Ineguaglianza globale e l’(in)giustizia del premio di cittadinanza


Qual è il rilievo dell’ineguaglianza globale? E il premio di cittadinanza è qualcosa che siamo vincolati a considerare moralmente sbagliato?


  

L’ineguaglianza globale spiegata da Branko Milanovic

Il libro ‘Global Inequality’ scritto da Milanovic si presenta con un’affermazione potente: ‘the gains from globalization are not evenly distributed’[1]. Osservando i dati, può essere asserito che la curva dei guadagni e delle perdite derivanti dal processo di globalizzazione appare come una curva ad S reclinata, o “curva dell’elefante”, che sta a significare che i plutocrati globali, rappresentanti l’1% mondiale, e la classe media emergente (principalmente le economie asiatiche), hanno tratto più benefici di coloro che si trovano nel mezzo, in particolar modo più della classe medio-bassa del mondo ricco. Detto in altre parole, si è aperta una forbice tra coloro che vivono nei vecchi paesi benestanti e le persone provenienti dall’Asia emergente. Questi profitti sono misurati in termini di crescita cumulata (complessiva) del reddito reale. Una prima conclusione che ne può essere tratta è che la globalizzazione ha portato vantaggi a coloro nei paesi ricchi che erano già agiati[2]. Prescindendo dal parlare in termini assoluti o relativi, il risultato resta invariato: anche a seguito della crisi finanziaria, i ‘vincitori’ rappresentano un gruppo di individui super ricchi, l’1% dell’1% dell’1% che possiede il doppio della ricchezza dell’intero continente africano[3].
A partire dagli anni ‘80 l’estensione dell’ineguaglianza globale era più o meno stabile al valore 70 del coefficiente di Gini[4], ma il ruolo giocato dalla Cina fu imprescindibile, cioè quello di ‘equilibratore del reddito’, il che significa che se escludiamo il paese dalla nostra valutazione, i valori dell’indice di Gini aumentano nel tempo.

Quindi, affermare che l’ineguaglianza globale si sta mitigando è qualcosa da prendere con cautela, anche per via delle problematicità nello stimare accuratamente i redditi più alti.                  
Andando oltre l’analisi dei dati, una domanda importante da porsi è: ha più rilevanza l’ineguaglianza tra individui nello stesso paese o quella tra persone che vivono in paesi diversi?
La prima tipologia di ineguaglianza è quella basata sul concetto di classe, la seconda invece sul luogo. Pertanto dovremmo chiederci quale tra le due è il piatto della bilancia che pesa di più: l’ineguaglianza all’interno delle nazioni o quella tra nazioni. Utilizzando l’indice di entropia di Theil è stata calcolata l’importanza di classe e luogo, denotando come in passato la classe fosse di primaria importanza. A partire dal XX secolo assistiamo, invece, ad uno spostamento dalla classe al luogo, con l’80% dell’ineguaglianza derivante dal luogo di nascita. Basti pensare alla disponibilità di redditi derivanti dal colonialismo europeo e la conseguente creazione di ‘powerful and powerless nations’[5]. Questo peso sproporzionato attribuito al luogo genera ciò che vengono definiti premio di cittadinanza e penalità di cittadinanza, e, quindi, potrebbe essere argomentato che l’ineguaglianza origina, tra le varie possibilità, anche dal luogo in cui si è nati. E’ una variabile arbitraria dal punto di vista morale e non è correlata agli sforzi individuali.
Le dinamiche connesse al premio di cittadinanza riguardano anche il campo dell’immigrazione: di fatto, molte persone decidono di migrare verso un paese più ricco per assicurarsi un miglior tenore di vita e aumentare il loro reddito. Ma i paesi ricchi sono refrattari a condividere questo premio, e con ogni probabilità lo ridurranno quando si tratta di migranti.

Il luck egalitarianism, la brute luck e la option luck

Proviamo ora a costruire uno scenario fittizio in cui descriviamo situazioni differenti di due persone con prospettive di vita molto distanti tra loro, in modo da comprendere meglio il significato della rendita derivante dal luogo di nascita e la conseguente correlazione alla questione della fortuna e alla teoria del luck egalitarianism.
Supponiamo di trovarci, ad esempio, in Norvegia. Qui vive Ingrid, una giovane ragazza che avrà agevole accesso ad un ampia gamma di opportunità. Frequenterà la scuola nel suo quartiere benestante, stringerà rapporti con altri ragazzi del suo background privilegiato e intraprenderà una serie di esperienze allettanti che la favoriranno nel rendimento accademico e la aiuteranno ad entrare in università di élite. Spostandoci in Congo, Tahir è un giovane ragazzo che dovrà fare i conti con l’esasperata povertà derivante dall’essere nato in Africa: scuole estremamente poco finanziate o non finanziate affatto, e una paga irrisoria. Non otterrà un’educazione di alta qualità, non andrà all’università bensì, con ogni probabilità, aiuterà sua madre a vivere una vita decente. La sua più grande preoccupazione sarà lottare per aver accesso ad acqua potabile.                                                                        

Le traiettorie di vita diametralmente opposte di queste due persone sono inventate, ma allo stesso tempo indicative di come le persone vivono attualmente, rendendo più che evidente come il paese in cui si è nati è una variabile determinante della vita di ognuno. ‘It is unjust if some people are worse off than others through their bad luck’[6].
La dichiarazione chiave del luck egalitarianism chiarisce senza indugio di cosa si sta parlando, e la correlazione con la (s)fortuna connessa al dove si è nati. Facciamo qualche esempio diverso dal luogo di nascita: essere nati neri o omosessuali non è di per se qualcosa che implica sfortuna, ma in contesti come quello dell’Apartheid o in un ambiente estremamente omofobico o xenofobo risulterà inevitabilmente nella sofferenza di qualcuno. In questo caso, è possibile dire che esiste una lotteria genetica che si esplica attraverso l’arbitrarietà e che diffonde ingiustizia. Nessuno di noi sceglie di nascere povero, con una disabilità o in un paese ostile, eppure questa contingenza potrebbe rivelarsi essere la principale determinante nella sofferenza di una donna o di un uomo, e ciò sembra non essere giusto. Questa teoria è supportata dalla visione dell’eguaglianza di opportunità di John Rawls che, tra le altre cose, si riferisce a quello stesso possedimento di ‘geni fortunati’ che permettono ad una persona di essere, per dire, più talentuosa di un’altra oppure di essere nata in un ambiente sociale stimolante che la incoraggerà a sviluppare il suo talento[7].
Nella visione del luck egalitarianism è attuata una distinzione tra fortuna bruta e quella derivante dalla scelta, oppure, nelle parole di Lippert-Rasmussen, brute luck ed option luck, per la ragione che alcuni luck egalitarians, come Dworkin, concordano sul fatto che non tutta la sfortuna sia ingiusta.
Nelle sue parole: ‘option luck is a matter of how deliberate and calculated gambles turn out – whether someone gains or loses through accepting an isolated risk he or she should have anticipated and might have declined. Brute luck is a matter of how risks fall out that are not in that sense deliberate gambles. If I buy a stock on the exchange that rises, then my option luck is good. If I am hit by a falling meteorite whose course could not have been predicted, then my bad luck is brute’[8]. Molti studiosi egualitari credono che la giustizia richieda che gli effetti differenziali derivanti dalla brute luck debbano essere pari a zero perché non è giusto che qualcuno stia peggio di qualcun altro solo perché la sua genetica non lo ha favorito. Mentre altri studiosi ritengono che le ineguaglianze riflettenti la option luck siano giuste: ‘…people should pay the price of the life they have decided to lead, measured in what others give up in order that they can do so… But the price of a safer life, measured in this way, is precisely foregoing any chance of the gains whose prospect induces others to gamble’[9]. Le persone vittime di bad option luck hanno tenuto un comportamento le cui conseguenze potevano essere ragionevolmente previste ed evitate, e quindi vengono considerate meritevoli della loro sfortuna. E se invece una persona declina una scommessa ma finisce, malgrado tutto, peggio di un’altra che invece la accetta e poi vince?                                                                
Un’altra domanda ancora potrebbe essere: dovremmo compensare solo le persone vittime di bad brute luck oppure dovremmo includere anche la bad option luck? Quale dovrebbe essere il discriminante che ci permettere di scegliere? E ancora, dovremmo risarcire o meno le persone?

‘What is the Point of Equality?’


La teoria del luck egalitarianism è stata duramente criticata da Elizabeth Anderson in uno dei sui lavori critici intitolato ‘What is the Point of Equality?’. Viene fornita un’argomentazione contro i teorici egalitaristi nel fatto che hanno spostato il focus delle loro tesi concentrandosi nella correzione di una presunta ingiustizia cosmica[10]. In accordo con la sua argomentazione, la giustizia egalitaria non dovrebbe essere qualcosa legata alla brute luck, che significa che gli individui non dovrebbero essere ripagati per la loro condizione di partenza, ‘naturale’, ma lo scopo dovrebbe essere riadattare il sistema sociale allo scopo di mettere fine a discriminazioni ed oppressioni.  L’idea della giustizia distributiva che il fortunato debba trasferire i suoi ricavi allo sfortunato è considerata sbagliata. Anderson sostiene una comprensione alternativa dell’egalitarismo fondata su principi democratici.

Uno dei principali aspetti precari del luck egalitarianism è porre le basi per una società che forgia i suoi cittadini divisi in persone di serie A e di serie B, alludendo al fatto che esistano esseri umani superiori ed inferiori, che esista una gerarchia, costruita sul talento personale, sulle competenze, o più generalmente sulla dotazione genetica, e in questo senso si rivela essere profondamente pregiudizievole.                                                                 
Un esempio consistente è quello del guidatore non assicurato che provoca un incidente automobilistico, e, a causa di esso, severamente ferito, invece di ricevere assistenza medica, sarebbe lasciato lì a morire sulle basi delle credenze del luck egaliarianism.
E c’è di più: se lo stesso uomo sopravvive all’incidente ma con una grave disabilità, egli non avrà il diritto non solo ad essere curato ma anche a beneficiare di una pensione di invalidità. Questo è solo uno dei vari problemi sollevati, chiamato l’abbandono delle vittime negligenti. Ma invece se non sono negligente e ho agito prudentemente? Anche in questo caso sarei abbandonato. “If a citizen of a large and geographically diverse nation like the United States builds his house in a flood plain, or near the San Andreas fault, or in the heart of tornado country, then the risk of flood, earthquake, or crushing winds is one he chooses to bear, since those risks could be all but eliminated by living elsewhere”[11]. In altre parole, questo significa che se la mia casa è completamente distrutta a causa di uno tsunami, non ho diritto al soccorso in caso di calamità perché ‘me la sono cercata’.                                                              Un’altra peculiarità del luck egalitarianism è il fatto che i vari programmi assicurativi possono essere giustificati solo da una visione paternalistica centrata sulla pena verso i soggetti sfortunati. Anderson sottolinea che in una società basata su questi presupposti, chi è responsabile della propria sorte ed e libero di scegliere, non ha il diritto ad usufruire del welfare state nel caso in cui la fortuna finisca per essere sfortuna.
D’altro canto, prendendo in considerazione chi è vittima di bad brute luck, la morale egalitaria cambia faccia, rivelando una sorta di parvenza umanitaria solo verso chi, avendo ‘geni sfortunati’, decide di correre un rischio, con la possibiltà di mettere la sua vita a repentaglio. Ma la marginalizzazione e la penalizzazione può essere rintracciata in molte altre categorie di persone vittime di bad brute luck. Basti pensare a colui che non è considerato attraente secondo gli standard sociali ed è scavalcato da quello che invece lo è: è giusto compensare la prima persona? Questo è il problema di ‘usare l’(in)soddisfazione per giustificare l’oppressione pubblica’[12]. La risposta dei luck egalitarians a questa situazione sarebbe, nelle parole della Anderson: ‘to the ugly and socially awkward: How sad that you are so repulsive to people around you that no one wants to be your friend or lifetime companion. We won’t make it up to you by being your friend or your marriage partner – we have our own freedom of association to exercise- but you can console yourself in your miserable loneliness by consuming these material goods that we, the beautiful and charming ones, will provide. And who knows? Maybe you won’t be such a loser in love once potential dates see how rich you are’[13]. E’ quindi necessario riconoscere la propria condizione di inferiorità pur di ricevere aiuto. Queste tipologie di discorso sono validi anche per il disabile, colui che non è considerato intelligente, e così via.
Per giunta, il sentimento che affiora nei luck egalitarians verso coloro che stanno incolpevolemente peggio di altri è la pena, cioè un senso provato da coloro che si considerano superiori alla vittima di bad brute luck. Per la Anderson la pena collide col rispetto per questa categoria di persone, e quindi bisognerebbe più che altro provare compassione, che è fondata invece sull’empatia. Entrambi i sentimenti muovono le persone ad agire con benevolenza, ma solo la pena è arrogante[14].
L’ideale sarebbe garantire a tutti una serie di libertà essenziali, ‘sufficiente per funzionare come eguali in società’, e in tal modo potremmo accettare ineguaglianze di reddito che superano un certo limite. Quando è considerata accettabile l’ineguaglianza? [It ] ‘would depend in part on how easy it was to convert income into status inequality- differences in the social bases of self-respect, influence over elections, and the like’[15].
Come sottolineato, il luck egalitarianism può risultare inconsistente e contraddittorio, pertanto non bisognerebbe concentrarsi sul modificare l’ordine naturale, che non è possibile, ma invece riorganizzare il nostro ordinamento sociale. Potrebbe essere il principio volto a stemperare i gap sostanziali esistenti oggigiorno tra le persone. La diversità intrinseca degli esseri umani è trasformata in oppressione da noi stessi, e la natura non può essere colpevolizzata per ciò. La focalizzazione necessita di essere sulla modifica delle norme e non su quella delle persone[16].

Conclusioni

L’ineguaglianza globale ha importanza nella misura in cui esistono persone che muoiono di fame ed altre che vivono nell’opulenza. In altre parole, essa è rilevante perché il nostro tessuto sociale dà vita ad individui super ricchi ed altri super poveri, tra i quali esiste un divario gargantuesco che non può essere considerato giusto nemmeno lontanamente. D’altro canto, il premio di cittadinanza e la sua controparte, la penalità di cittadinanza, derivano dalla lotteria connessa al luogo di nascita, che non può essere predetta né modificata. Ciò che di fatto possiamo alterare è l’impalcatura che è alla base della nostra società, in modo tale da garantire ad ognuno le opportunità di viviere una vita decente, senza essere discriminato ed oppresso dalle regole che noi stessi abbiamo eretto. E’ inderogabile che l’uomo nato nel paese povero o quello nato da una famiglia povera abbia la possibilità di cambiare la sua condizione e ottenere benessere. Così come è perentorio che il disabile abbia accesso ad assistenza medica e che la donna non debba avere a che fare col soffitto di cristallo. O che l’omosessuale non soffra come conseguenza di bullismo e possa esporre senza vergogna la propria identità. Ogni essere umano, a prescindere dal fatto che sia o meno vittima di bad option luck o di bad brute luck, dovrebbe vivere all’interno di un sistema equo che non lasci nessuno nel dimenticatoio.


Note

[1] Branko Milanovic, Global Inequality (2016), Harvard University Press, p. 10

[2] Ivi, p. 35

[3] Ivi, p. 42

[4] Misura globale della diseguaglianza nella distribuzione, tra le n unità di una collettività, di un carattere trasferibile (per es. il reddito). È calcolata dopo avere ordinato le n unità secondo l’ammontare non decrescente del carattere posseduto da ciascuna di esse.

[5] Peer Vries, Escaping poverty. The origins of modern economic growth (2013), Vienna and Göttingen: Vienna University Press and V&R unipress, p. 46

[6] Gerald Allan Cohen, Rescuing Justice and Equality (2018), Cambridge, MA: Harvard University Press, p. 300

[7] John Rawls, A Theory of Justice (1971), Oxford: Oxford University Press, pp. 72-75

[8] Ronald Dworin, Sovereign Virtue (2000), Cambridge, MA: Harvard University Presso, p. 73

[9] Ivi, p. 74

[10] Elizabeth Anderson, What is the Point of Equality? (1999), The University of Chicago Press. Ethics, p. 288

[11] Eric Rakowski, Equal Justice (1991), New York: Oxford University Press, p. 79

[12] Ivi, p. 304

[13] Ivi, p. 305

[14] Ivi, p. 307

[15] Ivi, p. 326

[16] Ivi, p. 336


Bibliografia

Anderson, E. (1999). What is the Point of Equality?, The University of Chicago Press. Ethics, pp. 287-337.

Cohen, G. A. (2008). Rescuing Justice and Equality, Cambridge, MA: Harvard University Press.

Dworkin, R. (2000). Sovereign Virtue, Cambridge, MA: Harvard University Press.

Lippert-Rasmussen, K. (2016). Luck egalitarianism, Bloomsbury Academy.

Milanovic, B. (2016). Global Inequality, Harvard University Press.

Rakowski, E. (1991). Equal Justice, New York: Oxford University Press.

Rawls, J. (1971). A Theory of Justice, Oxford: Oxford University Press.

Vries, P. (2013). Escaping poverty. The origins of modern economic growth, Vienna and Göttingen: Vienna University Press and V&R unipress.


Foto copertina:Nephist.Files


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