Nei paesi post-sovietici l’acqua è non solo un bene a rischio, ma anche una risorsa politica ed economica. La crisi idrica in Asia Centrale può avere delle ripercussioni importanti.
A cura di Attilio Colonna
La crisi idrica che attraversa gli stati post-sovietici dell’Asia Centrale (Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan) non è certamente un tema che nasce oggi, e, pur venendo spesso sottovalutato, nell’analisi delle sue cause e nel valutarne tutte le implicazioni racconta molto su tematiche dirimenti nel dibattito contemporaneo. A partire dagli anni 60, quando l’area era sotto il dominio dell’URSS, gli ingegneri sovietici lavorarono allo sfruttamento dei bacini del Amu Darya e del Syr Darya, due fiumi che scorrono attorno l’Uzbekistan sui confini con gli altri “-stan” ex-sovietici (escluso il Kirghizistan), e che sfociano nel lago d’Aral. La deviazione dei corsi d’acqua ha permesso una particolare crescita agricola a Uzbekistan e Turkmenistan, che sono infatti i maggiori sfruttatori di risorse idriche di quell’area.[1] L’Uzbekistan in particolare è diventato tra i maggiori esportatori di cotone al mondo, un settore agricolo che richiede un notevole utilizzo d’acqua. Lo sfruttamento intensivo delle risorse idriche ha sensibilmente inficiato sullo stato di salute del lago d’Aral, che si sta progressivamente prosciugando, essendo ormai arrivato a un decimo dell’originaria estensione.[2] Il prosciugamento del lago d’Aral ha dirette conseguenze: una più facile evaporazione dell’acqua implica un forte inaridimento dell’area e pesanti escursioni termiche. A questo si aggiungano fattori rilevanti come l’innalzamento delle temperature, che sta portando allo scioglimento dei ghiacciai dei monti Hissar Alai[3], oltre alla grave siccità che sta generando in tutta l’area di interesse una vera e propria desertificazione.[4] Questi elementi si inseriscono in un quadro di rapporti politici non semplici: se, quando questi stati erano sotto il dominio sovietico, un approccio cooperativo era naturale e inevitabile, con la fine dell’URSS e la formazione di singoli stati sovrani i rapporti sono divenuti incostanti. Bisogna sottolineare come l’acqua si trovi in un più ampio sistema di scambio di risorse: Tagikistan e Kirghizistan sono, per la loro posizione geografica, le nazioni più ricche di acqua, mentre stati come Turkmenistan e Uzbekistan sono ricche di risorse fossili.[5] Sulla necessità di interscambio di queste risorse si è tentato di costruire già dagli anni 90 un sistema di relazioni e cooperazioni, come ad esempio l’istituzione nel 1992 di una commissione interstatale sulla gestione dell’acqua[6], tentativi che si sono rivelati instabili e non sempre efficaci. L’acqua, infatti, per gli stati “a monte” è una preziosa risorsa per le centrali idroelettriche e, dunque, per il sostentamento invernale, ma nei periodi di potenziale accumulazione d’acqua, in estate, questa è richiesta dagli stati “a valle” per l’irrigazione dei campi. Se in epoca sovietica Kirghizistan e Tagikistan erano ripagati con petrolio e gas, per anni ogni stato ha pensato a sé stesso. Il paese più in difficoltà è probabilmente l’Uzbekistan, che nel 2021 ha potuto garantire acqua potabile solo al 68% delle abitazioni,[7] provocando anche sommosse popolari in regioni già in gravi difficoltà come il Karakalpakstan.[8] Recentemente si è rivissuto lo spirito di cooperazione dei primi anni 90, con un vertice tenutosi il 21 luglio nella località di Cholpon-Ata tra i cinque stati post-sovietici, e con lo scoppiare della guerra in Ucraina anche le forze occidentali si stanno occupando del centro-Asia: intenzione dell’UE è di investire nel completamento della diga di Rogun, in Tagikistan, che permetterebbe una sensibile emancipazione dell’area dalle importazioni russe. La strada della cooperazione con l’occidente è inevitabile anche per affrontare la crisi climatica, avendo i paesi in questione poche risorse tecniche ed economiche per affrontare la grave situazione: già nel 2007 è stato messo nero su bianco un piano strategico di cooperazione tra UE e gli stati dell’Asia Centrale,[9] sulla cui base si sono costruiti i successivi accordi. La cooperazione tra gli stessi stati è invece ripresa nel 2016, e sta trovando ora nel contesto internazionale un fattore catalizzatore. Anche ruolo della Cina e della sua “One belt one road” (Nuova via della seta) sarà di fondamentale importanza, con un piano di impegni e investimenti nelle infrastrutture che abbraccerà l’area centro asiatica anche dal punto di vista idrico: non solo la collaborazione nella costruzione della sopracitata diga di Rogun, ma anche l’ammodernamento dei sistemi di irrigazione e delle centrali idroelettriche.[10] Al di là degli aspetti energetici e infrastrutturali, la situazione dell’Asia Centrale è la cartina tornasole dei grandi ed emergenziali temi di questo secolo: lo sfruttamento dell’uomo sulla natura e i cambiamenti climatici, che impattano drasticamente sugli ecosistemi e sulla stabilità sociale ed economica dei paesi.
Note
[1]https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2018/625181/EPRS_BRI(2018)625181_EN.pdf (p. 4)
[2]https://www.treccani.it/enciclopedia/la-progressiva-scomparsa-del-lago-aral_%28Atlante-Geopolitico%29/
[3]https://www.lescienze.it/news/2017/09/14/news/scioglimento_ghiacciai_asia_perdita_35_65_per_cento-3661650/
[4]https://www.nature.com/articles/d41586-022-01667-2
[5]https://www.osce.org/files/f/documents/8/8/513787_0.pdf (p. 6)
[6]http://www.icwc-aral.uz/statute1.htm
[7]https://stat.uz/en/official-statistics/environment
[8]https://www.opendemocracy.net/en/odr/protests-karakalpakstan-uzbekistan-former-soviet/
[9]https://www.eeas.europa.eu/sites/default/files the_european_union_and_central_asia_the_new_partnership_in_action.pdf
[10]https://www.osce-academy.net/upload/file/BRI_08_07.pdf (pp. 51-52)
Foto copertina: Le conseguenze delle crisi idrica in Asia centrale c’è la quasi totale estinzione del lago d’Aral.