Prosegue senza sosta, dopo 45 anni, la ricerca delle Abuelas de Plaza de Mayo
Accanto alle gioie sportive, l’Argentina – grazie alle instancabili Abuelas de Plazo de Mayo, che non hanno mai smesso di lottare – ha potuto festeggiare il ritorno alla verità dei nipoti 131 e 132. Tutto ciò ha reso per la popolazione argentina, e non solo, decisamente indimenticabili le ultime settimane del 2022.
Fra scienza e indagini: le Abuelas de Plaza de Mayo e il DNA mitocondriale
La dittatura argentina – tristemente nota per i “voli della morte” – negli anni fra il ‘76 e l’ ‘83, si è macchiata di qualcosa di forse poco noto, ma altrettanto crudele: la sparizione di bambini. Alcuni, di pochi anni, sequestrati assieme ai loro genitori e altri, nati mentre le loro madri erano state imprigionate nei centri di detenzione sparsi nel paese[2]. Grazie alla ricerche svolte, si è scoperto che la maggior parte di questi bambini era stata data in adozione – molto spesso proprio alle famiglie dei militari -; le loro identità originarie cancellate, e sostituite da nuovi nomi e nuovi ricordi. Nel corso dei decenni i dati e le testimonianze raccolte hanno accertato l’esistenza di un piano sistematico, e ben ramificato, per l’appropriazione di diversi neonati. Questo comprendeva: reparti di maternità clandestini presenti nella ESMA, personale medico e liste di persone disposte ad adottare i figli dei desaparecidos.
Il 22 ottobre 1977, 12 donne– originariamente aderenti alle Madres de Plaza de Mayo – decisero di mobilitarsi, spinte dal desiderio di ritrovare i figli dei loro figli rapiti dalle Forze Armate. Nacquero, così, le Abuelas Argentinas con Nietos Desaparecidos, note ai più come: Abuelas de Plaza de Mayo. Essendo operative nel pieno della Dittatura, le Abuelas, adottarono degli stratagemmi per non essere, a loro volta, sequestrate. Quando si riunivano in pubblico, cercavano di sembrare delle normalissime signore intente a prendere il tè insieme o a festeggiare il compleanno di qualcuno. Elaborarono delle parole in codice per poter parlare tranquillamente e non essere scoperte: «El hombre blanco» era il Papa; «Cachorros», «Cuadernos» e «Flores» erano sinonimi per identificare i bambini; «Chicas» o «Jovenes» erano le madri scomparse, mentre le «Viejas» o le «Tías viejas» erano le stesse Abuelas. Quando, invece, si incontravano al chiuso in qualche edifico o abitazione, evitano di prendere l’ascensore per non essere viste dai vicini; abbassavano le tapparelle e parlavano sottovoce per non essere ascoltate. Si trattava, nella pratica quotidiana, di semplici persone che, senza alcun tipo di esperienza politica, cercavano di indagare e scoprire la verità in un contesto in cui non esisteva il minimo rispetto dei diritti umani. Il lavoro per le Abuelas fu, fin dall’inizio, molto e, talvolta, pericoloso. Diversi sono stati gli impegni “investigativi” che le coinvolsero. Una signora entrò, in segreto, in un sanatorio psichiatrico per seguire una pista; un’altra iniziò, sotto falso nome, a lavorare come domestica in una casa per stare vicina a una bambina. Al contempo, iniziarono a redigere i primi elenchi corredati di foto, con i nomi di ciascun bambino e ciascuna donna incinta, rapiti dai Militari. Scrissero all’allora papa, Paolo VI, alle Nazioni Unite e alla Croce Rossa. Ma non solo; il lavoro investigativo incluse periodiche visite al tribunale minorile di Buenos Aires. Ciò perché c’era il forte sospetto che i loro nipoti fossero passati, o sarebbero passati da lì, prima di essere adottati. Il disinteresse, fu la risposta più gettonata dai magistrati. Tuttavia, tempo dopo si sarebbe dimostrato che molti di loro avevano ignorato tutte le richieste presentate, e consegnato i bambini senza approfondire nulla sulle loro famiglie d’origine. Sarà poi grazie ai giornalisti stranieri presenti in Argentina in occasione del Mondiale del 1978[3], che l’Organizzazione riuscì ad estendere la propria rete operativa e ad ottenere maggiore risonanza. A fronte di quel richiamo pubblico, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani annunciò la creazione di un’indagine su alcuni bambini scomparsi, avvalendosi di un dossier relativo a 5566 casi di sparizione, redatto proprio dalle Abuelas. Mentre la dittatura e le ricerche proseguivano, arrivarono le prime restituzioni dei fratelli Grisonas e delle sorelle Britos. Queste, tuttavia, misero in evidenza anche una serie di problemi di natura legale e biologica, legati a come dimostrare, con assoluta precisione, l’identità delle persone coinvolte. Le nonne, dunque, si rivolsero alla scienza per sviluppare una tecnica che potesse determinare la discendenza di una persona in assenza dei propri genitori. Il risultato fu la creazione dell’Índice de abuelidad, in grado di raggiungere il 99,99% di certezza sulla parentela di una persona. A ciò si aggiunse la creazione di un database genetico, contente le mappe genetiche di tutte le famiglie con bambini scomparsi. Al contempo, crebbe sia la rete interdisciplinare e associativa dell’Organizzazione, che il prestigio internazionale riconosciutale. Ciò portò molte persone ad avvicinarsi, autonomamente, all’Associazione per fornire informazioni sui bambini scomparsi o per indagare sulle proprie origini. A partire dagli anni 2000, per semplificare le procedure di riconoscimento e identificare con maggiore precisione i figli dei desaparecidos, si iniziò a fare ricorso al test del DNA. In particolare, le ricerche si avvalsero di uno strumento preciso, il DNA mitocondriale, trasmettibile esclusivamente dalla madre al figlio. In questo caso, pur in assenza del DNA materno, è stato il DNA delle nonne ad essersi rivelato fondamentale. Essendo questo comune, anche in assenza della generazione intermedia, la comparazione darà il medesimo esito. In questo modo, 132 casi di bambini sottratti alle famiglie durante la Guerra Sucía, sono stati risolti. 132 persone alla ricerca della propria identità hanno scoperto, spesso dopo moltissimi anni, la loro vera storia familiare[4].
In Argentina il ritorno alla verità dei nipoti 131 e 132
Lo scorso 22 dicembre, mentre l’Argentina era in festa, Estela Barnes de Carlotto e altri membri delle Abuelas de Plaza de Mayo, hanno annunciato il ritrovamento del “Nipote 131”, figlio di Lucía Ángela Nadin e Aldo Hugo Quevedo. I due giovani si erano conosciuti fra i banchi della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Cuyo e, dopo 6 mesi, si sposarono. La coppia viveva a Mendoza dove Lucía insegnava francese, latino e greco, mentre Aldo lavorava in una legatoria. All’inizio degli anni ‘70 si erano uniti al PRT – ERP, un gruppo guerrigliero argentino frutto della scissione del Partito Revolucionario de los Trabajadores (PRT) e dell’Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP); la prima con il soprannome di “Chiquita” e il secondo come “Dipy”. Dopo l’inizio della repressione armata e il sequestro, nel maggio 1978, dell’amico Nicolás Zárate, la coppia decise di trasferirsi a Buenos Aires. Tuttavia, fra settembre e ottobre 1977, anche Lucía – presumibilmente incinta di 2 o 3 mesi – e Aldo furono arrestati e imprigionati dapprima nel centro clandestino Club Atlético e, successivamente, a El Banco. Dalle testimonianze raccolte fra i sopravvissuti si è appreso che, fra marzo e aprile del 1978, Lucía è stata trasferita da El Banco alla ESMA, per partorire. Da quel momento in poi – racconta l’Organizzazione- non si è saputo più nulla né della coppia, che resta desaparecida, né del bambino. In un primo momento, non essendo la famiglia al corrente della gravidanza di Lucía, le ricerche si sono concentrate su i due giovani. Solo diversi anni dopo, grazie ai racconti di alcuni amici della coppia, i familiari scoprirono la gravidanza. Da quel momento in poi, dunque, partì una nuova indagine. La prima denuncia venne presentata dal Movimiento Ecuménico por los Derechos Humanos (MEDH) alla Comisión Nacional por el Derecho a la Identidad (CoNaDI) che, nel giugno 2004, confermò la gravidanza di Lucía. Un anno dopo, la famiglia Nadin depositò un campione di DNA alla Banca Nazionale del Dati Genetici (BNDG). La prima via verso il “Nipote 131” si aprì, però, soltanto nel 2015 quando, grazie alle ricerche svolte dalla CoNaDi e dalle Abuelas, un uomo venne identificato come possibile figlio di desaparecidos. Dopo un tentativo fallito di contattarlo, nel 2019 la CoNaDI ha trasmesso l’intero faldone alla Procura specializzata in rapimenti di minori durante il terrorismo di Stato. Di rimando, nell’aprile 2019, la procura ha presentato una denuncia al Tribunale Federale 4, che ha rintracciato l’uomo e, il 14 settembre, l’ha invitato a sottoporsi ad un test genetico. La comparazione tra il DNA deposito dai Nadin e l’uomo – che era dubbioso sulla propria identità, ma non aveva mai voluto approfondire – ha dato esito positivo; si trattava proprio del figlio di Lucía e Aldo[6]. Storia in parte diversa è quella del “Nipote 132”, Juan José Morales, il cui ritorno alla verità è stato annunciato da una conferenza stampa il 28 dicembre 2022. Diversamente dal “Nipote 131”, Morales ha iniziato ad indagare spontaneamente sulla sua identità nel 2004 quando, dopo la morte dei genitori, – Juan Cazorla e Herminia Navas de Cazorla – quelli che credeva suoi fratelli gli negarono parte dell’eredità e gli comunicarono che i deceduti non erano i suoi genitori biologici. L’uomo, dopo essersi riappropriato dei propri documenti d’identità[7] e già da tempo dubbioso circa la propria identità, ha iniziato un personale percorso di ricerca. Il primo indizio fondamentale è arrivato dal 2° documento d’identità secondo cui sua madre si chiamava Mercedes del Valle Morales. Si sarebbe poi scoperto che alcuni mesi dopo la nascita del figlio, nel 1976, Mercedes si era stabilita a Monteros per lavorare per i Cazorla, proprietari di diverse aziende agrumicole e zuccheriere nella provincia di Tucumán. Il 20 maggio dello stesso anno, però, un gruppo di militari giunse nella proprietà dove Mercedes viveva e lavorava e la sequestrò. Pochi giorni dopo, anche i genitori della giovane – José Ramon Morales e Toribia Romero de Morales – e gli zii – José Silvano[8], Juan Ceferino e Julio César Morales – furono rapiti dalle Forze Armate; i sei risultano ancora oggi desaparecidos. Le ricerche personali del “Nipote 132” proseguirono coinvolgendo anche le Abuelas de Plaza de Mayo. Nel 2008, grazie al DNA depositato presso la BNDG, Morales ha avuto la certezza assoluta di essere figlio di Mercedes del Valle Morales, proprio come attestavano i suoi documenti. Dopo le conferme sulla filiazione materna, il “Nipote 132”, ha depositato il proprio profilo genetico presso l’Equipe di Antropologia Forense Argentina che, tempo dopo, identificò i resti della madre nel Cimitero Nord di Tucumán. Sebbene una parte di verità fosse venuta a galla, si rendeva necessario dimostrare che si era trattato effettivamente di un caso di sottrazione indebita di minore. Pertanto, occorreva verificare la filiazione paterna del “Nipote 132” e riesumare il corpo di Juan Cazorla in modo da confrontare i due DNA. L’indagine, dunque, è stata presa in carico dalla Procura per i Crimini contro l’Umanità e dalla Procura 1 di Tucumán, nel febbraio 2020. Tuttavia, a causa della pandemia e delle resistenze dei figli di Cazorla, si è assistito ad un lungo slittamento delle procedure. Infine, la mattina del 28 dicembre 2022, mediante un rapporto della Banca Nazionale dei Dati Genetici, il Tribunale Federale di Tucumán ha attestato che Juan José Morales non era figlio dei Cazorla e che «era stato effettivamente vittima di rapimento, occultamento e sostituzione di identità nell’ambito del Terrorismo di Stato»[9]. L’intero caso – conclude l’Organizzazione – rimarrà aperto con la speranza che chiunque abbia informazioni su Mercedes del Valle Morales, il suo compagno e la sua famiglia scomparsa, possa raccontare ciò che sa[10].
«Nunca más silencio, nunca más impunitad»
Se il ritorno alla verità per alcuni nipoti si è rivelato in parte semplice, tanto da unirsi alle Abuelas de Plaza de Mayo o da fondare, a loro volta, l’associazione H.I.J.O.S[11]; per altri, accettare di aver vissuto decenni di menzogne è stato il frutto di un lungo e logorante processo psicologico. In questo senso, la difficoltà ad accettare, per molti dei nipoti coinvolti, di aver vissuto un’intera vita di bugie e falsità ha spinto l’Organizzazione a mettere a punto uno specifico “Centro di assistenza psicologica per il Diritto all’Identità”, dedicato a tutti gli uomini e le donne sottratti illegalmente. La ricerca e la lotta, però, proseguono. «Solo negli ultimi 4 anni – scrive l’Organizzazione – sono state analizzate oltre 2000 persone con dubbi sulla propria identità, tramite presentazione spontanea; e circa 400 attraverso il sistema giudiziario»[12]. È un lavoro fatto di costanza e pazienza quello portato avanti, ma la strada da percorre è ancora lunga. In chiusura, un appello alla verità: «I nostri nipoti e le nostre nipoti hanno già circa 45 anni e sicuramente sono uomini e donne con una vita costruita, con le proprie famiglie. Noi nonne diciamo loro che vogliamo aggiungere verità alla loro storia. Per questo diciamo alla società di partecipare: basta qualsiasi informazione o sospetto per farsi avanti. Non tenete le informazioni per voi. Non rimanete nel dubbio. Rompete il silenzio»[13].
Note
[2] Il più utilizzato era la Escuela Superior de Mecánica de la Armada (ESMA). Nel 1981, grazie alle testimonianze di alcuni sopravvissuti, le Abuelas scoprirono l’esistenza di un reparto maternità clandestino in cui le partorienti stazionavano prima di essere separate dai propri figli.
[3] Per maggiori approfondimenti sui “Mondiali della vergogna” si veda: R. SCAMARDELLA, «Argentina ’78: il Mondiale visto dalle “pazze” di Plaza de Mayo», OpinioJuris, 18/01/23, consultabile al link: https://www.opiniojuris.it/argentina-78-il-mondiale-visto-dalle-pazze-di-plaza-de-mayo/.
[4] Per maggiori dettagli sull’Organizzazione, la sua storia parallela alla dittatura e i ritrovamenti, si veda: ABUELAS DE PLAZA DE MAYO, «La Historia de Abuelas, 30 años de búsqueda», 2007, consultabile al link: https://www.abuelas.org.ar/archivos/publicacion/abuelas30.pdf.
[6] ABUELAS, Comunicado, «Felicidad por el encuentro de un nuevo nieto, hijo de Lucía Nadin y Aldo Quevedo», 22/12/2022, consultabile al link: https://www.abuelas.org.ar/noticia/felicidad-por-el-encuentro-de-un-nuevo-nieto-hijo-de-lucia-nadin-y-aldo-quevedo-1734.
[7] Morales ne ha rinvenuti tre; nel più vecchio il suo cognome era Zelarayán, nel secondo Morales e soltanto nel terzo Cazorla.
[8] Secondo una testimonianza raccolta per La Gaceta, l’uomo è stato visto gravemente ferito presso la stazione di polizia di Villa Quinteros, a 25 km da Monteros. Sempre qui sarebbe stato sparato, a una distanza ravvicinata, mentre opponeva resistenza.
[9] ABUELAS, Comunicado «Resolvimos un nuevo caso y cerramos el 2022 con más verdad», 28/12/2022, consultabile al link: https://www.abuelas.org.ar/noticia/resolvimos-un-nuevo-caso-y-cerramos-el-con-mls-verdad-1736.
[10] Per maggiori approfondimenti sul caso del “Nipote 132” è possibile consultare l’intervista rilasciata da Juan José Morales al seguente link: https://www.eldiarioar.com/politica/juan-jose-morales-hijo-mercedes-valle-morales-nieto-recuperado-132_1_9849097.html.
[11] Hijos e Hijas por la Identidad y la Justicia contra el Olvido y el Silencio (H.I.J.O.S) è un’organizzazione internazionale nata nel 1995 in Argentina. Inizialmente ha raccolto le figlie e i figli di militanti vittime del terrorismo di Stato, ma in seguito ha visto la partecipazione di persone non direttamente legate alla dittatura civico-militare. Per maggiori approfondimenti si veda: https://www.hijos-capital.org.ar/.
[12] ABUELAS, Comunicado, «Felicidad por el encuentro de un nuevo nieto, hijo de Lucía Nadin y Aldo Quevedo», 22/12/2022.
[13] Ibidem.
Foto copertina: La presidente delle Abuelas de Plazo de Mayo, Estela Barnes de Carlotto (al centro), con altri membri dell’Organizzazione durante la conferenza di presentazione del Nipote 132 tenutasi a Buenos Aires il 28 dicembre 2022. Per maggiori approfondimenti consultare: https://www.instagram.com/p/CmuhJGcpIqx/. Argentina, ritrovati i nipoti 131 e 132