Il dossier turco è sicuramente uno di quelli che da più tempo si trova sui tavoli di Bruxelles. I negoziati e il processo di integrazione vanno avanti almeno dagli anni ’90 anche se la prima partnership con Ankara data gli inizi degli anni ’60 del secolo scorso. L’avvicinamento tra la Turchia e la CEE/UE ha conosciuto fasi cicliche di avanzamenti e stalli progressivi e, negli anni, si è assistito ad un progressivo rallentamento dello slancio da entrambe le parti.
Il percorso di avvicinamento della Turchia all’Europa ha trovato un forte slancio a partire dal processo di modernizzazione iniziato durante il periodo imperiale e consolidato e perfezionato con la proclamazione della repubblica nel 1923. La nuova classe dirigente repubblicana guidata da Mustafa Kemal Atatürk avvia il paese lungo un percorso di profonda trasformazione politica, economica, istituzionale e culturale. Note sono ad esempio le riforme che hanno separato la religione dallo stato, rendendo la Turchia il primo paese laico tra quelli musulmani o la promulgazione del nuovo codice civile sul modello svizzero che, almeno formalmente, riconosceva la parità tra uomini e donne. Il processo riformatore kemalista modifica profondamente il paese ma sarà all’indomani del secondo conflitto mondiale che si assisterà ad un vero e proprio avvicinamento tra Ankara e l’Europa, nel contesto del nuovo confronto derivante dalla Guerra Fredda.
La fine della Seconda guerra mondiale, alla quale prende parte solo formalmente la Turchia a partire dal febbraio 1945, rappresenta un momento fondamentale per il suo percorso europeo e occidentale. In un contesto internazionale che nel biennio 1945 – 1947 vede la progressiva stabilizzazione dei regimi comunisti in Europa orientale, la Turchia diventa osservato speciale di entrambi gli schieramenti. Ankara non è in grado di fare fronte efficacemente alle pressioni sovietiche che in quegli anni provengono sia da est che da ovest. Il disimpegno britannico, la sempre maggiore minaccia da parte sovietica, convincono gli Stati Uniti a sostenere il governo turco rendendolo destinatario, nel quadro della dottrina Truman, di finanziamenti e aiuti militari. La scelta di campo in senso occidentale viene riaffermata dalla decisione di prendere parte agli aiuti stanziati nel quadro del piano Marshall e definitivamente confermata con l’ingresso nella NATO nel 1952[1].
Il percorso europeo
Il percorso di integrazione europea muove i suoi primi passi negli anni ’50 ed è guardato con interesse dalla classe politica turca, che lo considera come una logica estensione del processo di inserimento all’interno del campo occidentale e del sistema di stati europeo, nonché la vera e propria opportunità di ammodernamento.
Nel 1963 viene firmato il primo accordo di associazione tra Turchia e CEE. Il trattato tracciava la strada per giungere all’unione doganale, tramite un percorso in tre fasi. La lentezza che caratterizza la storia complessiva dei rapporti euro turchi è ben visibile già in questo primo passaggio: l’unione doganale sarà ottenuta solamente nel 1995. All’interno dello stesso accordo, poi, era considerata la possibilità della membership, da concretizzarsi solo quando l’esecuzione dello stesso accordo avesse fatto presagire la capacità e la volontà da parte turca di accettare e rispettare le obbligazioni derivanti dai trattati istitutivi.
L’ipotesi di allargamento alla Turchia aveva sin da subito diviso le opinioni dei diversi stati membri. La Germania, infatti, che aveva nella Turchia uno dei suoi maggiori partner commerciali vedeva con favore alla creazione dell’unione doganale, così come i paesi del BeNeLux le cui economie erano orientate verso l’esportazione. Maggiori resistenze, al contrario, si registravano in Francia e Italia che temevano la concorrenza dei prodotti agricoli turchi.
Il difficile panorama internazionale degli anni ’70 complica anche i rapporti tra CEE e Turchia, che nel 1970 avevano firmato un protocollo aggiuntivo che doveva inaugurare la seconda fase per la costituzione dell’unione doganale. Disaccordi sull’interpretazione e all’applicazione del protocollo, uniti alla crisi di Cipro e alla crisi economica ed energetica di quegli anni, portano al congelamento delle relazioni euro-turche nel 1978. Con il ritorno alla normalità costituzionale dopo il colpo di stato del 1980 e la liberalizzazione economica vissuta dalla Turchia in quel decennio, il dialogo sembra riprendere. La prima richiesta formale di adesione viene inoltrata alla CEE nel 1987 che però la rifiuta. Al fine di garantire comunque il dialogo, si decide di accelerare il processo volto al raggiungimento dell’unione doganale, che entra finalmente in vigore nel 1996. Ad una seconda richiesta di adesione, nel 1997, l’UE risponde di nuovo negativamente, salvo poi riconoscere finalmente lo status di paese candidato, nel corso del Consiglio Europeo di Helsinki del 1999. Viene richiesto alla Turchia di raggiungere degli obiettivi a breve termine per poter arrivare all’apertura dei veri e propri negoziati. Il corpus di riforme che tra il 1999 e il 2004 vengono messe in opera, mirano a soddisfare (almeno in parte) i criteri di Copenaghen e hanno rappresentato il momento di maggior spirito riformista ed europeista del paese. La vera e propria apertura dei negoziati, nel 2005, rappresenta nella storia dei rapporti euro turchi il momento di maggior fiducia e avvicinamento tra le due parti.
Prospettive
A quasi vent’anni dall’inizio dei negoziati di adesione, le porte dell’Unione Europea non sembrano essere più aperte rispetto a trent’anni fa. Dei 35 capitoli negoziali aperti, solo uno è stato effettivamente chiuso mentre un gran numero è bloccato dal veto cipriota. Il sempre più marcato deterioramento degli standard democratici, le resistenze di alcuni paesi all’ingresso turco, come Cipro e Francia, le tensioni nel Mediterraneo orientale continuano a complicare un quadro di dialogo che stenta a rimanere a galla.
La Commissione e il governo turco hanno costantemente cercato di mantenere in vita e rinvigorire le trattative. Ad esempio, nel 2012 nel tentativo di rilanciare il dialogo si è inaugurat la “positive agenda initiative” volta a portare nuove dinamiche nei rapporti euro turchi ma che non ha dato frutti di particolare valore. Un ulteriore e temporaneo riavvicinamento si è registrato nel quadro della crisi dei rifugiati (2015 – 2016) che aveva portato alla firma di accordi volti a bloccare le partenze dalle coste anatoliche.
In una situazione di rinnovata ma strumentale cooperazione, il dialogo si è nuovamente interrotto sulla scia sia del contesto interno che di quello internazionale: lo scivolamento autoritario delle istituzioni turche all’indomani del colpo di stato fallito del 2016, il posizionamento della Turchia in Libia e le sempre maggiori frizioni sulle perforazioni nel Mediterraneo orientale hanno portato ad un mutuale irrigidimento delle posizioni.
Negli ultimi anni sembra essersi ricercato un rilancio del dialogo e della prospettiva di integrazione europea della Turchia. Non va però dimenticato che le difficoltà nel rapporto, la lentezza delle negoziazioni, hanno lasciato un segno anche a livello di pubblica opinione in Turchia, dove il sostegno al percorso europeo sembra essersi profondamente ridotto (dal 75% agli inizi degli anni 2000 al 30% odierno) [2].
Al di là di generali enunciazioni di principio durante i Consigli europei, è necessario ripensare in toto la struttura e la direzione che vuole essere data al rapporto euro turco. Un intervento volto al riammodernamento dell’originario accordo di associazione del 1963 potrebbe rivelarsi utile per far uscire dalle secche un rapporto che negli ultimi anni ha raggiunto il suo minimo storico.
Sebbene sia innegabile che il tema del rispetto della democrazia sia fondante e fondamentale per poter accedere all’UE, dobbiamo anche assumere come dato il fatto che il ristabilimento di democrazia e rispetto dei diritti umani dovrà essere una scelta del popolo turco e non indotto dall’esterno tramite la prospettiva europea, che però può rappresentare un approdo ideale.
Note
[1] Biagini A. F., Storia della Turchia contemporanea, storia paperback, Bompiani, 2017.
[2] Aydin-Düzgit S., Şenyuva Ö., “Turkey: a Vicious Cycle of Euroscepticism?” in Euroscepticism and the Future of Europe. Views from the Capitals, a cura di Kaeding M., Pollak J., Schmidt P., Palgrave Macmillan, 2021.
Foto copertina:Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan makes his speech under Turkish and EU flags during a dinner “iftar” that ends the fasting for Muslims during Ramadan, in Istanbul on Wednesday, 12 October 2005. German Chancellor Schroeder arrived here today to be the first non-Muslim politician to attend a breaking fast dinner by invitation of Erdogan. EPA/TOLGA BOZOGLU