Nel ventennio di ‘assenza’ di talebani al potere, dal 2001 ad oggi, le donne afghane riescono faticosamente a conquistare e vedersi garantire diritti, partecipare alla vita del paese senza il timore di essere perseguitate e tagliate fuori da ogni tipo di attività.
Le ragazze nate durante questi venti anni non hanno mai conosciuto il significato di vivere sotto il terrore dei talebani, e con la recentissima presa di potere da parte di questi ultimi, sono probabilmente destinate a vedersi strappare le vittorie sudate in tanti anni.
Le donne afgane
Dall’inizio della “war on terror” inaugurata l’11 Settembre 2001 dagli USA alla presa di Kabul da parte dei Talebani lo scorso 15 Agosto, le ragazze e le donne afghane non avrebbero di certo affermato di vivere in un paese libero, in cui potessero esprimersi e dare seguito ai loro desideri senza alcun intralcio.
Ricordiamo che l’Afghanistan resta tra i peggiori paesi in cui nascere donna: violenze e abusi sono all’ordine del giorno per le donne afghane.[1] D’altronde piccole conquiste iniziavano a smuovere il clima culturalmente ostile e violentemente maschilista che schiaccia da tempo i loro diritti: più partecipazione alla vita sociale e politica; la possibilità di andare a scuola e all’università, di far sentire un po’ di più la propria voce; la necessità di non doversi coprire dalla testa ai piedi, di non indossare il burqa se non per una scelta realmente voluta; poter uscire di casa senza necessariamente essere accompagnate da una controparte maschile. Ora, con il ritiro dell’ISAF, il clima di terrore che si vive nelle strade di Kabul come Herat, ha portato giovani donne afghane a dare inizio a quel processo di oblianza necessario, per far perder traccia di ciò che sono, delle libertà che costeranno loro anche la vita, nel caso i talebani bussassero alle loro porte e scoprissero qualcosa di normale: essere diventate donne cui vengono accordati dei diritti. Passare da un governo vagamente tollerante ad uno misogino nel peggiore dei modi, e vivere il trauma di doversi barricare in casa dallo sgomento di rivelare la propria vera identità potrebbe diventare la quotidianità di queste donne.
“Sono impegnati a perseguitare coloro che sono istruiti, e che possono unire le persone”[2], afferma una donna afghana di Kandahar, che decide di nascondere i suoi libri: “se a loro non piacciono i miei libri, potrebbero prendere la mia vita in un attimo”[3]. La vendita dei burqa è aumentata a dismisura, le donne afgane chiudono i loro profili Facebook e Instagram, coloro che lavoravano sono tutt’altro che sicure di poter continuare ad esercitare la loro professione, e ci si prepara per vivere sotto ‘la legge dei talebani’.
L’ascesa talebana
A partire dall’accordo bilaterale di Doha del 2020, in Qatar, tra il Presidente americano Donald Trump e i Talebani, questi ultimi hanno avuto terreno spianato per riempire quel vuoto di potere (anche a fronte della fragilità del governo afghano) che di lì a poco avrebbero lasciato le truppe USA. Un ritiro nei fatti incondizionato, che ha dato la possibilità già a partire da Maggio agli estremisti islamici di organizzarsi con anticipo e concedendo nulla in cambio alla resa. Nessun cessate il fuoco, nessun compromesso che garantisse l’incolumità della popolazione afghana. Non sono infatti mancati i primi episodi di rapimenti nei primissimi giorni di assedio, donne e ragazze afgane anche giovanissime sono state prese come bottini di guerra, stuprate, usate come schiave.
La rapidità disarmante con cui si è scandita l’ascesa talebana ha reso ancora più difficile organizzare una risposta altrettanto rapida ed efficace, portando a scene di caos e disperazione, con migliaia di persone che cercano in qualsiasi modo di lasciare il paese, anche a costo di perdere la vita, aggrappandosi alle ali di un aereo militare per scappare via.
Potrebbe interessarti
La scelta di Biden
Una responsabilità di certo non imputabile in via esclusiva all’attuale presidente USA Joe Biden, che di fatto ha concluso un processo già iniziato dal suo predecessore e che è stato fortemente voluto da anni dalla stragrande maggioranza degli americani. Allo stesso modo, da Bush con l’inizio di Enduring Freedom (o meglio ancor prima con Reagan, nel periodo ’78-’89 con il finanziamento dei talebani contro l’URSS), ad Obama con il periodo di graduale riduzione delle truppe in Afghanistan (e la scoperta dei famosi Drone Papers[4]), è condivisibile che la responsabilità di ciò che in questi venti anni ha dilaniato il paese sia condivisa da diversi attori. Attori a cui si aggiunge di sicuro l’Italia e l’UE, che negli anni si sono dimostrati sempre assoggettati al volere di Washington, guidati da un servilismo accomodante e perdurante.
I corridoi umanitari
L’Italia, ora più che mai, così come gli altri paesi responsabili, dovrebbe farsi carico delle conseguenze delle decisioni intraprese, e garantire alla popolazione afghana il supporto di cui necessita, la protezione che gli è indispensabile. Il governo italiano dovrebbe essere disposto ad accogliere i rifugiati piuttosto che agire attraverso i rimpatri forzati. L’Italia è colpevole di costanti respingimenti, anche di profughi afghani. All’articolo 33 la Convenzione di Ginevra sancisce il principio di non-refoulement[5] così come l’articolo 10 Costituzionale afferma il diritto di asilo dello straniero in situazioni di negazioni di libertà nel paese di origine. In maniera simile, altri paesi europei tra cui Polonia, Ungheria, Francia e Germania rilasciano le prime dichiarazioni del tutto ostili a qualsivoglia tipo di accettazione dei profughi. Ciò malgrado le dichiarazioni del segretario generale dell’ONU Guterres, che chiede la fine delle violenze, il rispetto dei trattati internazionali, la tutela di donne e bambine, l’accoglimento dei profughi afghani da parte degli altri paesi.
L’idea di instaurare dei corridoi umanitari sottoposta al Ministro degli Esteri di Maio e quello della Difesa Guerini, almeno per il momento, viene considerata impraticabile, perché riconoscerebbe e legittimerebbe implicitamente il governo talebano.
“Ho lasciato la mia scrivania con gli occhi pieni di lacrime e ho detto addio ai miei colleghi. Sapevo che sarebbe stato il mio ultimo giorno di lavoro”. Le parole di una ragazza afghana, che racconta di come la polizia stesse evacuando le donne dal loro dormitorio universitario a seguito dell’entrata dei Talebani a Kabul. Lei avrebbe dovuto laurearsi in due prestigiose università afghane, ma con ogni probabilità non potrà proseguire i suoi studi. Continua:
“I worked for so many days and nights to become the person I am today, and this morning when I reached home, the very first thing my sisters and I did was hide our IDs, diplomas and certificates. It was devastating. Why should we hide the things that we should be proud of? In Afghanistan now we are not allowed to be known as the people we are.”[6]
I Talebani: “Rispetteremo le donne”
Le primissime dichiarazioni da parte dei rappresentanti dei talebani vedrebbero le donne rispettate, ancora libere di esercitare il loro lavoro e di studiare, ma con alcune limitazioni, cioè sotto la rigida legge della Shari’a.
L’altro scenario, quello più plausibile e confacente al modo di operare talebano, vedrebbe le donne afghane completamente rimosse dalla società, rese invisibili non solo nella loro fisicità ma, a braccetto, anche e soprattutto nella loro identità intellettuale e professionale, che si tradurrebbe quindi nell’esclusione da scuole, università, vita sociale e politica. In parole povere, verrebbe distrutto quel faticoso processo di empowerment femminile costruito e sudato anno dopo anno.
La speranza, dopo tutto, è che questa consapevolezza riesca a dare loro la forza di continuare a lottare, a non accettare di fare retromarcia a quel medioevo terrorizzante ed escludente che le colloca esclusivamente come mero accessorio maschile.
La generazione di donne afghane cresciuta a partire dal 2001 potrebbe non più tollerare la legge ortodossa dei talebani.[7] Lo sgomento potrebbe dar spazio al coraggio di tenere stretta in pugno la propria libertà. Già assistiamo alle prime manifestazioni pacifiche, seppur timide, contro il nuovo governo, accanto ai miliziani con i Kalashnikov ed M4 in spalla. Le giornaliste si presentano davanti alle telecamere a volto scoperto e intervistano i talebani abbracciando la loro identità e la loro dignità.
Note
[1] ‘Violence starts at home’: the Afghan women tackling domestic abuse at its source, Stefanie Glinski, The Guardian, 29 Gennaio 2021
[2] Hiding books, buying burqas: Kandahar prepares for Taliban rule, Ruhullah Khapalwak, The Economist, 13 Agosto 2021
[3] Ivi
[4] https://theintercept.com/drone-papers/
[5] https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf
[6] An Afghan woman in Kabul: ‘Now I have to burn everything I achieved’, The Guardian, 15 Agosto 2021
[7] Afghans will not tolerate women’s removal from society, MP says, Lucy Marks, Reuters, 16 Agosto 2021
Foto copertina: