Il tema impresa e diritti umani è maturato rapidamente nell’arco degli ultimi vent’anni e resta debitore agli sforzi profusi dalle Nazioni Unite. Nonostante i passi avanti compiuti, gli obblighi multilaterali in materia sono ancora deboli.
“Business and Human Rights”, un dibattito crescente
Nell’era della globalizzazione dei mercati le imprese sono diventate degli attori rilevanti nel panorama internazionale, in virtù delle complesse reti di produzione e di distribuzione di cui dispongono. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, le aziende sono state protagoniste di disastri ecologici, abusi e scandali sempre crescenti che hanno messo in luce due fatti. Il primo è che non solo gli Stati, ma anche le imprese hanno un enorme impatto sui diritti umani; direttamente attraverso le politiche e le attività aziendali, indirettamente per mezzo delle catene di fornitura o dei partners commerciali. Il secondo è la carenza di governance internazionale e di norme che regolano queste materie. Dal tentativo di colmare tali lacune è scaturito un dibattito presso le istituzioni internazionali e locali che va sotto il nome di ‘Business and Human Rights’ (BHR), in italiano si usa l’espressione Impresa e Diritti Umani.
La spinta da parte delle Nazioni Unite
Negli ultimi anni del XX secolo ci furono i primi tentativi da parte dell’ONU di individuare delle regole per il comportamento delle multinazionali all’estero, attraverso il “The United Nations Code of Conduct for Transnational Corporations” degli anni Ottanta e la bozza “Norms on the responsibilities of transnational corporations and other business enterprises with regard to human rights” del 2003. Entrambi i progetti risultarono troppo ambiziosi per l’epoca e si arenarono sugli interessi divergenti dei principali blocchi politici e imprenditoriali [[1]]. Nell’anno 2011 c’è stato un importante passo avanti con la creazione dei United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights (UNGPs) del Rappresentante Speciale ONU John Ruggie [[2]]. Gli UNGPs si articolano in 31 Principi, basati su tre pilastri. 1) il dovere dello Stato di garantire la protezione dei diritti umani dall’attività imprenditoriale, attraverso politiche, normative e sentenze. 2) la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani, avvalendosi del processo di due diligence per evitare di violare i diritti altrui e far fronte ai possibili impatti negativi. 3) la necessità di assicurare alle vittime degli abusi imprenditoriali l’accesso a misure di rimedio efficaci, sia attraverso procedura giudiziale che stragiudiziale. Nello specifico, le imprese devono rispettare i diritti della persona sanciti nella Carta internazionale dei diritti umani [[3]] e nella Dichiarazione tripartita dell’OIL [[4]]. Devono adottare degli strumenti, quali la due diligence obbligatoria e i meccanismi di reclamo a livello operativo, per prevenire, gestire e rimediare ai casi di violazione. Infine, devono esprimere pubblicamente il proprio policy commitment ed effettuare rendicontazioni interne ed esterne su questi temi.
Trattato vincolante per le imprese, una chimera?
Quando il Rappresentante Speciale ONU presentò gli UNGPs al Consiglio per i Diritti Umani disse che si trattava di un passo importante, ma la strada da fare era ancora lunga. Affermare che le imprese hanno la responsabilità di rispettare i diritti umani è diverso da imporre l’obbligo di proteggerli. Soprattutto, i Principi Guida restano principi, non sono uno strumento giuridico di hard law. Quello che manca oggi è un trattato internazionale vincolante per le imprese. Nel 2014, dopo un acceso dibattito intergovernativo all’interno del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU [[5]], è stato istituito il Working Group on Transnational Corporations and Other Business Enterprises. Tale gruppo di lavoro ha il mandato di elaborare una proposta di strumento internazionale giuridicamente vincolante che regoli l’attività delle imprese in materia di BHR [[6]]. Per prima cosa si è discusso del contenuto, dello scopo, della natura e della forma del trattato, per poi passare a negoziare gli elementi fondamentali dello stesso. La svolta tanto attesa ha suscitato subito un’ondata di resistenze. Stati Uniti e Unione europea non hanno partecipato attivamente al negoziato, mentre Russia e Cina si sono opposte alle proposte più progressiste. All’ostacolo costituito dagli influenti Stati membri dell’ONU, si sommano le associazioni industriali di categoria, che hanno presentato riserve di tipo giuridico e politico [[7]]. Nonostante le polemiche, i negoziati di una bozza del testo vanno avanti [[8]]. Il rischio è che si giunga alla stesura di un trattato fantasma senza ratifiche, oppure svuotato di contenuto concreto per poter ricevere le adesioni.
Puntare sul paradigma della sostenibilità
L’approvazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile del 2015, da parte dell’Assemblea Generale ONU, incontra una congiuntura internazionale favorevole su questi temi. Da un lato, l’interesse crescente di Cina e Stati Uniti per i problemi ambientali. Dall’altro, le recenti posizioni dell’Unione europea, Germania in primis, sulla transizione ecologica con i programmi del Next Generation EU. Ciò rappresenta un’opportunità per la sfera BHR che potrebbe salire sul carro della Sostenibilità, dato che per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 e delle strategie europee è necessario valorizzare i diritti delle persone e dei lavoratori. Inoltre, le attuali aziende leader in tema di sostenibilità dimostrano il vantaggio competitivo del nuovo modello di business. Ciò potrebbe generare una concorrenza sana tra soggetti privati con ripercussioni positive che vanno ben oltre le disposizioni di legge.
Note
[1] C. F. Hillemanns, “UN Norms on the Responsibilities of Transnational Corporations and Other Business Enterprises with Regard to Human Rights.” in German Law Journal 4, no. 10, 2003, pp. 1065-66.
[2] United Nations, The UN Guiding Principles on Business and Human Rights. Implementing the United Nations “Protect, Respect and Remedy” Framework, OHCHR, New York, Ginevra, 2011.
[3] La Carta o International Bill of Human Rights si compone della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948” e dei Patti del 1966: la “Convenzione internazionale sui diritti civili e politici” e la “Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali”.
[4] L’ILO Tripartite Declaration of Principles Concerning Multinational Enterprises and Social Policy, è stata adottata per la prima volta nel 1977, poi modificata nel 2000 e nel 2006 e infine rivista nel 2017.
[5] La Risoluzione 26/9 fu promossa da un gruppo di Stati: Bolivia, Cuba, Sudafrica e Venezuela, guidati dall’Ecuador. Dei 47 Stati membri del Consiglio per i Diritti Umani, 20 votarono a favore, 14 contro e 13 si astennero. Gli Stati europei nel Consiglio (tra cui Italia, Francia e Germania), così come gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud votarono contro. M. Bordignon, “La roadmap verso uno strumento internazionale giuridicamente vincolante su Imprese e Diritti Umani alla luce del ruolo degli Attori Non-Statali”, in Diritto & Questioni Pubbliche, Vol. 16/2, Università di Palermo, 2016, p. 90. R. E. Cîrlig , “Business and human rights: from soft law to hard law?”, in Juridical Tribune, Vol. 6, Issue 2, Dicembre 2016. p. 240.
[6] Assemblea Generale ONU, 14 luglio 2014, Resolution adopted by the Human Rights Council 26/9 Elaboration of an international legally binding instrument on transnational corporations and other business enterprises with respect to human rights.
[7] De Salvo Giosuè (a cura di), Business e diritti umani. Come vincolare la libertà di impresa al rispetto dei diritti umani, Mani tese, Milano, 2019. p. 32.
[8] Consiglio per i diritti umani ONU, Open-ended intergovernmental working group on transnational corporations and other business enterprises with respect to human rights. https://www.ohchr.org/en/hrbodies/hrc/wgtranscorp/pages/igwgontnc.aspx
Foto copertina: Immagine AEFJN