La fine del Bongo system?


Il colpo di stato a Libreville che ha visto la deposizione di Bongo, ha subito richiamato l’attenzione della comunità internazionale, sulla scia degli eventi che dal 2020 hanno portato al potere giunte militari in Mali, Burkina Faso e Guinea-Conakry. Attenzione che si è subito ridimensionata in quanto non sembra ci sia lo zampino russo in mezzo a questo polverone. Rimane comunque un fenomeno a cui porre la giusta considerazione in ambito regionale.


Il 30 agosto gli scrutini decretano la terza vittoria del presidente in carica Ali Bongo, con il 64,27% delle preferenze. Un esito scontato, già denunciato dall’oppositore Albert Ondo Ossa di Alternance 2023, che durante il processo elettorale aveva denunciato brogli. In effetti la trasparenza elettorale non è stata esattamente la protagonista di queste turbolente elezioni sfociate in colpo di stato e che hanno tenuto lontana la stampa internazionale, interdicendo l’accesso al Paese ai reporter stranieri. Subito dopo la pubblicazione degli esiti, sulla TV nazionale appaiono alcuni militari in divisa che annunciano la fine del regime in vigore e la soppressione delle istituzioni. Il giorno successivo, il generale Brice Clotaire Oligui Nguema dichiara il “pensionamento forzato” del leader del Paese Ali Bongo, al potere in seguito al decesso del padre nel 2009. Il capo del Comité de Transitions et Restauration des Institutions (CTRI) ha tutta l’aria di aver portato a termine un rimpasto all’interno della famiglia Bongo, essendo una persona molto vicina alla dinastia regnate. I sospetti per il mantenimento del potere in capo alla famiglia rimangono, assomigliando questo colpo di stato ad un tentativo di preservare il potere della famiglia dalle contestazioni della società civile, che in seguito alle elezioni sarebbero potute sfociare in proteste e violenze difficilmente controllabili dall’apparato statale-familiare.

Il sistema politico dei Bongo

Dagli anni Novanta in Gabon si assiste ad elezioni multipartitiche che vedono da sempre vincitore il partito della famiglia Bongo, il Parti Démocratique gabonais (PDG), che nel corso dei decenni ha perso sempre più consensi nella società civile. Un’economia dipendente all’80% dal mercato petrolifero che ha trascinato a momenti alterni la crescita del Paese e ha giovanto perlopiù all’entourage di Bongo. I Pandora Papers infatti hanno scoperchiato un sistema di corruzione e cleptocrazia con a capo la famiglia, la quale ha utilizzato i petrodollari per sostenere reti clientelari e finanziare l’acquisto dei voti, con il supporto delle forze di sicurezza per intimidire le opposizioni. [1] La sperequazione, la difficoltà nel differenziare l’economia e il volatile mercato del greggio degli ultimi trent’anni hanno provocato un forte tasso di disoccupazione, un calo delle entrate nazionali con un declino delle esportazioni e degli investimenti diretti esteri, portando ad un deficit pubblico marcato. Non è solo l’economia ad essere stata depredata, le istituzioni sono sempre state manipolate e la divisione dei poteri è solo un velo di Maya che nasconde, nemmeno troppo, i tentacoli della famiglia, soprattutto in seguito ai problemi di salute di Ali Bongo, colpito da un ictus nel 2018. Attraverso emendamenti costituzionali il Senato verrà riformato nel 2020 nel tentativo di mantenerne il controllo da parte del PDG in caso di incapacità del presidente. L’assemblea nazionale è scomparsa per quasi un anno intero, lasciando il Senato unico organo del legislativo. Le elezioni del 2018 vedranno vincitore il partito dominante, assegnandosi la maggioranza dei seggi, attraverso quella si suppone essere in piena regola una frode elettorale. Così sarà anche per le elezioni presidenziali del 2009 e del 2016 che vedranno vincitore il fresco deposto presidente e successive manifestazioni violente che provocheranno scontri tra i cittadini e le forze di sicurezza. Non si allontana il potere giudiziario, di cui la più alta corte, la Corte costituzionale è composta da giudici che sono nominati dal presidente della nazione, dall’assemblea nazionale, dal senato e dal Consiglio superiore della Magistratura, quest’ultimo risponde direttamente al presidente e al ministro della giustizia.

Opposizione isolata

Nel 2016 il concorrente Jean Ping aveva organizzato una campagna di disobbedienza civile contro i risultati delle presidenziali del 2016 e boicottato le legislative per l’assemblea nazionale del 2018 assieme agli altri leader dell’opposizione. Nessun risultato. Nel 2016 la Corte costituzionale al riconteggio riconfermerà sia la vittoria di Ali Bongo e nel 2018 l’esito delle legislative. Nel marzo 2022 Ali Bongo annuncia di correre per il terzo mandato. A settembre il leader dell’opposizione Guy Nzouba-Ndama, considerato un potenziale candidato a presidente, viene arrestato al confine con la Repubblica del Congo dopo aver presumibilmente trasportato quasi 1,9 milioni di dollari (1,2 miliardi di franchi centrafricani) in denaro non dichiarato. Il suo posto verrà preso da Albert Ondo Ossa, che ha da sempre denunciato le irregolarità dell’intero processo elettorale e del risultato finale. L’isolamento dell’opposizione continua con l’annullamento da parte della giunta delle elezioni. La presa del potere da parte dei militari potrebbe essere un ulteriore tentativo di tenere il potere in mano alla casata non dando quindi la possibilità all’opposizione di salire al potere, sebbene lo stesso Ossa sia stato coinvolto nei negoziati con il presidente centrafricano Faustin Archange Tuadéra, inviato speciale della Comunità economica degli Stati centrali (ECCAS).
Al momento l’opposizione reclama la vittoria mutilata, il capo dei golpisti ribatte sottolineando la poca chiarezza del processo elettorale e assicura che il riconteggio dei voti porterebbe allo stesso risultato, ovvero la vittoria di Bongo. Un processo elettorale interrotto che lascia molti dubbi.
Il generale ha giurato il 5 settembre come presidente della transizione promettendo la restituzione del potere ai civili, attraverso vere e libere elezioni. L’alternanza democratica sembra scardinata da un golpe di palazzo. Guarderemo le mosse del governo di transizione per comprendere la direzione di questo colpo di mano interno alla famiglia. Certo è che una crisi post elettorale poteva essere risolta diversamente. Nel frattempo il 7 settembre è stato nominato a Primo Ministro della transizione Raymond Dong Sima, un volto già noto nelle precedenti amministrazioni in quando aveva già ricoperto questo ruolo tra il 2012 e il 2014. Frutto dell’accordo tra il Comitato di Transizione e l’opposizione, questo personaggio si sarebbe dovuto presentare alle elezioni, prima di cedere il posto di candidato ad Ossa. Dal colpo di stato dello scorso 30 agosto ha sempre manifestato a favore dei golpisti e del capo della transizione Oligui, tant’è da essere presente alla cerimonia di investitura del presidente, accanto ad alcuni altri membri di Alternance 2023, piattaforma da cui stava cercando di allontanarsi a causa di attriti interni.

Reazioni tiepide e vicini preoccupati

Le condanne da parte della comunità internazionale non hanno esitato a puntare il dito contro il golpe ma in maniera molto leggera sia per la poca trasparenza del processo elettorale e quindi della legittimità dell’ex presidente, ma anche perché il Gabon non sembra possa rivelarsi un campo di battaglia tra l’Occidente e l’Orso moscovita. Rimarchevole l’incitamento di Pechino per un dialogo tra le parti che possa ripristinare l’ordine e per garantire l’incolumità dell’ex presidente. La Cina ha forti interessi economici nel Paese, essendo il primo partner commerciale ed è inoltre da anni in piedi un negoziato per la costruzione di una base militare molto ambita da Pechino che da sempre cerca un punto d’appoggio da questo lato dell’Atlantico.
Più inquieti i vicini, dove l’alternanza politica non è ancora diffusa e il colpo di stato potrebbe sembrare un segnale di avvertimento. Il presidente del Congo-Brazzaville, al comando dal 1979, guarda con attenzione ciò che sta accadendo in quanto imparentato con il presidente caduto. Nonostante i rapporti difficili con il suo vicino, non poteva non condannare il golpe.
Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, presidente della Guinea equatoriale a sua volta segue gli avvicendamenti. Secondo fonti di Jeune Afrique la sua opinione è relativamente distante dalla condanna, in quanto le comuni origini etniche con il capo della transizione potrebbero portare ad un rafforzamento delle relazioni tra i due Paesi.
In Cameron il colpo di stato ha alimentato il dibattito politico. L’opposizione suggerisce che l’esercito potrebbe intervenire nel qual caso il presidente Paul Biya, in carica dal 1982, designasse il figlio come suo successore alle prossime elezioni presidenziali. Affermazioni a cui hanno ribattuto membri del governo che contano sull’idea che il popolo camerunense non sarebbe favorevole ad una presa di potere non democratica. Dopo il tentativo di rovesciamento nel 1984, Biya ha stretto il suo controllo sulle forze armate e soprattutto sulla guardia presidenziale, il cui capo è il colonnello Raymond Jean Charles Beko’o Abondo, un suo fedelissimo. Come in tutte le famiglie si annidano incomprensioni e conflitti. Le divisioni all’interno del clan Bongo sono state esacerbate anche dall’eredità politica e finanziaria del padre Omar, contesa tra i vari membri della famiglia. Un potenziale divisivo che assieme alle condizioni di salute di Ali può aver portato al rimpasto familiare.
Il fenomeno dei colpi di stato che sta interessando l’Africa occidentale e quest’ultimo caso in Africa centrale è figlio di ciò che è accaduto dal punto di vista politico negli ultimi trent’anni. L’ondata di democratizzazione ha effettivamente portato a sviluppare pratiche democratiche ibride e non molto chiare con elezioni e prese di potere da parte di classi politiche non intenzionate e non in grado di dare risposte concrete alle domande sociali sempre più impellenti. Uno schema che si è sempre ripetuto con i golpisti salutati positivamente dalle popolazioni, soprattutto dai i giovani, come i salvatori della nazione. Potrebbe come no esserci un effetto contagio. Non è tanto il sistema democratico ad essere messo sotto causa, quanto il non rispetto delle regole da parte delle élite al potere, a prescindere dal riposizionamento a livello di alleanze internazionali.


Note

[1] https://offshoreleaks.icij.org/power-players/ali-bongo


Foto copertina: Bongo ex presidente del Gabon