La Coppa del mondo è alle porte e, con essa, riemergono tutti gli scandali che ne sono scaturiti. Seppure sia una delle manifestazioni più seguite, questa edizione porta con sé un alone pesante che rischia di distoglie l’attenzione dallo spettacolo straordinario che offre.
I seimilacinquecento lavoratori migranti morti sono solo la punta di un iceberg che cela un movimento ambiguo che non può e non deve essere ignorato: manipolazioni politiche e corruzione hanno coinvolto un’intera classe di dirigenti calcistici.
A Zurigo, nel 1996, il qatariota Mohamed bin Hammam viene assunto dalla Fédération internationale de Football Association, meglio nota con l’acronimo di FIFA; l’uomo in questione è stato protagonista di un’ascesa al potere considerevole: otto anni dopo, nel 2002, diviene presidente dell’AFC[1] e presidente della Fifa Goal Bureau, portando a compimento la proposta del suo Qatar come sede per il mondiale del 2022. Negli ultimi mesi del 2011, però, mostra un atteggiamento sospetto: sfiora la candidatura alla presidenza FIFA durante il 61° Congresso, ma tre giorni prima della votazione a Zurigo si chiama fuori dalla corsa; è il giorno prima della sanzione da parte del Fifa Ethics Committee che sospende lui e Jack Warner, altro esponente FIFA nonché presidente della CONCACAF[2]. L’accusa è quella di corruzione: secondo la ricostruzione dei fatti Hammam e Warner si sono resi protagonisti del tentativo di corruzione durante il meeting della CFU[3] con buste di soldi fatte trovare in ciascuna delle camere di hotel dei federali presenti alla riunione. La Fifa Ethics Committee radia entrambi, decisione confermata e appoggiata dalla Commissione d’Appello della FIFA; Mohamed bin Hammam procede con il ricorso al TAS[4] e vince un anno dopo. La FIFA, però, è decisa ad allontanarlo definitivamente; ingaggia il procuratore Michael J. García per investigare sul suo operato: Hammam viene accusato di conflitti d’interesse a causa del ruolo di presidente AFC e membro esecutivo della FIFA che praticava contemporaneamente. A dicembre dello stesso anno, sei mesi dopo l’assoluzione della prima accusa, Mohamed bin Hammam viene nuovamente radiato dalla FIFA.
Un anno prima, questa volta a Parigi, in Francia, si riuniscono a pranzo Michel Platini, Nicolas Sarkozy e Tamim bin Hamad Al Thani, rispettivamente presidente UEFA[5], presidente della repubblica francese e prossimo emiro del Qatar. Secondo la ricostruzione di Le Monde al Palazzo dell’Eliseo si discutono diversi temi di natura rilevante: dalla creazione del canale sportivo tematico BeIN all’acquisizione da parte di QSI[6] del Paris Saint-Germain. Sul tavolo, quindi, un giro di soldi considerevole e un possibile scambio di favori di vertice: l’investimento in Francia da parte del Qatar al fine di aprire le porte ad un ruolo da protagonista nelle candidature future per la Coppa del Mondo.
Nel 2021, in Inghilterra, il quotidiano The Guardian[7] scuote il mondo con una denuncia forte: un’inchiesta sulla morte di più di 6.500 lavoratori migranti in Qatar dall’assegnazione della manifestazione di dieci anni prima. India, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka e Pakistan le nazioni dalle quali provenivano i lavoratori; i dati riportati dal quotidiano evidenziano, nello specifico, che tutti i paesi menzionati hanno subìto 5.927 vittime tra il 2011 e il 2020 ad esclusione del Pakistan che, invece, ha subìto 824 vittime tra 2010 e il 2020. Essendo un’analisi circoscritta i documenti riguardano una cifra approssimativa che non considera altri paesi come Filippine e Kenya, erogatrici di un numero copioso di lavoratori, e nella fattispecie non considera i decessi degli ultimi mesi del 2020. Il risultato dell’analisi è agghiacciante: in media sono morti 12 lavoratori a settimana.
Stadi, hotel, strade, un aeroporto e persino una città: questi i piani sfarzosi prestabiliti dal Qatar al fine di ospitare nel miglior modo possibile i Mondiali. Dietro le quinte le inverosimili morti per variegate cause, dal suicidio alla folgorazione da cavi elettrici fino a improbabili cause naturali dovute più probabilmente ad uno sforzo sovrumano e condizioni indicibili sul luogo di lavoro. A tali accuse il governo del Qatar ha risposto manipolando i dati a proprio favore e affermando che il numero dei decessi include le morti naturali e che il 20% dei migranti provenienti dalle nazioni sopra menzionate è stato impiegato nell’edilizia, sottostimando al 10% le morti legate a questo settore. La scarsa credibilità dello stato arabo si manifesta nella poca trasparenza sui decessi e nell’approssimazione dei dettagli di quest’ultimi; il governo si è dimostrato riluttante nel concedere le informazioni richieste, quelle che sono state divulgate si sono dimostrate incongruenti. Ciò che è emerso è sconcertante e provoca diversi sospetti: non esiste un formato standard sulle registrazioni delle cause di decessi. A tal proposito The Guardian riporta una dichiarazione di un portavoce della FIFA in cui ritiene la federazione impegnata a proteggere i diritti dei lavoratori in tutti i progetti e considera la frequenza degli incidenti nei cantieri della Coppa del Mondo in Qatar bassa rispetto ad altri prestigiosi progetti del mondo. Durante un evento promosso dal Milken Institute è intervenuto il presidente FIFA Gianni Infantino[8], il quale ha rilasciato dichiarazioni di dubbio gusto che hanno provocato diverse riflessioni: alle domande scomode riguardo i lavoratori morti ha voluto porre l’accento sulla dignità e sull’orgoglio di ricevere un incarico nonostante le condizioni difficili, per poi discolpare la FIFA dalle accuse mosse ed elogiarla per la grande manodopera che è riuscita a creare. A incorniciare un’atmosfera già tesa, i molteplici messaggi di dissenso provenienti dallo stesso mondo del calcio: Eric Cantona, ad esempio, è intervenuto a gamba tesa contro i Mondiali in Qatar per i migliaia di lavoratori morti e ha tenuto a precisare che non vede un futuro calcistico nello stato arabo, perciò non seguirà la Coppa del Mondo; Oliver Bierhoff ha preso le distanze dalle leggi contro gli omosessuali per le quali si rischiano fino a sette anni di carcere. A ciò si aggiungono i divieti sugli atteggiamenti intimi, come i rapporti sessuali tra persone non sposate, per i quali sono previsti fino a sette anni di carcere. Lasciano perplessi gli atteggiamenti riluttanti del Comitato Supremo del Qatar che non si è sbilanciato a favore della protezione dei diritti umani per la comunità LGBTQ+ e ha risposto con un comunicato generico nel quale precisa che tutti saranno i benvenuti, ma in cui non viene fatta alcuna menzione alla comunità stessa; comportamento che ha creato apprensione in una minoranza che fa sapere di essersi tagliata fuori dall’organizzazione e che non parteciperà ufficialmente a nessuna manifestazione.
Note
[1] Nota come: Asian Football Confederation.
[2] Nota come: Confederation of North, Central America and Caribbean Association Football.
[3] Nota come: Caribbean Club Championships.
[4] Noto come: Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna.
[5] Nota come: Union of European Football Associations.
[6] Noto come: Qatar Sports Investments.
[7] https://www.theguardian.com/global-development/2021/feb/23/revealed-migrant-worker-deaths-qatar-fifa-world-cup-2022
[8] In carica dal 26 febbraio 2016.
Foto copertina: Il 2 dicembre 2010, nella sede principale della FIFA a Zurigo, venne decretato che l’edizione del 2022 della Coppa del mondo FIFA si sarebbe giocata in Qatar.