Le prime “battute” della presidenza Biden agli occhi del Cremlino


Una nuova sfida o un ritorno a retoriche del passato? Dialogo con il professor Simone Selva, docente di Storia e politica delle relazioni transatlantiche, presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”


 

“Assassino”

Vladimir Putin è un “assassino” e “pagherà un prezzo” per le sue interferenze nelle elezioni americane. In un’intervista alla Abc, Joe Biden lancia un’accusa senza precedenti per un presidente americano contro il leader del Cremlino.[1]

Le parole soprariportate, datate 17 marzo 2021, sono “rimbalzate” nei giorni successivi tra le pagine di numerosissime testate giornalistiche in tutto il mondo. Accuse così aperte e dirette verso il leader del Cremlino potrebbero ricordare toni quasi da guerra fredda e riconducibili al famoso discorso del presidente Reagan sull’”impero del male[2], datato 8 marzo 1983.

Una presa di posizione forte, dunque, quella del neoeletto presidente degli Stati Uniti ma che ha visto da parte del Cremlino e di Putin stesso una risposta quanto mai ironica che ha suscitato ilarità per la sua somiglianza con il famoso gioco tra bambini “specchio riflesso” (e simili). Putin ha anche sottolineato una velata “inadeguatezza” delle dichiarazioni di Biden alle quali, ad oggi, non sono seguiti ancora dei fatti. La risposta del leader del Cremlino a tal proposito è stata chiara, infatti secondo Putin “La classe dirigente statunitense lancia gravi accuse contro altri paesi per distrarre l’opinione pubblica dai propri problemi di politica interna e estera”[3]. Biden, dal canto suo, è pienamente consapevole, o convinto, che la presidenza di Trump ha causato dei “danni” all’immagine degli Stati Uniti nel mondo ed uno dei suoi principali obiettivi è di riportare gli Stati Uniti ai fasti del passato o, per usare le parole di Biden stesso, “back at the head of the table”.
La qual cosa, non sembra essere possibile, almeno nell’immediato.

Biden asserted that under his leadership, the United States would be “back at the head of the table.” But a return to the pre-Trump status quo is not possible. The world—and the United States—have changed far too much. And although hailing the return of American hegemony might seem comforting to Americans, it reveals a degree of tone-deafness to how it sounds to the rest of the world.[4]

Queste affermazioni, dunque, tratte da un articolo della famosa rivista Foreign Affairs sono state confermate proprio dalla risposta del Cremlino alle accuse di Biden. Certo è che atti quali il ritiro dell’ambasciatore russo Anatoli Antonov a Washington per consultazioni e l’indignazione di Volodin, presidente della Duma hanno dimostrato nervosismo da parte russa per le accuse: il presidente della Duma Viaceslav Volodin ha subito replicato furiosamente che “Biden ha insultato i russi” e che i suoi attacchi a Putin “sono attacchi contro il nostro Paese”[5]

Nervosismo che però è stato rapidamente sostituito dalla già citata ironia della risposta di Putin e l’apertura al dialogo che il presidente russo ha offerto alla controparte americana con estrema lucidità politica. 

Quest’ultimo, durante un evento allo stadio Luzhiniki di Mosca per celebrare il settimo anniversario dell’annessione della penisola di Crimea, ha risposto così: “Voglio invitare il presidente Biden a continuare le nostre discussioni, ma a condizione di farlo in diretta, in videoconferenza. Senza alcun ritardo, attraverso una discussione aperta e diretta[6].

Simone Selva, docente di Storia e politica delle relazioni transatlantiche, presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”

Ad oggi i terreni di scontro con la Russia, vecchi e nuovi, sono numerosi.
A partire dalla irrisolta questione in Ucraina (che ha visto negli ultimi tempi degli ulteriori e rapidi sviluppi), la pandemia causata dal Covid-19 che vede allegata la spinosa questione vaccini e un’Europa quanto mai divisa, la “corsa all’Artico[7] già trattata in un precedente articolo e altri. Tematiche complesse sulle quali tenteremo di far luce grazie al prezioso supporto del professor Simone Selva, docente di Storia e politica delle relazioni transatlantiche, presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

Alla luce degli ultimi avvenimenti, crede che il presidente stia riprendendo la linea di Obama verso Putin e la Russia o che il suo passato istituzionale (la formazione politica maturata in piena guerra fredda) stia “prendendo il sopravvento”?

Un paragone mi sembra difficilmente proponibile. L’Amministrazione Obama nasceva dal lungo deterioramento e poi dalla fine dell’unipolarismo mondiale post-89 determinato, in sequenza, dall’attacco alle Torri Gemelle del 2001, dall’ascesa economica della Cina e infine dal meltdown economico mondiale del 2008, ampiamente avvertito come crisi americana.
La vittoria di Biden è la conseguenza dell’impatto interno di una crisi globale, quella legata alla pandemia in corso, e come tale percepito, e prende forma in un quadro di persistente crisi del multilateralismo e di costante affermazione di un nuovo multipolarismo, con poli economici e politici già ampiamente affermati e titolati sul piano mondiale, in primo luogo la Cina ovviamente.
Premesso questo quadro del tutto differente in cui si è definita la politica estera di Obama e prende avvio quella di Biden, va detto che la posizione di Obama nei confronti della Russia è mutata nel tempo.
Prima del forte irrigidimento maturato in via definitiva nel 2014 a seguito dell’annessione dell’autonoma Repubblica della Crimea da parte della Russia di Putin, la prima amministrazione Obama, fino al 2011, aveva cercato un’intesa internazionale con il Cremlino che aveva contribuito a importanti risultati quali il New Strategic Arms Reduction Treaty (New Start), e forme di cooperazione in Iran e Afghanistan.

Diversamente, Biden giunge alla Casa Bianca avendo un quadro multipolare ben definito e un contesto di rapporti politici e economici internazionali altamente competitivo. Pertanto, ha bisogno di trovare forme di cooperazione con i propri rivali, affermando la differenza tra grandi democrazie occidentali e nuovi colossi autoritari.
Diversamente da autorevoli fonti di stampa internazionali quali il Washington Post, che fin da gennaio 2021 hanno visto conflitto e divergenza quale unico destino dei rapporti tra Mosca e Washington, a partire dalla questione della sovranità ucraina, è molto probabile che Biden cerchi la collaborazione dei propri rivali per stabilizzare la stessa forza internazionale degli USA.
In tal senso possiamo leggere i recentissimi contatti diplomatici tra i due leader, dove la Casa Bianca afferma il proprio desiderio di collaborare con Mosca laddove gli interessi coincidano: la formula usata è quella del perseguimento di uno strategic stability dialogue, soprattutto sul piano del controllo degli armamenti e dei problemi di sicurezza globale.

Ciò senza far venir meno la tutela dell’interesse nazionale americano, promettendo di mantenere alta la guardia in materie quali cybersecurity e interferenze russe nelle elezioni. Sotto alle dichiarazioni bellicose vi è dunque a mio avviso il bisogno di rafforzare la propria posizione nella nuova balance of power multipolare in via di riassetto, e la ricerca di forme di cooperazione è parte di questa scelta strategica.

L’Europa, prima delle dichiarazioni già citate, stava guardando alla Russia per avviare la produzione del vaccino Sputnik V. Ora questi contratti sono fermi e alcune dichiarazioni affermano che il vaccino russo non sarà necessario. Lei pensa che questa sia una “vittoria” economica per gli Stati Uniti nei confronti della Russia in piena crisi economica?

Durante la fase acuta della crisi pandemica il Cremlino si è sicuramente avvicinato ai paesi dell’Unione Europea: lo testimoniano le varie forme di assistenza avanzate ai paesi europei, in primo luogo senz’altro l’Italia.

L’Unione Europea sembra aver fatto la propria scelta di campo in materia di politiche sanitarie e farmaceutiche ben prima delle dichiarazioni di Biden su Putin, con l’approvazione transitoria da parte dell’EMA solo di vaccini occidentali.

Le questioni farmaceutiche, sovraesposte in seno all’opinione pubblica, vanno considerate per il valore transitorio che hanno. Il braccio di ferro vero tra Mosca e Washington nell’eterna battaglia per l’Europa sembra ancora una volta la Germania: già incline a intrattenere disinvolti rapporti economici con Mosca grazie all’attivismo di Schroder e dell’accolita di dirigenti politici raccolti attorno all’ex premier tedesco, i rapporti tra Berlino e Mosca non possono che essersi sviluppati durante l’amministrazione Trump per l’acclarato disimpegno di quest’ultima dall’Europa. Il vero test in materia per l’amministrazione Biden credo sarà la propria capacità di influenzare la costruzione del mega deal energetico Nord Stream 2.

Negli ultimi anni la Federazione Russa ha avviato una vera e propria “corsa all’Artico” mentre gli Stati Uniti hanno portato avanti una politica meno aggressiva e incentrata su obiettivi “comunitari” insieme ad altre nazioni. Crede che con la presidenza Biden e i toni già innalzati da quest’ultimo si possa vedere una svolta maggiormente interventista sull’argomento e atta a intralciare i piani russi anche in questo teatro?

Con il surriscaldamento climatico degli ultimi decenni la cosiddetta rotta a nord est ha già visto praticata questa rotta, nei mesi più caldi, per i traffici commerciali.
Si tratta di una eccellente alternativa rispetto al Canale di Suez riducendo i tempi di navigazione anche de 40 percento. Ciò è valido in particolare per le navi mercantili che si muovono tra Cina e Europa.

Negli scorsi anni tutte le grandi potenze protagoniste del mondo multipolare in cui viviamo, Stati Uniti inclusi, hanno manifestato interesse per questa prospettiva commerciale. Se come pare la crisi pandemica globale rappresenta un nodo storico di rallentamento del processo di di globalizzazione economica ma non la causa di un processo centrifugo di scomposizione delle catene globali del valore, è probabile che l’intensificarsi post-pandemico dei movimenti commerciali anche marittimi, unitamente alle scarse possibilità di invertire il surriscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacciai artici possa riaccendere tale corsa per il dominio della rotta artica al quale sono interessate soprattutto Russia e Cina.

Se dovesse consolidarsi un’alleanza tra Russia e Cina per il dominio dell’Artico gli Stati Uniti, che a lungo sotto la presidenza Obama si sono mantenuti in secondo piano su questo scacchiere, avrebbero davanti due strade: rinunciare a tale corsa per concentrare i propri sforzi geo strategici per consolidare il proprio dominio sulle rotte tradizionali; oppure prendere di petto la materia, come dichiarò di voler fare Trump quando esplicitò il proprio intento di voler comperare la Groenlandia.

La questione Ucraina, da anni uno dei temi spinosi in Europa ha visto una ripresa di attività militari russe presso i confini ucraini.
Questa presa di posizione del Cremlino potrebbe essere considerata una “risposta” diretta a Biden? È possibile che il neoeletto presidente possa intervenire in maniera più plateale nel teatro europeo?

Molto recentemente, sullo sfondo del tentativo di Biden di cercare forme di intesa con Mosca di cui dicevamo, il National Security Council e la diplomazia russa hanno apertamente ventilato la prospettiva di organizzare un presidential summit bilaterale.

Il processo di military build up russo ai confini della Ucraina comprometterebbe sicuramente tale processo di avvicinamento. Tuttavia, le ragioni che possono spingere il Cremlino a tale svolta militare significativa (secondo il Pentagono e la NATO si tratta di una buildup maggiore anche rispetto a quella dispiegata nel 2014), possono essere molteplici.

La più accreditata è sicuramente quella di testare la politica estera della Casa Bianca e di dimostrare la forza contrattuale che, attraverso prove di forza militari, Mosca può mettere sul terreno dei rapporti diplomatici bilaterali.

Tuttavia, vi potrebbero essere altre ragioni che hanno spinto Mosca a riprendere la propria pressione militare ai confini dell’Ucraina: dimostrare all’Ucraina stessa che nonostante il cambio della guardia a Washington resta immutata la capacità della Russia di influenzare il paese ed esercitare pressione. Ancora, utilizzare da parte del Cremlino la prova di forza in politica estera quale risposta alle difficoltà di consenso e coesione sociale interna alla società russa.

Per capire quale di queste ipotesi sia la più plausibile sarà importante vedere quanto la “detente” cercata da Biden si incroci o collida con la prova di forza militare russa alle porte dell’Ucraina.

Ritiene che l’inasprimento dei toni con la Federazione Russa avviato da Biden e già citato sia un “monito” per l’Europa a non cedere al soft power del Cremlino?

La Francia ha, anche storicamente, un rapporto con Mosca che prescinde dagli Stati Uniti e corre su canali propri rispetto all’appartenenza euroatlantica di Parigi. Più recentemente Macron è apparso muoversi per fare dei tradizionali rapporti franco-russi un canale di interlocuzione per l’Europa stessa.
La Germania, e i propri rapporti con Mosca soprattutto in campo energetico, come dicevamo, costituisce la vera scommessa dell’amministrazione Biden. Tuttavia, proprio perché come detto Biden cerca sia di riaffermare le differenze tra democrazia occidentale e Russia dopo la stagione all’insegna dell’opacità costituita dall’amministrazione Trump, sia di perseguire laddove possibile accordi e intese con Mosca, leggerei l’avvio della politica estera di Washington verso Mosca in larga misura all’insegna dei rapporti bilaterali sullo sfondo della balance of power multipolare con la quale Biden si deve misurare e si trova a dover ricollocare la potenza americana.

Una nuova chiave di lettura

Le osservazioni del professor Selva ci hanno dunque fornito una nuova chiave di lettura di ciò che è accaduto tra il Presidente Joe Biden e Putin.
Un braccio di ferro che a prescindere dai toni sembrerebbe essere atto a “studiare” l’avversario in vista di una ricalibrazione del sistema di balance of power tra Usa e Federazione Russa a seguito della presidenza Trump che ha lasciato spazio di manovra al Cremlino (come anche alla Cina) unitamente alla pandemia da Covid-19. Questi due avvenimenti hanno reso dunque necessario un “ricalcolo” da parte Usa dei rapporti con la Russia e lo stesso è stato fatto dalla controparte.
Questa chiave di lettura è sicuramente uno spunto di riflessione interessante in un contesto, come quello che stiamo vivendo, che rende estremamente difficile la “lettura tra le righe” delle questioni dello scacchiere internazionale.


Note

[1]https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2021/03/17/biden-putin-un-assassino-paghera-per-le-interferenze_f5ee11d8-1979-4b2b-a10b-03c2a5ed911b.html
[2] https://www.youtube.com/watch?v=do0x-Egc6oA
[3] https://it.euronews.com/2021/03/18/usa-russia-la-risposta-di-putin-a-biden-che-lo-definisce-un-assassino
[4] https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-02-16/present-re-creation
[5]https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2021/03/17/biden-putin-un-assassino-paghera-per-le-interferenze_f5ee11d8-1979-4b2b-a10b-03c2a5ed911b.html
[6] https://it.euronews.com/2021/03/19/biden-putin-la-porta-del-dialogo-resta-aperta
[7] https://www.opiniojuris.it/vostok-oil-project-uno-dei-progetti-di-estrazione-piu-importanti-al-mondo/


Foto copertina: Immagine web

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