La morsa delle Big Tech


La scenario attuale, dovuto in particolar modo alla crisi pandemica, ha condotto gli attori globali ad un nuovo ordine tecnologico, altamente competitivo verso una nuova governance di autoregolamentazione ed una stretta regolatoria strategica delle Big Tech: USA versus China


“Ecco una visione del futuro: in mezzo mondo, le auto senza conducente costruite da Baidu e collegate dalle reti wireless 5G di Huawei trasportano passeggeri che fanno acquisti online con Alibaba e pubblicano selfie su WeChat. Nell’altra metà, quelle attività sono dominate da aziende come Amazon, Google, Facebook, Tesla ed Ericsson. Da un lato, Internet è strettamente controllato; dall’altro è più libero. Per alcuni responsabili politici e accademici, le tensioni tra Stati Uniti e Cina puntano verso una “Guerra Fredda 2.0”, combattuta per il dominio tecnologico, piuttosto che nucleare o ideologico. È una prospettiva irta di pericoli, alimentata da falchi da entrambe le parti. Eppure richiederebbe uno smantellamento così completo delle catene di approvvigionamento e delle reti globali che hanno sostenuto in particolare la sorprendente crescita della Cina, che molti credono che una nuova Guerra Fredda non finirà per sembrare l’ultima”.[1]

La morsa attuale, dovuta in particolar modo alla crisi pandemica, ha condotto gli attori globali ad un nuovo ordine tecnologico, altamente competitivo verso una nuova governance di autoregolamentazione ed una stretta regolatoria strategica delle Big Tech. L’attuale pandemia ha potenziato ulteriormente il cartello delle piattaforme internet come Amazon, Apple, Facebook, Google e Twitter. Le Big Tech risultano essere al centro del mirino per lo strapotere in dotazione, considerato una minaccia ai valori della democrazia. Le piattaforme Facebook, Amazon, Airbnb, Uber,  rappresentano un primo esempio delle nuove possibilità organizzative offerte da dati e algoritmi, con livelli sempre crescenti di automazione delle decisioni attraverso sistemi di intelligenza artificiale, sia supervisionati che non supervisionati. Non solo consentono nuovi incontri tra domanda e offerta, non solo creano nuovo valore estraendolo dalle inedite forme di interazione che abilitano, ma permettono anche di strutturare la filiera produttiva in modo nuovo, più flessibile e dinamico, favorendo l’incontro tra servizi diversi, presentati come unità al consumatore finale,  o anche organizzando la produzione da solo.[2]
Tuttavia dal 2016, gli americani si sono resi conto del potere delle società tecnologiche di plasmare le informazioni. Queste piattaforme hanno permesso “ai ciarlatani di spacciare notizie false e agli estremisti di diffondere le teorie del complotto”.[3]  Hanno creato “bolle di filtro”, un ambiente in cui, a causa del modo in cui funzionano i loro algoritmi, gli utenti sono esposti solo a informazioni che confermano le loro convinzioni preesistenti.[4]
Le aziende hanno normalizzato quello che Shoshana Zuboff ha definito “capitalismo di sorveglianza” inteso  come “un nuovo ordine economico che rivendica l’esperienza umana come materia prima gratuita per pratiche commerciali nascoste di estrazione, previsione e vendita”.
Indipendentemente dalla natura dei sistemi politici, la regolamentazione delle società tecnologiche sembra essere inevitabile. In alcuni casi, i tre principali ecosistemi tecnologici di Cina, America e Europa,  sono motivati da preoccupazioni simili come la protezione della privacy individuale e il controllo  dell’industria tecnologica. Per altri motivi, si scopre che hanno diverse compulsioni a regolamentare la Big Tech.
Per esempio, sembra esserci un supporto bipartisan per regolamentare la Big Tech per controllare i suoi abusi di mercato negli Stati Uniti. Tuttavia, voci influenti sostengono ancora che una regolamentazione eccessivamente zelante potrebbe ostacolare uno dei maggiori punti di forza, la Silicon Valley, il fulcro dell’innovazione tecnologica moderna. Nella regione europea Francia, Germania e Gran Bretagna sono desiderose di regolamentare i giocatori Big Tech dagli Stati Uniti e dalla Cina per incoraggiare la crescita delle aziende tecnologiche nostrane.
La Brexit, le campagne America First o Make America Great Again (MAGA) negli Stati Uniti, e il China Dream in Cina, hanno coinciso con ciò che molti esperti chiamano “techno war”. I nuovi scenari sono legati a due motivazioni essenziali:

  1. La tecnologia ha un impatto sulle considerazioni di sicurezza nazionale;
  2. La Big Tech è diventata una fonte significativa della guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Queste tensioni hanno portato anche al coinvolgimento dell’UE. Ognuno di questi stati doveva confrontarsi con un particolare insieme di nuove realtà geopolitiche. Non a caso, tutti e tre gli stati hanno deciso di intraprendere un’azione simile, ovvero affermare un maggiore controllo sull’industria tecnologica.

Negli Stati Uniti e in Cina attori geopolitici hanno fatto sì che il nazionalismo tecnologico ricevesse una menzione speciale:

  1. La guerra tecnologica sino-americana
  2. L’emergere di due mondi tecnologici distinti.

La sfida posta dallo Stato cinese sotto forma di “capitalismo autoritario” ha costretto ex e attuali funzionari statunitensi a rivisitare il modello statunitense. L’ex procuratore generale, William Barr ha sostenuto  che, come la Cina, anche gli Stati Uniti devono mobilitare lo stato, gli affari e il mondo accademico.
Nel quinto plenum tenutosi nell’ottobre 2020, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha dichiarato che la Cina dovrebbe “fare progressi nel nucleo cruciale tecnologie, entrando nelle prime posizioni dei paesi innovativi”. Il Made in China del piano 2025, il quattordicesimo piano quinquennale e il piano generale 2035 indicano la “deamericanizzazione”, sostenendo che  “la Cina non vuole sostituire gli Stati Uniti ma destituire gli Stati Uniti“.[5]
L’ imponente numero di piattaforme e siti web il cui accesso non è consentito all’interno dei confini nazionali cinesi ha condotto ad un’opera di interferenza,  soprannominata ironicamente The Great Firewall.
La Cina ha dimostrato che con una serie di controlli e divieti, ovvero con quella che è definita come la “grande muraglia digitale” cinese, l’autocrazia è del tutto compatibile con l’era di Internet. Il governo cinese ha un controllo attivo su ciò che i cittadini possono fare su Internet. Impiega migliaia di censori e dedica notevoli risorse per controllare il flusso di informazioni e le società occidentali che vogliono fare affari in Cina devono acconsentire ai controlli del governo.
Il libro Guerre senza limiti, scritto da due colonnelli dell’aeronautica cinese, Quiao Liang e Wang Xiansui, ha più di vent’anni, essendo stato pubblicato per la prima volta nel 1999. Malgrado ciò mantiene tutta la sua attualità. Nel libro si sostiene che la globalizzazione e le nuove tecnologie hanno ampliato il concetto di armi e di guerra.
La globalizzazione economica, sospinta dall’avanzamento tecnologico che a sua volta viene dalla stessa alimentato, cambia radicalmente le carte in tavola e aggiunge nuove dimensioni alla guerra. Nel XXI secolo l’ innovazione è diventata un metodo primario di accumulazione della ricchezza che riduce in modo drastico la necessità di controllare le risorse naturali come parte della competizione di potere tra stati emergenti e dominanti.
Se l’economia è la guerra combattuta con altri mezzi, come si potrebbe dire parafrasando Von Clausewitz, allora la guerra commerciale è la migliore rappresentazione economica della rivalità politica.
La trade war affonda profondamente le sue radici in una guerra digitale, tecnologica e cibernetica, fondata dai timori americani di una sorta di escalation competitiva. L’inizio delle giustificate paure americane è da rintracciare nel 2015, quando la Cina presentò la sua Digital silk road e poi la strategia Made in China 2025.
Dal punto di vista giuridico, gli Stati Uniti e la Cina hanno intrapreso azioni differenti nei confronti dello strapotere delle Big Tech.
Negli Stati Uniti resta un profondo gap normativo dovuto all’assenza di una normativa univoca e alla presenza di una costellazione di statutes federali. Solo nel 2020 il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, insieme a 11 procuratori generali di stato, ha intentato una causa presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti del Distretto di Columbia per presunta violazione della Sezione 2 dello Sherman Act, nei confronti del colosso Google.
Al contrario negli ultimi anni, la Cina ha sviluppato un sistema sempre più sofisticato regime giuridico per regolamentare e consentire allo Stato di esercitare il controllo sui dati, coprendo le questioni relative a sicurezza informatica, sicurezza dei dati e protezione delle informazioni personali. Dopo un lungo periodo di relativa calma di supervisione normativa e controllo su Internet, la Cina è chiaramente passata a un controllo normativo più rigoroso.
Si  assiste oggi ad un sistema fortemente competitivo non paritario, dominato dalle Big Tech e a scapito di imprese e startup, vittime dell’effetto Pacman. Ne è risultata necessaria una disciplina regolatoria, per cui, come sostenuto da Hungtinton, la modernizzazione si separa dall’occidentalizzazione.
Il futuro della trappola tucididea tra Stati Uniti e Cina è incerto: sicuramente i framework giuridici, le leggi federali americane da un lato, il ruolo del Partito cinese, costellano le loro singole azioni nella rivoluzione 4.0.


Note

[1] M. Champion, Digital Cold War, in «Bloomberg», 12 Dicembre 2019
[2] C.Rossi Chauvenet, S. Martinelli,  Data valley: the development of new smart services in the dialogue with Big Tech, TOELI Research Papers,n.4, 2021.
[3] M. Alfonso, Le Big Tech minacciano la democrazia, cit.
[4] A. Bruno, Le Big tech minacciano la democrazia, Pontifical University of the Holy Cross – Rome, Social Comunications, 2020, p. 2
[5] Dichiarazione di Collins all’Aspen Security Forum in Colorado, 3 Agosto 2021.


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