rapporti in materia di servizi ed altre questioni secondarie.
La ristrettezza di tempo non sembra invece preoccupare il leader Conservatore, il quale prevede di riproporre alle Camere il suo accordo di recesso prima di Natale e di avviare gli intensi negoziati con Bruxelles per l’accordo sulle relazioni future già entro febbraio[49]. Il suo obiettivo è uscire dall’UE entro gennaio 2020 e terminare i negoziati entro la fine del periodo transitorio a dicembre dello stesso anno, evitando, così, una eventuale richiesta di proroga entro giugno, che costerebbe in termini economici al Regno Unito[50]. Bisogna ricordare, infatti, che, durante il periodo transitorio, il Regno Unito continuerà ad applicare le regole dell’Unione europea e a pagare i relativi contributi finanziari senza però poter esercitare il diritto di voto in seno alle sue istituzioni. A riprova della sua determinazione, il Governo Tory ha proposto, nella giornata del 17 dicembre, un emendamento che prevede l’impossibilità di prorogare il periodo transitorio oltre il 2020 con la conseguente riproposizione di un “no deal BREXIT scenario”[51].
Lo spettro di una BREXIT senza accordo ha scosso i vertici dell’Unione europea ma anche i mercati valutari. Oltre Manica, la Presidente Ursula Von Der Leyen ha duramente ammonito l’atteggiamento del PM Johnson ricordando come, nel caso di mancata conclusione di un accordo di partenariato, sarebbe il Regno Unito a pagare un carissimo prezzo, vedendosi applicate le poco vantaggiose tariffe e regole dell’OMC, e dovendo concludere nuovi accordi commerciali con gran parte dei suoi partners economici[52]. Sul fronte valutario, se la vittoria di Johnson e le conseguenti certezze di una BREXIT in procinto di compiersi avevano premiato il Regno Unito facendo apprezzare la sterlina del 2%, la presentazione dell’emendamento ed il riproporsi dello spettro di una no deal BREXIT hanno suscitato incertezze sui mercati valutari che, come risposta, hanno nuovamente deprezzato di oltre l’1% la sterlina facendo ripiombare l’economia britannica nell’incertezza[53].
Conclusioni
Il 12 dicembre il Regno Unito si è tinto di blu e i suoi cittadini hanno investito Boris Johnson dell’arduo compito di realizzare, stavolta definitivamente, la BREXIT. Ciò che gli è valsa una schiacciante vittoria contro l’avversario laburista Corbyn è stata la capacità di offrire soluzioni semplici, immediate e definitive per far uscire il Regno Unito dal tunnel del recesso dall’UE. Ma come tre anni di incertezze e tentennamenti hanno dimostrato, tra il dire e il fare ci sono di mezzo le numerose sfide che la BREXIT pone.
Allo stato attuale delle cose, pare esatta la constatazione di alcuni commentatori per cui tutti nominano la BREXIT senza però saperne discutere nel dettaglio[54]. Il PM Boris Johnson ribadisce la sua volontà di finalizzare quanto prima la procedura di recesso senza, però, mai dire come, senza mai enucleare un vero progetto per realizzare gli obiettivi promessi.
In conclusione, gli inglesi avranno pur scelto un leader che promette certezze sul futuro del Regno Unito ma, ad ora, la strada da percorrere è lunga e, in mancanza di una buona dose di pragmatismo e ragionevolezza da parte dei vertici, la luce alla fine del tunnel della BREXIT sembra ancora un miraggio.
Note
[1]{www.theguardian.com/politics/ng-interactive/2019/dec/12/uk-general-election-2019-full-results-live-labour-conservatives-tories}
[2] {Passata alla storia come “Iron Lady”, Margaret Thatcher fu uno dei leaders tra i più carismatici ed incisivi nella storia del partito Tory britannico. La vittoria che ottenne alle elezioni del 1983 fu la più significativa nella storia del partito Conservatore, occupando 397 seggi alle Camere. }
[3] { www.ilsole24ore.com/art/perche-ha-vinto-boris-johnson-e-disfatta-labour-corbyn-ACZToC5}
[4]{www.theguardian.com/politics/ng-interactive/2019/dec/12/uk-general-election-2019-full-results-live-labour-conservatives-tories}
[5] {Ibidem. }
[6]{www.agi.it/economia/codogno_analisi_voto_gb_brexit-6734985/news/2019-12-14/}
[7]{ Il 24 luglio 2019, Boris Johnson succede nella carica di Primo Ministro a Theresa May, a seguito dell’annuncio delle sue dimissioni il 24 maggio 2019. }
[8] Il recesso del Regno Unito dall’UE si sarebbe dovuto verificare, ex art. 50 TUE, il 29 marzo 2019. Tale termine ultimo è stato prorogato da Bruxelles, su richiesta del Regno Unito, per ben 3 volte: 12 aprile, 31 ottobre ed, in ultimo, 31 gennaio 2020.
[9]{ La pratica di sospendere l’attività delle Camere è legale nell’ordinamento giuridico britannico, come dimostra anche la prassi precedente, ed il suo scopo sarebbe di rianimare i dibattiti parlamentari in caso di stallo. Malgrado ciò, la Corte Suprema ha dichiarato all’unanimità illegale il ricorso a suddetta sospensione in virtù delle particolarissime e critiche circostanze del Regno Unito. }
[10] {www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Brexit-riapre-il-Parlamento-rinvio-Johnson-uscita-dall-Ue-il-31-ottobre-o-voto-d02ddc2d-a1b9-4bba-86e0-2b2a37de6aa4.html?refresh_ce}
[11] {Dal nome della deputata laburista Hilary Benn che l’ha proposta. }
[12]{www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Brexit-riapre-il-Parlamento-rinvio-Johnson-uscita-dall-Ue-il-31-ottobre-o-voto-d02ddc2d-a1b9-4bba-86e0-2b2a37de6aa4.html?refresh_ce}
[13]{www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Brexit-Ue-apertura-per-la-proroga-Johnson-cerca-accordo-83eb556d-dbeb-4049-aa3a-adbe818fecbb.html?refresh_ce}
[14] { Il Parlamento di Stormont è l’istituzione parlamentare operante in Irlanda del Nord. }
[15] {www.ispionline.it/it/pubblicazione/brexit-laccordo-di-johnson-ecco-cosa-cambia-24198}
[16] {www.bbc.com/news/uk-politics-50572502}
[17]{ www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Brexit-86540d23-e118-47eb-a499-9d6937f9bdc7.html?refresh_ce}
[18] {329 a favore e 299 contro. }
[19] {www.ilpost.it/2019/10/23/brexit-rinvio-dopo-il-31-ottobre/}
[20]{ 322 contro (tra cui il DUP) e 308 a favore (di cui 5 laburisti e 38 indipendenti). }
[21] {Attualmente Presidente della Commissione europea. }
[22] {www.ilsole24ore.com/art/brexit-l-ue-pronta-concedere-proroga-tre-mesi-regno-unito-ACySawu}
[23]{www.repubblica.it/esteri/2019/10/29/news/brexit_svolta_elezioni_anticipate_labour-239792749/}
[24]{www.ispionline.it/it/pubblicazione/come-brexit-ha-spaccato-politica-e-societa-del-regno-24328?fbclid=IwAR0vMsENXNsnWDZ8YTC8aFsjDEkA0Jx6vjnKqClROdtruKyftYvRq5F9FTE}
[25] {www.ispionline.it/it/pubblicazione/brexit-laccordo-di-johnson-ecco-cosa-cambia-24198}
[26] {www.ilsole24ore.com/art/perche-ha-vinto-boris-johnson-e-disfatta-labour-corbyn-ACZToC5}
[27]{www.ispionline.it/it/pubblicazione/come-brexit-ha-spaccato-politica-e-societa-del-regno-24328?fbclid=IwAR0vMsENXNsnWDZ8YTC8aFsjDEkA0Jx6vjnKqClROdtruKyftYvRq5F9FTE}
[28] {Ibidem. }
[29] {foreignpolicy.com/2019/12/12/is-britains-election-really-about-brexit/}
[30] {Ibidem. }
[31]{www.ispionline.it/it/pubblicazione/elezioni-uk-johnson-pigliatutto-24595?fbclid=IwAR1nxAgFVs9RuJlAZSWvzpfL2XZ1sryYk1QTJet8ZWU7Hr31qNhdyGHc5tE}
[32] {foreignpolicy.com/2019/12/12/is-britains-election-really-about-brexit/}
[33]{www.ispionline.it/it/pubblicazione/elezioni-uk-johnson-pigliatutto-24595?fbclid=IwAR1nxAgFVs9RuJlAZSWvzpfL2XZ1sryYk1QTJet8ZWU7Hr31qNhdyGHc5tE}
[34] {www.bbc.com/news/uk-politics-50572502}
[35] {foreignpolicy.com/2019/12/12/is-britains-election-really-about-brexit/}
[36] {www.ilsole24ore.com/art/perche-ha-vinto-boris-johnson-e-disfatta-labour-corbyn-ACZToC5}
[37] {www.theguardian.com/politics/ng-interactive/2019/dec/12/uk-general-election-2019-full-results-live-labour-conservatives-tories}
[38]{www.theguardian.com/commentisfree/2019/dec/15/the-guardian-view-on-labours-defeat-an-existential-crisis-with-no-easy-solution}
[39] {Più specificamente, si fa riferimento alle circoscrizioni che vanno da Wrexham nel Galles del Nord a Blyth Valley nel Northumberland. }
[40]{www.theguardian.com/politics/2019/dec/13/labours-red-wall-demolished-by-tory-onslaught}
[41]{www.theguardian.com/commentisfree/2019/dec/15/the-guardian-view-on-labours-defeat-an-existential-crisis-with-no-easy-solution}
[42] {www.theguardian.com/politics/2019/dec/13/five-reasons-why-labour-lost-the-election}
[43] {Ibidem. }
[44] {Ibidem. }
[45]{www.ispionline.it/it/pubblicazione/brexit-actually-24616?fbclid=IwAR0g7KSNNsdmL8-iVI-tluhTVFgGl07MFv1SB7FXQqvG__5zENlr6XVqQnY}
[46]{www.theguardian.com/commentisfree/2017/nov/24/singapore-on-thames-post-brexit-britain-wealthy-city-state
[47]{www.ispionline.it/it/pubblicazione/brexit-actually-24616?fbclid=IwAR2RgbqYa0uCLqmi7RKttPW1pzO_kQDCylDV8ktsOoLfCrJE0hFewygwY_8}
[48] {www.theguardian.com/politics/2019/dec/15/johnson-warned-majority-will-not-speed-up-brexit-talks}
[49] {Ibidem. }
[50] {www.ilsole24ore.com/art/johnson-ha-fretta-e-rimette-tavolo-brexit-senza-accordo-ACkFlo6}
[51] {Ibidem. }
[52] {www.ansa.it}
[53] {www.ilsole24ore.com/art/johnson-ha-fretta-e-rimette-tavolo-brexit-senza-accordo-ACkFlo6}
[54] {foreignpolicy.com/2019/12/12/is-britains-election-really-about-brexit/}
Foto copertina: The UK general election has given a large majority to the British Conservatives, allowing PM Boris Johnson a comfortable margin to pass his Brexit deal in parliament. Copyright Ben Stansall/Pool via REUTERS
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