Dove sta andando la politica in Italia? Essa è guidata dai partiti che la compongono o questi ultimi, oramai scollegati dalla realtà e accerchiati da populismi e nazionalismi ansimano per stare dietro ad un percorso oramai tortuoso e in salita? Intervista al dott. Osvaldo Cammarota
Lo strumento principe della politica novecentesca, il partito politico, risente della fatica di adattarsi ai nuovi tempi. In fondo, come abbiamo visto, il partito è fonte, sempre e comunque, di diffidenza. […] I partiti sono diventati creature gigantesche che dsi muovono impacciate e ingorde, come leviatani sgraziati. (in P. Ignazi, Forza senza legittimità, Ed. Laterza, Roma – Bari 2012, cit. p. 128).
Una tematica, questa, che ci tocca tutti in prima persona, anche se con mani invisibili, parafrasando e appropriandoci, forse indebitamente, del concetto che il filosofo Adam Smith enunciò nei riguardi dell’economia di mercato. L’intervista che vi proponiamo oggi è stata condotta al dott. Osvaldo Cammarota, oggi operatore di coesione e sviluppo territoriale. Con il dott. Cammarota abbiamo tentato di far luce e ipotizzare sul futuro e sulle possibili mete del percorso politico intrapreso oggi in Italia. Dopo le esperienze giovanili di Consigliere Comunale a Napoli (dal ’77 al ’93); Assessore nell’ultima Giunta Valenzi (dal ’81 al ’83); Dirigente della Lega delle Cooperative in Campania (dal ’93 al ’97); Assessore tecnico ad Ercolano (dal ’96 al ’99); libero professionista nel mestiere atipico di Operatore di coesione e sviluppo territoriale (dal ’97 ad oggi), abbiamo ritenuto interessante ascoltare il suo punto di vista sulla questione. La “parabola” del suo percorso politico-professionale, può essere considerata un osservatorio privilegiato sui cambiamenti intervenuti nei partiti e nella politica dagli anni ’80 ad oggi.
Le sedi fisiche dei partiti stanno lentamente sparendo, insieme all’aspirazione alla “tessera”. Questo indicatore cosa le suscita?
“A me sembra sparita la Politica, cioè la capacità di formare decisioni condivise, di superare i conflitti con il dialogo, facendo analisi della realtà, integrazione dei saperi e progetto di futuro. La politica a cui assistiamo è guerra tra fazioni, persino interna alle stesse formazioni. Le sedi dei partiti tradizionali -e anche di movimenti più recenti- sono sempre più teatri di scontri e sempre meno luoghi di confronto e approfondimento. È comprensibile che stiano sparendo, insieme alle pulsioni alla “tessera”. Appartenenza a cosa se la politica è ridotta a scontro tra persone? Tutto ciò suscita rammarico, disinteresse e tristezza. A quanto pare sono sentimenti diffusi …”.
Lei è stato parte attiva del “gioco” politico negli anni del bipolarismo mondiale ? Negli ultimi decenni sicuramente la presenza di tanti partiti è stata considerata un “bene democratico” ma crede che ad oggi si stia degenerando nel caos?
“In verità il bipolarismo è tramontato proprio negli anni in cui ho vissuto le mie esperienze politiche. Il crollo del muro di Berlino è stato l’evento emblematico che ha testimoniato l’insostenibilità dei “blocchi” in un mondo sempre più connesso e interdipendente; è stato il segno di altri eventi epocali maturati negli anni ’80-’90 che hanno caratterizzato il passaggio di secolo. L’insieme di questi eventi ha indotto profondi mutamenti nella società, a livello globale e nei singoli paesi. In Italia il rapporto CENSIS del ’93 rilevò una società densa e complessa. Credo che la Politica non abbia mai incorporato a fondo la portata di questi mutamenti; ha piuttosto inseguito il consenso di gruppi e interessi sociali ed economici di una società ormai frammentata. Credo la poliarchia può essere il sale della democrazia, ma in assenza di Politica è veleno e caos.”.
La crisi dei partiti, della rappresentanza e delle ideologie stesse è un dato di fatto, constatato da molti e forse affrontato da pochi. Si può parlare di un futuro nuovo ed incerto o di un ritorno ad un passato dimenticato?
“Direi che siamo in un’era pre-politica e dal futuro incerto. Gli stessi mutamenti intervenuti spiegano perché le forme-partito del ‘900 non sono riproponibili. Se le formazioni politiche ricominciassero a fare Politica, forse, potrebbero recuperare il ruolo ad essi affidato dalla Costituzione. Non è impossibile, perché il superamento delle ideologie non ha cancellato la forza di idealità che restano comuni a molte culture politiche e soggetti associativi (qualità dell’ambiente, equità sociale, parità di diritti, tutela dei Beni Comuni, …); la destra li interpreta in chiave liberista, la sinistra moderna in chiave liberale. Le differenze non sono lessicali, è ingannevole dire che sono omologate. Il futuro però è incerto perché, a parte Papa Francesco (riferimento ad alcune encicliche come quella sul cambiamento climatico, si veda https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papafrancesco_20150524_enciclica-laudato-si.html), non vedo costruttori di futuro.”.
Volendo dare una definizione di “era pre-politica”, definizione che ha dato al momento storico-politico in cui stiamo vivendo, cosa direbbe? “Parlo di era pre-politica perché ravviso comportamenti selvaggi in un mondo che sembrava avesse raggiunto più avanzati livelli di civiltà. La guerra Russia-Ucraina ci ha riportati bruscamente alla realtà; è un evento drammatico che porta a fare i conti con quel che resta del “muro di Berlino”, macerie la cui rimozione avrebbero appunto richiesto un esercizio più evoluto della Politica. La Politica che mi ha appassionato in gioventù era un “luogo” in cui i soggetti di rappresentanza si riunivano e si confrontavano alla ricerca di soluzioni che potessero contemperare la pluralità di interessi rappresentati. Basta assistere ad una qualsiasi riunione di “eletti” per rendersi conto che, di tutto ciò, è rimasto un vuoto esercizio retorico.”.
Disaffezione, allontanamento dalla politica attiva e la tendenza della classe politica stessa che, come affermato dal dott. Allodi in una precedente intervista, non parte dal basso ma neanche dall’alto e risulta stagnante in un orizzontale elitarismo. La colpa è solo dei Partiti e della loro degenerazione verso populismi e “cartellizzazione”?
“Difficile dare la colpa solo ad organismi di rappresentanza politica che hanno mostrato la loro fragilità e inadeguatezza sin dagli anni ’80. In realtà i mutamenti a cui accennavo hanno trovato impreparata l’intera classe dirigente del Paese. In alto e in basso, la crisi di rappresentanza e di autorevolezza coinvolge tutte le organizzazioni che facevano mediazione di interessi. Non vorrei essere frainteso. Non nego gli sforzi generosi che alcuni partiti e movimenti hanno compiuto in quegli anni e compiono tutt’ora. Mi limito ad osservare che risultano insufficienti. Piuttosto che governare i conflitti, le fazioni politiche, oggi, sembrano “cavalcarli” nell’affannosa ricerca di consensi a buon mercato da parte di cittadini sempre meno informati dei fatti e sempre meno partecipi alla vita pubblica. Il dibattito pubblico si svolge ormai tra opinioni spesso formate con gli algoritmi e sondaggi farlocchi, compiacenti con i committenti. A poco serve aggrapparsi a prestigiose figure del ‘900 (come avvenuto con la rielezione di Napolitano e Mattarella alla presidenza della Repubblica), c’è un problema di legittimazione popolare clamorosamente evidenziato da un astensionismo che supera il 50%; è surreale che i partiti stessi agitino questo dato nella loro propaganda elettorale senza adoperarsi per porvi rimedio.”.
La crisi è un dato di fatto e sebbene i suoi effetti siano spesso “nascosti” tra le righe delle propagande elettorali e dal frenetico moto della società contemporanea, di cosa bisogna preoccuparsi nel breve periodo ? e sul lungo ?
“La crisi della Politica sta erodendo progressivamente la credibilità e l’affidabilità del sistema democratico: Leggi, Norme, Istituzioni, Apparati esecutivi, sono sempre più oggetto di discrezionalità astrattamente politiche, di logiche “padronali” e di parte che sono un’ulteriore degenerazione di quel leaderismo dirigista che abbiamo conosciuto proprio negli anni ’80. Insisto nel dire che la Politica ha abdicato alla sua funzione affidandosi a tecnicismi ed economicismi che -pur utili- non sono adeguati a trattare la complessità che caratterizza il nostro tempo. Gli effetti sono visibili. Tutto ciò ha indebolito il principio di unitarietà dello Stato e ha fatto smarrire la “bussola” del Bene Comune, ossia i fondamenti del nostro sistema democratico.”.
Il processo può ancora essere invertito? Cosa proporrebbe? Da dove partire?
“La Politica dovrebbe avere il coraggio di riconoscere i suoi limiti, di mettere da parte personaggi che “galleggiano” in un passato che non passa; dare spazio e ruolo alle nuove generazioni che vivono e conoscono il mondo meglio delle precedenti. Poi, a mio parere, serve ripartire dai fondamenti: ridare rappresentanza ai Territori e alle Comunità, superare i vizi degeneranti della democrazia rappresentativa con forme più avanzate ed efficaci di democrazia partecipativa. Serve ricostruire dai territori un “senso di comunità”, intorno ai grandi temi della comunità di destino che mette l’umanità alla prova di concepire un modello di sviluppo compatibile con l’ambiente e con i diritti civili. Questi grandi temi possono essere la leva per formare moderne comunità di scopi, oltre i limiti tradizionali di confini territoriali e appartenenze astrattamente ideologiche. Il Territorio, nella sua complessità di valori materiali e immateriali, può essere il “luogo” da cui ripartire per ricomporre l’unitarietà dello Stato e formare istituzioni democratiche più adeguate e moderne alle diverse scale. Tutto ciò, naturalmente, senza mai smarrire i fondamenti culturali e civili che -sin ora- hanno accompagnato l’evoluzione. Sembra che l’idealità di un mondo fondato nella cultura del lavoro, della solidarietà, del rispetto per l’ambiente e per l’altro da sé, appartenga alla maggioranza dell’umanità. È tempo di chiedersi perché queste idee non prevalgono.”.
Articolo pubblicato sul portale Reset in rete con il titolo Come eravamo: i partiti di ieri…
Foto copertina: Il 1 febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni.