Il mancato processo ai crimini di guerra italiani.
Di Nicole Di Maria
Introduzione
I processi di Tokyo e Norimberga sono stati essenziali nella creazione di un nuovo precedente nello sviluppo del diritto internazionale, facilitando le discussioni tra l’equilibrio di forza, potere, e lume della ragione. Il mondo, avendo visto cotanta atrocità e sofferenza nella Seconda guerra mondiale, non poté far a meno di sentirsi obbligato a costruire un sistema con l’obbiettivo di avere giustizia, stabilità e genuina cooperazione[1]. Nonostante siano state sollevate diverse critiche su questi processi, tra cui la violazione del principio di non retroattività della legge[2], essi servirono — insieme ad altri processi di basso livello ai criminali tedeschi in Italia — ad affermare che nessun orrore rimanga impunito. Eppure, c’è un processo che non ebbe luogo. Ad oggi, la comunità internazionale deve vivere silenziosamente con il fantasma di una ricostruzione mai avvenuta: quella dell’Italia post-fascista.
Infatti, non è mai esistito un processo alle atrocità italiane commesse durante la Seconda Guerra Mondiale, alimentando una retorica polarizzante riguardo la mitezza degli atti italiani compiuti in guerra. Il 3 settembre 1943, l’Italia firmò l’armistizio con gli Alleati e l’ONU, sospendendo le ostilità e accettando obblighi politici ed economici[3]. Per gli Alleati, questo documento funse da ammissione di colpe del ruolo fondamentale che l’Italia ebbe in guerra, specificatamente nell’aiutare la Germania nazista[4]. Successivamente, gli Alleati emanarono altri due documenti: lo “Strumento di Resa” il 29 settembre 1943 e la “Dichiarazione delle quattro Nazioni Unite” il 30 ottobre 1943. Il primo documento — una lettera dal Comandante in Capo degli Alleati al Capo del Governo italiano — affermava ufficialmente che il governo fascista commise dei crimini di guerra[5]. Il secondo documento, incluse una dichiarazione più diretta della necessità di fare giustizia[6]. Eppure, la storia ci insegna che questo non è stato abbastanza.
Questo articolo discute i tentativi di perseguire i crimini di guerra italiani, sottolineando il contesto storico e geopolitico che ha bloccato la possibilità di ricostruire un’Italia nuova nel dopoguerra e che ha portato all’occultamento dei criminali e dei crimini di guerra italiani. Venne dunque a mancare una responsabilizzazione del popolo italiano, che risulta evidente anche nel mondo legale e politico di oggi. Questo articolo si concentra sui crimini italiani commessi in Jugoslavia ed Etiopia, ed analizza le variabili che eliminarono la possibilità di un processo di Norimberga italiano.
Questa ricerca sostiene che i crimini di guerra italiani non siano stati processati a causa di giochi di potere politici e un sistema legale ancora poco sviluppato. Inoltre, va specialmente sottolineato che processare i crimini italiani non era una priorità per nessuno dei paesi delle forze alleate, lasciando i cittadini italiani da soli nella gestione di una nazione distrutta e polarizzata. Questo approccio risultò deleterio anche per la Jugoslavia e l’Etiopia, ritrovatesi responsabili di portare avanti i processi senza alcun aiuto. Questo articolo prende in considerazione il diritto internazionale e il concetto di crimini di guerra da un punto di vista moderno, proponendo una prospettiva non solo storica sui fatti accaduti. Nonostante l’uso di un’angolazione diversa, questa indagine mette in luce che il contesto sociopolitico e legale del tempo scoraggiò il futuro di un’Italia unita, rendendola un mero trampolino per altri interessi geopolitici.
Italiani brava gente: la questione jugoslava e quella etiope
“Italiani brava gente” è un modo di dire che fa riferimento alla gentilezza — e ingenuità — attribuita agli italiani dagli stranieri. Ciò che spesso non viene considerato è che questa bontà proviene anche dalla loro amnesia. È infatti raro sentir parlare dei crimini italiani commessi durante la Seconda Guerra Mondiale. Un silenzio comune anche al tema della giustizia mai ricevuta dalle vittime di quei crimini. Come lo storico e giornalista Angelo Del Boca scrisse: “L’Italia era fatta, ma era priva di una coscienza unitaria collettiva senza la quale non si sarebbe mai formata una moderna identità nazionale” [7]. È dunque un obbligo morale quello di investigare quelle che furono anche solo alcune delle atrocità commesse.
Fu la Jugoslavia la vittima della maggior parte dei crimini di guerra italiani. Infatti, la Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra (UNWCC) elencò 764 individui su più di mille fascicoli di persone sottoposte alle indagini. Queste centinaia di individui avrebbero dovuto essere processati dal governo jugoslavo, aiutato dalla Commissione per valutarne la condotta[8]. Il caso presentato dalla Jugoslavia alla comunità internazionale era effettivamente solido[9]. Tuttavia, il comitato della Commissione sostenne che i crimini commessi in Jugoslavia dovessero essere processati a livello internazionale, a causa della natura sistematica di quei crimini[10]. La sistematicità di quei crimini può essere esemplificata dai 200 campi di concentramento italiani, che ospitavano più di centoquarantamila jugoslavi sottoposti a esecuzioni arbitrarie, torture e malnutrizione[11].
Nel corso del 1944, risultò cristallino notare che la situazione in Jugoslavia fosse diventata una scacchiera geopolitica. I pochi poteri conferiti all’UNWCC[12] non furono d’aiuto, e gli Alleati continuarono a prioritizzare la liberazione del nord Italia, lasciando marcire la potenziale persecuzione dei crimini di guerra italiani. La Jugoslavia divenne uno strumento per promuovere politiche e ideologie impartite da tutte le maggiori potenze, inclusa l’URSS. Infatti, l’Unione Sovietica sedeva dietro le quinte e traeva vantaggio dalla sua impossibilità di intervenire. Essendo stata esclusa dall’UNWCC, l’URSS fu legittimata a sminuire l’autorità e la legittimità dell’UNWCC[13] — ampliando naturalmente la polarizzazione e le tensioni di quella che stava già diventando la Guerra Fredda.
Per quanto riguarda il caso etiope, nel 1946 il governo d’Etiopia spedì varie lettere al Segretario Generale dell’ONU, al Tribunale Militare Internazionale e alla rappresentanza diplomatica britannica per richiedere che venissero prese misure appropriate contro i crimini di guerra commessi dagli italiani, ricordando che l’Etiopia aveva aderito sia agli Accordi di Londra nel 1945 sia alla Carta del Tribunale Militare Internazionale. Sebbene queste lettere fossero difficili da ignorare per la comunità internazionale, il Regno Unito continuava a resistere all’idea di includere l’Etiopia nell’UNWCC[14].
Gli etiopi soffrirono incredibilmente a causa dei crimini commessi dalle forze italiane. Nel 1947 l’Etiopia emise un’altra lettera all’UNWCC esaminando sia quali fossero stati i crimini commessi, sia chi fossero le persone accusate di tali crimini[15]. È importante ricordare che, al tempo, il diritto penale internazionale non era ancora sviluppato. Di conseguenza questi atti, più che ammontare a crimini di guerra, dovrebbero essere identificati come violazioni del diritto umanitario internazionale, più nello specifico alle convenzioni dell’Aia che proibiscono determinate pratiche belliche messe in atto durante la Seconda Guerra Mondiale[16]. Ai fini di questa ricerca però, è importante sottolineare la differenza tra le diverse prospettive, ma continuare ad analizzare questi atti come crimini di guerra considerando un punto di vista più moderno.
I crimini riguardavano: atti sistematici di terrorismo contro i civili, uso di gas velenosi, incendi di ospedali e ambulanze, bombardamenti di città, deportazione di civili, asservimento, incendi di villaggi, massacri degli abitanti dei villaggi. Tra le persone accusate di questi orribili crimini è importante ricordare il Generale Graziani[17] e il Generale Badoglio. Ma come racconta la storia, la questione etiope e quella jugoslava non avrebbero mai ricevuto giustizia, a causa di governi restii, una comunità internazionale polarizzata per la Guerra Fredda, lacune legali e risorse insufficienti.
Questioni (non molto) interne: la variabile comunista e l’amnistia Togliatti
In contrasto col trattamento riservato all’Etiopia e alla Jugoslavia, all’Italia venne concesso di presentare accuse alla Commissione riguardo i crimini di guerra commessi sul suo territorio dai tedeschi, venendo anche sostenuti dagli Alleati nella creazione di un tribunale simile a quello di Norimberga. Eppure, l’Etiopia continuava ad avere difficoltà anche solo nel presentare delle accuse contro gli italiani. Fino a quel punto, l’Etiopia rimaneva ancora sotto il controllo italiano, che terminò de iure nel 1947[18]. Ciò significa che processare i crimini avvenuti in Etiopia risultava una questione di diritto domestico, tecnicamente sotto la responsabilità dei tribunali italiani. Nel marzo del 1948, la Commissione emise una lista definitiva comprendendo dieci individui accusati di crimini di guerra durante l’occupazione italiana in Etiopia. Tra loro figurava il Generale Badoglio, che non sarebbe mai stato possibile processare.
Nell’ottobre del 1943, l’Italia ottenne lo status di co-belligerante delle Forze Alleate, ed a causa del piano degli Alleati per il futuro dell’Italia, l’Ufficio Esteri della Commissione decise di impedire alle autorità britanniche di arrestare chiunque avesse collaborato con gli Alleati dopo il settembre del 1943. Naturalmente, questa norma avrebbe scagionato anche Badoglio[19]. Rabbia e delusione crescevano in Jugoslavia. L’Ufficio Esteri dichiarò allora di essere disposto a perseguire i criminali di guerra, ma che mantenere alta l’attenzione sulla questione avrebbe destabilizzato ulteriormente il futuro dell’Italia[20]. Nel frattempo, l’Italia aveva visto lo stesso Badoglio assumere il ruolo di Primo Ministro, nominato dal Re. Nel 1945, la lista dei criminali di guerra che l’Italia avrebbe dovuto estradare venne consegnata al governo. La Gran Bretagna continuò a ricevere lamentele dalla Jugoslavia, causate dalla ripetuta negligenza degli Alleati nel non supportare la possibilità dei processi[21].
Le tensioni già esistenti vennero aggravate dall’occupazione jugoslava di Trieste nell’estate del 1945, influenzando anche l’escalation verso la Guerra Fredda. A quel punto la Gran Bretagna si trovò in una situazione estremamente complessa. Gli Stati Uniti iniziarono a percepire i tentativi di processare i criminali di guerra italiani come un mezzo di propaganda sovietica promossa attraverso Tito, mirata a danneggiare la reputazione dell’Italia e dell’emisfero occidentale. Se fino ad allora la strategia britannica utilizzata per provare a far giustizia alle vittime jugoslave era basata sull’ottemperanza dell’Italia, quest’ultima non era più una garanzia. Infatti, l’Italia si dimostrò restia nei confronti delle politiche britanniche per processare i suoi crimini di guerra, cercando di evitare l’antagonismo degli Stati Uniti. Inoltre, la Gran Bretagna era ben consapevole che dopo il referendum italiano del 1946 — per decidere tra Repubblica e Monarchia — mantenere la stessa politica nei confronti della questione jugoslava avrebbe portato a un rafforzamento del PCI in Italia[22]. Naturalmente, un contesto tanto ostile alla giustizia venne assistito dalla mancanza di un’organizzazione internazionale indipendente e di tribunali domestici moralmente integri.
Nonostante tutto, la possibilità di una Norimberga italiana rimase viva fino al 1946. Per comprendere perché questo processo non venne realizzato, è necessario esaminare tre fattori principali. In primis dobbiamo considerare l’aggravamento delle tensioni della vicina Guerra Fredda. Mentre gli USA spingevano per processare i criminali tramite un’autorità internazionale, l’URSS sosteneva che i crimini dovevano essere giudicati nei paesi in cui erano avvenuti[23] — probabilmente per estendere la sfera di influenza sovietica tramite la Jugoslavia. Il secondo fattore ruota intorno al disaccordo presente anche tra gli Alleati, l’Italia e la Jugoslavia su chi dovesse processare i crimini di guerra italiani, ritardando quindi il processo[24].
Infine, bisogna ricordare che con l’inizio della Guerra Fredda, i paesi che spingevano per la persecuzione dei crimini di guerra si trovarono in una posizione difficile quando Palmiro Togliatti — allora Segretario Generale del PCI — firmò un Decreto di Amnistia[25] con la Democrazia Cristiana (DC). Da un lato, il PCI voleva che tutti i fascisti rimanessero in prigione, mentre dall’altro lato la DC avrebbe voluto garantire l’amnistia alla maggior parte di loro. Il decreto di Togliatti annunciava un compromesso tra i due partiti per concedere l’amnistia, garantire maggiore unità nel paese ed evitare ulteriori sovraffollamenti nelle carceri. Inoltre, a livello politico, questo patto può essere interpretato come un tentativo di raggiungere una riconciliazione nazionale come primo passo per ricostruire una nuova nazione basata su una – presunta – narrativa comune.
Naturalmente, gli Alleati sostennero l’iniziativa e lasciarono silenziosamente marcire la possibilità di un Norimberga italiano, cercando di evitare un’ulteriore radicalizzazione degli antifascisti e dei comunisti durante i primi anni dell’Italia post-fascista[26]. Il Decreto di Amnistia creato da Togliatti ebbe gravi conseguenze a livello giudiziario. Il programma italiano creato per processare gli individui sul proprio suolo si bloccò, con giudici e funzionari governativi riluttanti a procedere, omettendo informazioni importanti per l’estradizione di generali come Graziani e Roatta[27]. Inoltre, è importante sottolineare che il Ministero degli Esteri italiano non solo aveva ricevuto le liste degli individui accusati dalla Jugoslavia, ma stava anche attivamente investigando per dimostrarne l’innocenza e sottolineare i crimini degli jugoslavi. Il Ministero emise quindi una “contro-lista” con 200 cittadini jugoslavi accusati di crimini di guerra[28].
L’unica parvenza d’un processo venne data da una soluzione in stile italiano per promuovere la normalizzazione dei rapporti con la Germania e dimenticare i crimini orribili commessi dall’Italia. Pochi processi ebbero luogo, perseguendo ufficiali di medio rango — tra cui si ricordano Kappler, Strauch e Reder — e trasferendo centinaia di casi con l’intento di archiviarli per decenni. La serenità con cui i crimini di guerra italiani venivano nascosti sotto il tappeto risultava d’aiuto anche per le altre Forze Alleate. Infatti, i britannici usarono le “leggi di guerra Alleate” piuttosto che la Carta di Norimberga nei pochi processi tenuti in Italia[29], credendo che ciò fosse più in linea con le convenzioni internazionali dell’Aia — come delineato nel 1899, 1907 e Ginevra nel 1929 — e probabilmente anche per prevenire ulteriori accuse riguardo alla violazione del principio di non retroattività della legge[30]. Inoltre, durante questi processi, trentanove accusati di crimini di guerra vennero inviati all’Ufficio del Procuratore Militare Italiano per partecipare ad una Commissione che De Gasperi istituì presso il Ministero della Guerra nel 1946. Ma i processi non ebbero mai luogo, e la Commissione venne abolita nel 1951 sfruttando una lacuna legale per far chiudere le indagini[31].
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Conclusioni
L’Italia non ha mai avuto il suo “Norimberga”, non ha mai raggiunto una narrativa comune e la polarizzazione tra la popolazione riguardo la “bontà” e la cattiveria di una dittatura colonialista è ancora ampiamente presente oggi. In questo complesso scenario, l’Italia è stata sia vittima che carnefice. L’Italia è caduta preda di giochi geopolitici in cui la sua stabilità presente e futura non venne prioritizzata, ma ha anche mancato di trasparenza non rispettando le richieste di estradizione dei suoi cittadini per processarli. Gli egoistici interessi geopolitici promossi dai diversi Stati durante la creazione della UNWCC hanno posto le basi per ulteriori frammentazioni nella comunità internazionale, peggiorate dalle preoccupazioni dovute alle tensioni dell’imminente Guerra Fredda e dalla forte polarizzazione interna all’Italia che cominciava a farsi sentire.
Indipendentemente dai motivi che hanno portato a tale risultato, va ricordato che l’Italia non ha avuto né la volontà né l’aiuto necessario per punire i criminali di guerra e promuovere la propria unità. L’Italia stessa era intenta a ricevere risarcimenti per i crimini perpetrati sui suoi cittadini. Qui è importante ricordare la sentenza Ferrini del 2004, che riconosce che l’immunità assoluta da una giurisdizione aliena non esiste[32].
In breve, gli italiani erano intenti a costruire un paese nuovo rimanendo però un popolo vecchio. Attraverso una storia fatta di negazionismo, scappatoie legali e silenzi sporchi di sangue, la comunità internazionale ha stabilito un precedente fondamentale attraverso il diritto internazionale con i Processi di Norimberga. Ricordando allo stesso tempo a coloro che hanno perso la guerra che le loro lamentele non valevano abbastanza per far sì che gli Alleati gli permettessero di ricevere verità e giustizia.
Note
[1] Rudolph, Christopher. “Power and Principle from Nuremberg to The Hague.” In Power and Principle, 15–56. The Politics of International Criminal Courts. Cornell University Press, 2017. Disponibile tramite https://www.jstor.org/stable/10.7591/j.ctt1qv5q0z.7.
[2] Battini, Michele. “Sins of Memory: Reflections on the Lack of an Italian Nuremberg and the Administration of International Justice after 1945.” Journal of Modern Italian Studies 9, no. 3 (September 1, 2004): 349–62. Disponibile tramite https://doi.org/10.1080/1354571042000254764; p. 359.
[3] “Armistice with Italy: Instrument of Surrender,” September 29, 1943. Disponibile tramite https://maint.loc.gov/law/help/us-treaties/bevans/m-ust000003-0775.pdf.
[4] Pedaliu, Effie G. H. “Britain and the ‘Hand-over’ of Italian War Criminals to Yugoslavia, 1945-48.” Journal of Contemporary History 39, no. 4 (2004): 503–29. Disponibile tramite https://www.jstor.org/stable/4141408.
[5] “Armistizio con l’Italia: Strumento di resa”; da questo documento, esaminiamo l’Articolo 29, che afferma: “Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospettate di aver commesso crimini di guerra o reati analoghi i cui nomi compaiono nelle liste comunicate dalle Nazioni Unite saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Nazioni Unite. Qualsiasi istruzione data dalle Nazioni Unite a questo scopo sarà rispettata.”
[6] “The Moscow Conference, October 1943.” Text. Disponibile tramite https://avalon.law.yale.edu/wwii/moscow.asp; dal documento, esaminiamo Paragrafo 7 sotto la “Dichiarazione riguardante l’Italia”, che afferma: “I capi fascisti e i generali dell’esercito conosciuti o sospettati di essere criminali di guerra saranno arrestati e consegnati alla giustizia.”
[7] Del Boca, Angelo. Italiani, brava gente? I edizione eBook. Neri Pozza, 2005, p. 21.
[8] Prosperi, Luigi. “The Missed Italian Nuremberg: The History of an Internationally-Sponsored Amnesty.” SSRN Scholarly Paper. Rochester, NY, November 25, 2016, p.11. Disponibile tramite https://doi.org/10.2139/ssrn.2887267
[9] Pedaliu, p. 508; tale caso era basato sui maltrattamenti dei civili durante l’occupazione della Jugoslavia da parte degli italiani, con accuse di crimini contro l’umanità, crimini contro la pace e crimini contro le leggi di guerra. I fascicoli delle indagini sono disponibili negli archivi delle Nazioni Unite tramite https://search.archives.un.org/15928-00001.
[10] Prosperi, p. 12; Il Comitato della Commissione affermò nelle sue Proposizioni Generali — proposizioni che definivano il termine “crimini contro l’umanità” — che un crimine contro l’umanità deve essere considerato tale quando viene perpetrato attraverso “azioni di massa sistematiche”. Ciò ritarda la possibilità di intervento della comunità internazionale poiché i crimini dovrebbero essere già stati commessi, mettendo in ulteriore pericolo le vittime.
[11] Pedaliu, p. 509.
[12] Kochavi, Arieh J. “Discord within the Roosevelt Administration over a Policy toward War Criminals.” Diplomatic History 19, no. 4 (1995): 617–39, page 323. Disponibile tramite https://www.jstor.org/stable/24912330. La Commissione non aveva alcun potere investigativo né esecutivo, dovendosi occupare dei casi solo dopo che le accuse venivano presentate. Inoltre, durante il suo periodo di attività, dovette esaminare più di ottomila fascicoli che coinvolgevano più di trentacinquemila individui.
[13] Ibid.
[14] Pankhurst, Richard. “Italian Fascist War Crimes in Ethiopia: A History of Their Discussion, from the League of Nations to the United Nations (1936-1949).” Northeast African Studies 6, no. 1 (1999): 83–140, disponibile tramite https://muse.jhu.edu/pub/26/article/23691; pgs. 113, 114.
[15] “A58 (Letter Received by the Secretary General from the Minister, Imperial Ethiopian Legation, London).” Accessed April 14, 2024. Disponibile tramite https://www.legal-tools.org/doc/3aa5ad/.
[16] Heinz Marcus Hanke, “The 1923 Hague Rules of Air Warfare” International Review of the Red Cross No. 3 (1991): pp. 139-172. Disponibile tramite https://international-review.icrc.org/sites/default/files/S0020860400071370a.pdf.
[17] Del Boca, p. 101; Graziani, responsabile di molte delle politiche promosse in Etiopia, riferì a Mussolini stesso che le esecuzioni arbitrarie ammontavano già a 324 considerando solo le date tra il 19 febbraio e il 21 marzo del 1937. Prosperi, p. 14; gli etiopi accusarono il Generale Graziani di aver ordinato i due massacri: a Debre Libanos, dove 297 monaci e 129 diaconi furono uccisi dai colonialisti italiani tra il 19 e il 21 maggio del 1937; e “Yekatit 12”, dove gli etiopi iniziarono a essere uccisi e imprigionati arbitrariamente dalle forze di occupazione, in rappresaglia per un tentato assassinio avvenuto il 19 febbraio del 1937.
[18] Treaty of Peace with Italy, February 10, 1947, Jus Mundi. Disponibile tramite https://jusmundi.com/en/document/pdf/treaty/en-treaty-of-peace-with-italy-1947-treaty-of-peace-with-italy-1947-monday-10th-february-1947.
[19] Prosperi, pgs.15-20; Questa scelta politica si rifletté successivamente in una direttiva emessa il 12 luglio 1945, che consentiva ai Comandanti di Teatro di consegnare immediatamente alla nazione richiedente coloro che erano sospettati di aver commesso crimini di guerra sul territorio di quella nazione. Tuttavia, coloro che avevano collaborato con le autorità alleate non erano coperti da questa direttiva.
[20] Pedaliu, p.510.
[21] Prosperi, p.18.
[22] Pedaliu, pgs.10-11.
[23] Batini, p.356.
[24] Ibid.
[25] Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. “Decreto Presidenziale 22 Giugno 1946, n. 4,” June 23, 1946. Disponibile tramite https://www.gazzettaufficiale.it/gazzetta/serie_generale/caricaDettaglio?dataPubblicazioneGazzetta=1946-06-23&numeroGazzetta=137.
[26] Battini, pgs.356-357.
[27] Pedaliu, p. 525; Il trattamento riservato a Graziani e Roatta è piuttosto rappresentativo. Roatta, nonostante abbia vissuto a Roma fino alla sua morte e abbia prodotto romanzi già nel 1946, non fu mai più catturato dopo la sua notevole fuga dalla detenzione durante il processo nell’estate del 1945. Per quanto riguarda Graziani, il governo italiano lo voleva accusare di “alto tradimento” a causa dei crimini di guerra di cui era accusato per l’occupazione dell’Etiopia.
[28] Del Boca, p.114.
[29] Battini, p.359.
[30] Collins, Matisiko Samuel. “The Anatomy of the Nuremberg Legacy: Strengths, Flaws and Relevancy Today.” SSRN Scholarly Paper. Rochester, NY, March 17, 2015, p. 2. Disponibile tramite https://doi.org/10.2139/ssrn.2579845; Una delle critiche più frequentemente sollevate ai processi di Norimberga era la violazione del principio di non retroattività e dei concetti di “nullum crimen sine lege” e “nulla poena sine lege”.
[31] Del Boca, p.114.
[32] Ferrari, Marcella. “Crimini Del Terzo Reich: Ha Giurisdizione Il Giudice Italiano.” Altalex, October 12, 2020. Disponibile tramite https://www.altalex.com/documents/news/2020/10/12/crimini-terzo-reich-ha-giurisdizione-giudice-italiano.
Foto: Italiani brava gente