“Per me lo sport è come l’aria, se non lo praticassi affogherei”[1]. Così Maryam Mehrzad parla della sua grande passione, il calcio, ma sappiamo che non si riferisce solo a quello. Il pensiero va immediatamente all’asfissiante condizione delle donne in Afghanistan.
La caduta di Kabul come sconfitta per i diritti umani.
Il 15 agosto 2021 Kabul, capitale afgana, cade per mano dei taliban in seguito alla ritirata dell’esercito americano iniziato mesi addietro. Maryam e Zaynab si trovano a Herat, una città a occidente del paese, quasi confinante con l’Iran, conquistata dai taliban il 12 agosto. Entrambe calciatrici, la prima difensore e la seconda portiere, hanno giocato per anni nella squadra femminile del Bastan F.C., con cui hanno vinto il campionato nel 2020. Dopo la caduta di Kabul, in preda al panico, hanno bruciato le divise e tutti i certificati dei tornei disputati. Nonostante i tanti passi in avanti degli ultimi anni, sono spettatrici obbligate della perdita di ogni diritto conquistato. “L’ultima parte della mia vita in Afghanistan è stata terribile e pericolosa. Sapevamo che i talebani non lasciano libertà alle donne. Sapevo che non mi avrebbero lasciato giocare a calcio”[2]. Così Maryam, la più piccola delle due sorelle, parla durante un intervento al Festival di Internazionale a Ferrara.
La rocambolesca storia delle sorelle Mehrzad, infatti, è stata oggetto di interesse per Stefano Liberti, giornalista di Internazionale[3], che ne ha creato un documentario: nel 2017 è tornato ad Herat, un anno dopo il primo viaggio, per trascorrere una decina di giorni assieme alla squadra femminile; fondamentale il supporto della Cospe[4] di Firenze e del videomaker Mario Poeta. Una volta lì, Liberti ha constatato immediatamente i finanziamenti apportati rispetto al passato: nuovi kit, scarpe professionistiche, allenamenti nel campo principale e, infine, l’iscrizione al campionato femminile afgano. L’ultima volta che era stato lì aveva parlato con l’allenatore Najibullah Nawrozi, considerato un padre dalle calciatrici, che aveva convinto tutti i loro genitori. Nawrozi riceveva minacce continue dai taliban, per lettera o per telefono, perciò gli allenamenti erano messi in pratica al mattino presto per non dare nell’occhio e per godere del fresco visto che devono giocare coperte. Come compromesso le calciatrici indossavano il velo in testa, magliette a maniche lunghe e calze fin sopra le ginocchia. Senza divise né scarpini si allenavano in una parte laterale del campo perché non avevano accesso al campo principale. Giocare a calcio, per loro, è il sogno di una società più aperta e ugualitaria, un’opposizione alla violenza fisica e psicologica; per questo Liberti non è stato solo testimone dei progressi, ma ha aiutato quella grande famiglia durante l’odissea vissuta per fuggire dall’Afghanistan. Con la presa dei taliban in Afghanistan, Zaynab, Maryam e moltre altre persone sono state in pericolo. Specie Zaynab, dopo che si è sposata con un dirigente del nuovo governo; ripetutamente maltrattata e segregata in casa, aveva solo una scelta: scappare per sopravvivere.
L’odissea per la salvezza
Il 13 agosto, un giorno dopo la caduta di Herat, lo Stato Maggiore della Difesa italiano – su richiesta del Ministro della Difesa – avvia l’operazione “Aquila Omnia”: missione pianificata dal COVI[5] e comandata dal Generale Luciano Portolano, con l’impiego di 8 velivoli multiruolo, 3 KC-767 e 5 C130-J. La partenza dei corridoi umanitari avviene da Kabul, 850 chilometri da Herat. Le due sorelle accettano di provare a scappare, insieme all’allenatore Nawrozi e altre quattro ragazze. Inizialmente Zaynab non era convinta, poiché temeva il marito, poi però si convince e porta con sé la figlia. A Kabul migliaia di persone cercano disperatamente di fuggire. Intanto i taliban annunciano il divieto di lasciare il paese per gli afgani, così piazzano posti di blocco nella direzione dell’aeroporto. Passa la notte e Zaynab è costretta a tornare: suo marito ha preso in ostaggio i suoi due fratelli li sta torturando, così il padre l’ha implorata di fare marcia indietro. Le strade delle due sorelle, quindi, si dividono.
Al tramonto del secondo giorno, 36 ore dopo, Maryam e gli altri riescono a farsi identificare dai soldati italiani all’Abbey gate, l’ingresso dello scalo. Alcune ore a seguire, proprio fuori l’Abbey gate, avviene un attentato che provoca 183 morti, di cui 170 afgani e 13 militari statunitensi. L’evacuazione viene fermata e i corridoi umani chiusi. Maryam, Nawrozi e le compagne di squadra con i loro familiari sono in salvo e si dirigono a Roma. Da lì vengono trasportati dalla Croce Rossa in Abruzzo, ad Avezzano. In seguito il Cospe e il comune di Firenze, insieme ad altre associazioni di caritas locali, li accolgono nel capoluogo toscano. Per Maryam viene messo a disposizione un monolocale dall’Istituto universitario europeo di Fiesole. Resta sempre in contatto con la sorella, per la quale è preoccupata. Zaynab ha chiesto il divorzio al marito, ma non è stato facile ottenerlo, così si accordano: avrebbe acconsentito alla separazione se lei non avesse lasciato il paese. Ottenuto il divorzio Zaynab sfrutta la sua finestra di opportunità e si trasferisce dalla madre, nella speranza di poter scappare, ma non è facile poiché i voli garantiti dal governo italiano partono dai paesi confinanti, Iran e Pakistan. Approfittando dell’assenza temporanea dell’ex marito, Zaynab ha la possibilità di spostarsi a Kabul con l’aiuto dell’onlus Pangea, da dove attendono l’approvazione del visto per il Pakistan. L’ex marito, però, rintraccia la localizzazione tramite la sim del suo telefono e minaccia di venire a prenderla. Immediatamente l’intero nucleo familiare viene trasferito in un altro appartamento e la sim distrutta con l’imperativo di usare il meno possibile i telefoni. Le due sorelle continuano a comunicare grazie a Telegram, che si rivela più sicuro. Ad Aprile 2022, finalmente, arrivano i visti: possono partire Zaynab, sua figlia Helal, sua madre Simi Namah, suo fratello Mohammed e il nipote Ali Omar; mentre il marito di Simi, Ghulam Farooq, e i genitori di Ali, Hamed e Parasto, restano a Kabul, poiché il loro visto non è ancora pronto.
La partenza avviene in piena notte: quattro ore di macchina a est, verso Torkham, il complesso di montagne confinante con il Pakistan. Diverse ore e controlli dopo, Zaynab e la sua famiglia riescono a superare il confine.
Un destino che accomuna tutte le donne afgane
Ancora oggi, però, Zaynab è a Islamabad, capitale del Pakistan. Si è ritrovata con tutta la famiglia, che intanto ha ottenuto il visto e l’ha raggiunta in Pakistan. e attende di rincontrare sua sorella con cui è “un’anima e due corpi, due facce e un cuore”[6] e con cui condivide il sogno di poter finalmente essere libera di fare ciò che più le piace, insieme.
La condizione che angustia Maryam e Zaynab non è un’eccezione, è più comune di ciò che si pensa. Una triste realtà creata allo scopo di reprimere e domare attraverso il pretesto della religione che unisce le donne dell’Afghanistan e che non può e non deve essere ignorata. Ciò potrebbe portare ad aggravare uno status sempre più in bilico nel quale le donne non possono coltivare i propri sogni e delle giuste aspettative di vita.
Note
[1] STEFANO LIBERTI, In fuga dall’Afghanistan, La storia di Zaynab, la calciatrice che ha lasciato Herat e lo sport per le minacce dei taliban. Da sei mesi è bloccata in Pakistan, dove aspetta un visto per l’Italia, «Internazionale», vol. 29, n. 1485, 4/10 novembre 2022, p. 50.
[2] CHIARA PIZZIMENTI, Maryam Mehrzad, calciatrice fuggita dall’Afghanistan: «Sogno la mia famiglia in Italia», «Vanity Fair», 10 ottobre 2022, https://www.vanityfair.it/article/maryam-mehrzad-calciatrice-fuggita-afghanistan-sogno-la-mia-famiglia-in-italia
[3] LIBERTI, In fuga dall’Afghanistan, La storia di Zaynab, la calciatrice che ha lasciato Herat e lo sport per le minacce dei taliban. Da sei mesi è bloccata in Pakistan, dove aspetta un visto per l’Italia, cit, pp. 48-55.
[4] Associazione di cooperazione internazionale, non governativa.
[5] Comando Operativo di Vertice Interforze.
[6] LIBERTI, In fuga dall’Afghanistan, La storia di Zaynab, la calciatrice che ha lasciato Herat e lo sport per le minacce dei taliban. Da sei mesi è bloccata in Pakistan, dove aspetta un visto per l’Italia, cit, p. 54.
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