L’atteggiamento dei principali partiti islamisti algerini di fronte al recente referendum costituzionale ha messo in luce la posizione “moderata” che occupano nel panorama politico del Paese due decenni dopo la fine della guerra civile.
A cura di Sara Zanotta*
Il 1° novembre 2020 si è tenuto in Algeria il referendum di riforma costituzionale proposto dal presidente Tebboune e da lui considerato “la principale priorità del mandato da presidente”[1]. Tra gli oppositori della riforma si trovano alcuni dei principali partiti islamisti che hanno chiesto ai loro sostenitori di recarsi alle urne ma di votare “no”, diversamente da quanto richiesto da altri esponenti dell’opposizione, come gli attivisti del movimento di protesta noto con il nome di Hirak, che hanno scelto di boicottare il voto astenendosi.
Con questa decisione, i partiti islamisti “moderati” sembrano aver voluto mantenere la linea adottata negli ultimi anni, caratterizzata dal tentativo di fare un’opposizione non eccessivamente aperta alla leadership algerina. Questo atteggiamento è frutto della storia recente dell’islamismo nel Paese, che vede nella guerra civile degli anni Novanta un momento di rottura fondamentale successivamente al quale i partiti islamisti hanno dovuto rifiutare il ricorso alla violenza e utilizzare la partecipazione alle elezioni come unico modo per realizzare i propri programmi[2].
Nonostante la presenza di movimenti islamisti già nel periodo coloniale e della partecipazione della Associazione degli Ulama algerini al Fronte di Liberazione Nazionale durante la guerra d’indipendenza, l’Algeria dal 1962 alla fine degli anni Ottanta fu un paese secolare, in cui “la triplice alleanza tra esercito, Stato e partito unico controllava la politica algerina”[3]. Dopo le proteste del 1988, la riforma costituzionale del febbraio 1989 mise fine al ruolo egemonico del Fronte di Liberazione Nazionale e diede avvio al multipartitismo nel Paese[4], nel quale si inserì il Fronte Islamico di Salvezza (FIS), diventando il principale partito islamista dell’epoca. Dopo aver dato prova di vicinanza alla popolazione in occasione del terremoto del 1989, quando gli aiuti del FIS arrivarono prima di quelli dello Stato, e includendo due anime, una più moderata e una più radicale, il partito riuscì a raccogliere un forte sostegno elettorale, tale per cui, dopo essersi imposto alle elezioni amministrative del 1990, ottenne una vittoria schiacciante al primo turno delle elezioni legislative del 1991.
A causa del timore che il secondo turno consegnasse il Paese nelle mani del partito islamista, il voto venne annullato. Da quello che sembrava poter essere un processo democratico che avrebbe permesso agli islamisti di ottenere il potere tramite regolari elezioni, ebbe inizio invece un periodo di sanguinosa guerra civile, caratterizzata dalla proliferazione di gruppi terroristici islamisti.
Nonostante i tentativi di repressione di questi ultimi e la dissoluzione del FIS, un islamismo algerino più moderato non solo sopravvisse alla cosiddetta “tragedia nazionale”, il termine con cui spesso ci si riferisce agli eventi degli anni ’90, ma riuscì anche a farsi strada nella politica algerina già alla metà di quel decennio.
In quel periodo, i leader di un partito islamista, il Movimento della Società per la Pace (MSP), ritennero che fosse fondamentale partecipare attivamente all’istaurazione di nuove basi istituzionali in cui potessero essere integrati i partiti islamisti e mantenere visibilità nazionale[5].
Il partito entrò quindi a fare parte nel 1994 del Consiglio Nazionale di Transizione, successivamente si unì alla coalizione governativa e nel 1997 ottenne il secondo posto all’Assemblea nazionale popolare. Ebbe inizio quindi una fase di integrazione dei partiti islamisti a livello istituzionale, inedita nella storia dell’Algeria indipendente e caratterizzata da due fattori: la moderazione e l’equilibrio, segnando una svolta rispetto al programma dei partiti islamisti di fine anni ’80[6].
Questa fase di integrazione terminò nel 2012, anno in cui tre partiti islamisti, MSP, Nahda e Islah, presentarono liste comuni nell’Alleanza dell’Algeria Verde. In questo caso, però, scelsero di non entrare a far parte della compagine governativa, adottando quindi una nuova strategia di opposizione che, secondo alcuni studiosi, sarebbe stata la conseguenza dell’incapacità dei partiti islamisti algerini di “salire sulla cresta dell’onda delle proteste” delle Primavere Arabe[7].
Tuttavia, pur posizionandosi all’opposizione, i partiti islamisti con seggi all’Assemblea nazionale continuarono a sviluppare una politica basata su moderazione ed equilibrio con l’obiettivo, come riferito dall’esecutivo del MSP, di promuovere “il ruolo dell’opposizione politica pacifica come mezzo di sviluppo e di stabilità della società”[8] e sforzandosi di sottolineare che le azioni governative non rispondevano alle aspirazioni del popolo dal punto di vista religioso[9].
Proprio quest’ultimo aspetto è stato al centro dell’opposizione della maggior parte dei partiti islamisti al referendum costituzionale del 1° novembre 2020. Questi, infatti, hanno incentrato la loro critica su un punto specifico del progetto di revisione costituzionale: le modifiche introdotte circa lo status della lingua berbera, il tamazight. Già con la precedente riforma costituzionale, quella del 2016, il tamazight era diventato “lingua nazionale e ufficiale”[10]. L’attuale riforma prevede, però, una novità: la disposizione relativa allo status del tamazight come lingua nazionale e ufficiale non potrà essere suscettibile di riforma costituzionale, uno status finora garantito solo all’arabo. L’equiparazione tra le due lingue ha spinto i partiti islamisti a parlare di “minaccia per la lingua araba”[11] e per “l’unità della nazione”[12], sottolineando la centralità che dal loro punto di vista dovrebbe avere la lingua araba in quanto lingua del Corano.
La questione del tamazight ha fatto riemergere anche la preoccupazione circa lo status della lingua francese. Infatti, Abdallah Djaballah, segretario generale di un altro partito islamista, il Fronte Giustizia e Sviluppo, ha sostenuto che la costituzionalizzazione del tamazight non fosse altro che un’azione volta a sfasciare l’arabo per favorire il francese[13].
La posizione degli islamisti nei confronti del referendum è particolarmente significativa per comprendere il ruolo ambiguo che occupano nella politica algerina attuale. Mentre altri esponenti dell’opposizione, come gli attivisti dell’Hirak, hanno scelto la via dell’astensione come arma politica per mostrare la propria opposizione alla riforma, ritenuta meramente cosmetica e sostanzialmente inutile considerato il contrasto tra l’introduzione di nuovi diritti e la realtà dei fatti, in cui è frequente la loro violazione, gli islamisti hanno preferito concentrare la loro opposizione esclusivamente sugli emendamenti che equiparano il tamazight alla lingua del Corano. Inoltre, mentre l’Hirak, scegliendo di astenersi, ha messo in luce il rifiuto di un referendum di cui non riconosce la legittimità, in quanto progetto di un presidente e di una leadership a loro volta illegittimi, poiché non sono espressione di un reale processo democratico, la decisione dei partiti islamisti di chiedere ai propri elettori di recarsi alle urne, seppure per votare no, riflette una volontà, come sottolineato dal politologo Abed Charef, di non incrinare eccessivamente i rapporti con il potere in vista delle prossime elezioni legislative e locali[14].
Queste si sarebbero dovute tenere inizialmente subito dopo il referendum, ma il ricovero del presidente Tebboune in Germania, dopo aver contratto il Coronavirus, ha segnato l’inizio di una fase di stallo che, nonostante l’apparizione in video di Tebboune e la sua richiesta di adottare una nuova legge elettorale in vista delle elezioni, sembra non essere ancora giunta alla fine. Bisognerà quindi attendere il 2021 per comprendere se la posizione moderata adottata nei confronti del referendum ripagherà i partiti islamisti oppure no.
Note
[1] “Fondement et objectifs de cette révision”, in Constitution 2020, https://www.constitution2020.dz/fr/goals/.
[2] B. Banzenine, “Les députés islamistes algériens (2012-2017): ce que le passage à l’oppositions fait à “la moderation””, in L’Année du Maghreb, Vol. 2, 2020, https://journals.openedition.org/anneemaghreb/6203.
[3] R. Mortimer, “Islam and Multiparty Politics in Algeria”, in The Middle East Journal, Vol. 45, N. 4, p. 580.
[4] Ivi, p. 576.
[5] C. Dupuy-Lorvin, “Trajectoire d’un parti islamiste dans l’Algérie post-guerre civile. Le cas du Mouvement de la Societé pour la Paix”, in L’Année du Maghreb, Vol. 22, 2020, https://journals.openedition.org/anneemaghreb/6232.
[6] B. Banzenine, “Les députés islamistes algériens (2012-2017): ce que le passage à l’oppositions fait à “la moderation””, op. cit..
[7] A.N. Djabi, “The Impasse of Political Transition: Three Generations And Two Scenarios”, Arab Center for Research and Policy Studies, 2012, p. 16.
[8] B. Banzenine, “Les députés islamistes algériens (2012-2017): ce que le passage à l’oppositions fait à “la moderation””, op. cit.
[9] Ibidem.
[10] Articolo 4, Costituzione del 2016, https://www.joradp.dz/TRV/Fcons.pdf.
[11] A. Benali, “Révision de la Constitution: Tamazight cible des islamistes”, in Algérie Eco, 6 ottobre 2020, https://www.algerie-eco.com/2020/10/06/revision-de-la-constitution-tamazight-cible-des-islamistes/.
[12] Ibidem.
[13] A. Saïd, “Algérie: pourquoi les islamistes Continuent de s’opposer à l’amazigh”, in Jeune Afrique, 12 ottobre 2020, https://www.jeuneafrique.com/1057038/politique/algerie-pourquoi-les-islamistes-continuent-de-sopposer-a-lamazigh/.
[14] A. Meddi, “Algérie : quand la réforme de la Constitution réveille les polémiques identitaires”, in Le Point Afrique, 15 ottobre 2020, https://www.lepoint.fr/afrique/algerie-quand-la-reforme-de-la-constitution-reveille-les-polemiques-identitaires-15-10-2020-2396592_3826.php.
Foto copertina: Gli algerini passano davanti ai cartelloni della campagna prima del referendum di novembre, il 22 ottobre ad Algeri. (AFP). TheArabWeekly
*Studentessa di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Milano, si occupa di paesi islamici, in particolare Algeria e Mali. Precedentemente ha lavorato come research trainee presso Villa Vigoni – Centro italo-tedesco per il dialogo europeo e CESPI – Centro Studi Problemi Internazionali. Dal 2019 è membro del comitato di redazione per l’Osservatorio su Nuovi Autoritarismi e Democrazie, di cui è responsabile d’area MENA, Africa e Asia, e della rivista accademica ad esso affiancata.