Industria, l’Italia al top in Europa. Una ripresa duratura?


La manifattura italiana, al contrario, dopo una perdita di oltre 40 punti percentuali risalenti ai mesi della piena pandemia, recupera stabilmente i livelli di produttività anteriori alla crisi.


 

Il posto dell’Italia nella manifattura globale arriva al settimo posto. Non solo. L’Italia diventa anche la locomotiva nell’Eurozona superando la Germania e la Francia nel recupero dei livelli di produttività pre-Covid19.
Nei due principali paesi europei, infatti, il pieno riassorbimento dello shock pandemico è “ancora lontano”, attestandosi rispettivamente a 10,5 e a 4,6 punti percentuali al di sotto dei livelli anteriori al lockdown. La manifattura italiana, al contrario, dopo una perdita di oltre 40 punti percentuali risalenti ai mesi della piena pandemia, recupera stabilmente i livelli di produttività anteriori alla crisi. Contemporaneamente, si assiste a un cambio di verso per quanto riguarda il backshoring, ovvero il rimpatrio delle attività produttive. È quanto emerge dal rapporto Scenari industriali del Centro Studi Confindustria[1].

Tra le ragioni della ripresa, secondo il rapporto, spicca la componente interna, come conseguenza innanzitutto delle misure governative di sostegno al reddito e di incentivo alla ripresa. Nel comparto delle costruzioni si assiste ad un boom di investimenti, a cui si affiancano i risultati positivi attinenti i macchinari, le attrezzature e l’hardware, con cifre fra le più alte dall’ultimo decennio. Sui tali numeri pesa anche il fatto che nel nostro Paese c’è un’esposizione molto più bassa, rispetto alle altre economie industrializzate, verso le strozzature che affliggono le catene globali del valore. Solamente il 15,4% delle imprese interpellate ha evidenziato dei vincoli nella scarsità di materiali o nell’inadeguatezza di impianti, a differenza della media europea del 44,3% o di quella tedesca del 78,1%. Da ultimo, ma con altrettanta importanza, spicca il fenomeno del backshoring, rafforzando una tendenza già in atto in diversi paesi occidentali e asiatici[2]. Le imprese interpellate dal Centro Studi hanno intrapreso, negli ultimi cinque anni, attività totali o parziali di rimpatrio delle forniture. Tra i settori più interessati ci sono l’alimentare, l’abbigliamento-tessile, il farmaceutico, le apparecchiature elettroniche e la produzione di mezzi di trasporto.

Effetto rimbalzo?

Questa ripresa improvvisa è forse il rimbalzo di un’economia che, a differenza di quella tedesca e francese, ha subito una caduta più consistente durante i mesi del lockdown? Oppure sono principalmente le misure governative che hanno saputo dosare il giusto mix di interventi per arginare i fattori negativi legati alla pandemia? Difficile dirlo ora, ma occorre rilevare che nella nostra economia esistono dei fattori strutturali che vanno affrontati con incisività. Tra questi c’è il debito. Le imprese ne hanno contratto molto, durante la pandemia, e nel 2020 ha raggiunto 4,1 punti di fatturato rispetto allo 0,3% del 2009. Come si evince dal rapporto, questo può condurre ad un problema di patrimonializzazione per far fronte agli investimenti. In un tessuto economico come quello italiano, eccessivamente sbilanciato sul peso delle micro e piccole aziende, le conseguenze di tale squilibrio potrebbero infrangersi sulla ripresa economica post-covid, danneggiandone il potenziale.

La misurazione della performance economica

Esiste anche un problema di misurazione della performance economica. Come evidenziato in un recente saggio scritto dagli economisti Joseph Stiglitz, Jean-Paul Fitousii e Martine Demond – intitolato “Misurare ciò che conta”[3], il Pil rappresenta una fotografia parziale della società. Dopo la recente crisi finanziaria del 2008 gli Stati Uniti hanno ricominciato a crescere, seppur lentamente, seguito poi da diversi Paesi europei. Sono rimaste però nascoste alcune dimensioni economiche negative che invece continuavano a persistere e ad aggravarsi. Le misurazioni standard dell’economia non erano in grado di evidenziale. Si tratta delle diseguaglianze e della democrazia, oltre che i danni all’ambiente. Queste tre crisi parallele, rispetto all’economia del Pil, se sottovalutate possono creare le condizioni per una super crisi di ampia scala. Per i tre economisti, pertanto, è possibile evidenziare quando un’economia cresce o va in crisi solo se viene adottato un nuovo pannetto di controllo, o cruscotto (dashboard), capace di rilevare le dimensioni della deprivazione (diseguaglianze, insicurezza economica, sostenibilità). Si tratta di benessere collettivo, a cui le decisioni di policy dei governi dovranno sempre più porre attenzione.

La coesione industriale

Dal punto di vista della sociologia industriale esiste anche un ulteriore indicatore, che i tre economisti non sembrano considerare nella giusta considerazione: la coesione industriale. La crescita delle disuguaglianze non riguarda solo il reddito e la ricchezza di famiglie e imprese ma anche di territori. Persino tra questi ultimi possono crescere le diseguaglianze, con la marginalità di molte aree localizzate, comprese le città. Dato che oggi sono le aree metropolitane quelle che maggiormente creano ricchezza al livello mondiale[4], occorre incrociare i dati del Pil con il successo o l’insuccesso in ambito urbano. New York, Londra o Parigi cosa hanno di differente rispetto a molte città dell’Europa mediterranea? Se il Pil cresce in tutte le città, il moltiplicatore di ricchezza, specie nel medio e lungo termine, non sarà lo stesso. In alcuni luoghi la crescita si autoalimenta e cresce esponenzialmente, in altri si decomprime facilmente e viene riassorbita dall’inadeguatezza competitiva.
Restano sullo sfondo, infine, le incertezze che stanno nascendo nell’economia globalizzata. Anche queste avranno il loro impatto nell’ostacolare o favorire una ripresa economica post-pandemica. Quale sarà l’evoluzione della pandemia? Si assisterà ad altre ondate con nuove restrizioni o la fase emergenziale tenderà a dissolversi? La dinamica dei prezzi al livello internazionale ha anch’essa un peso importante. I rincari del costo dell’energia indeboliscono la competitività economica, soprattutto per quei paesi a corto di materie prime. C’è poi la carenza dei microchip, i componenti tecnologici alla base dell’industria contemporanea, che bloccano numerose catene produttive. L’inflazione, che riappare sulla scena economica, aumenterà o è un fenomeno passeggero? Le conseguenze che questa avrà nelle politiche monetarie, in USA e in Europa, possono peggiorare o danneggiare qualsiasi politica industriale. Negli Stati Uniti l’inflazione sta diventando un problema, i cui esisti sono incerti. In Europa si aggiungono anche i timori per un possibile ritorno dell’austerity, con un ritorno del patto di stabilità, che potrebbe compromettere lo sviluppo delle politiche fiscali che la pandemia aveva sollecitato. In Cina c’è anche la crisi immobiliare. Per l’Italia, e per l’Europa, il segnale positivo è il Pnrr, ovvero il Piano per la Ripresa e la Resilienza. Per parlare però di una ripresa economica post-covid, molto dipenderà dalle scelte effettuate per investimenti strategici, soprattutto quelli in grado di stimolare una crescita con rendimenti elevati.

Puntare sulle infrastrutture

Le infrastrutture sono uno dei settori più virtuosi. L’economista di Harvard Kenneth Rogoff afferma che gli investimenti infrastrutturali possono generare risultati a lungo termine e si pagano da sé[5]. In una fase di ripresa post-covid questo è importante. Joan Biden lo ha intuito. Negli Stati Uniti sono stati stanziati, con un piano bipartisan (Build Back Better), oltre mille miliardi per un’ambiziosa agenda economica: strade, ponti, ferrovie, porti, acquedotti, reti Internet ed elettriche. Sono previsti anche aiuti particolari per attrezzare gli stati più vulnerabili contro uragani, inondazioni e incendi. È dai tempi della Great Society di Johnson che negli Stati Uniti la spesa federale non raggiungeva per le infrastrutture pubbliche tali cifre. Non si tratta solo di ricostruire l’America dopo lo shock della pandemia, ma ricostruirla in modo più appropriato, con efficienza e inclusione, al fine di contrastare le ansie e le inquietudini della classe media e medio bassa. Ciò produrrà nuovi posti di lavoro, con un impatto generazionale necessario per un Paese che necessita di recuperare quote di futuro.     


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Note           

[1] Centro Studi Confindustria (2021), La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite, Confindustria Servizi, Novembre 2021.
[2] Gentili L. (2021), Reshoring and new globalization: The future of supply chain, The European Business Review, September – October 2021.
[3] Stiglitz S., Fitoussi J.-P. e Durand M. (2021), Misurare ciò che conta, Torino, Einaudi.
[4] Kotler P. e M. (2015), Il futuro del marketing, Milano, Hoepli.
[5] Rogoff K. (2013), What’s the problem with advanced economies? Project Syndicate, dec 4, 2013.


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