L’Italia e la geopolitica del mare


La penisola come nazione marittima riluttante. Un rapporto da rilanciare.


 

L’Italia nonostante le vicissitudini e la mancanza di una chiara coscienza marittima è oggettivamente un paese che guarda al mare. Come è stato rilevato a riprova di tale oggettiva proiezione, vi è il nostro cluster marittimo di rilevanza internazionale con punte di eccellenza nella flotta mercantile, nella cantieristica, nella portualità e nelle forze di Marina militare e Guardia Costiera[1].
Non è un caso che per la capacità di mettere in rete le economie dei mercati del mondo, lo shipping appaia oggi ancor di più come il vero motore della globalizzazione. Basti pensare ad un dato: il 90% dei prodotti mondiali si sposta attraverso navi sempre più grandi e moderne e perciò l’importanza strategica di porti ben funzionanti ed efficienti per la crescita e lo sviluppo non può essere sottovalutato.
Un’efficienza raggiungibile a patto che vengano migliorati i collegamenti tra porti, autostrade, ferrovie, aeroporti e parchi logistici.
Per l’Italia nello specifico, l’economia del mare (blue economy) riveste una particolare importanza contribuendo al PIL nazionale per 31,6 miliardi euro (dando occupazione a 471 mila persone fra addetti ed indotto ed in secondo luogo per il fatto che il 54% del commercio estero avviene via mare[2].

E’ incontrovertibile che la posizione geografica della penisola trasformi lo stivale in uno spazio fondamentale per il commercio, come peraltro confermato dal dato consolidatosi nel 2019 che ha registrato quanto il Mediterraneo sia una via privilegiata per i traffici containerizzati, concentrando il 27% dei 487 servizi di linea mondiali. A contribuire al raggiungimento di tale risultato vi è senza altro il raddoppio del Canale di Suez, che ha confermato così la propria importanza strategica quale snodo per i traffici commerciali marittimi mondiali[3].
In questo scenario una nazione come l’Italia in grado di vantare una tra le flotte di bandiera principali al mondo (tra le prime dei grandi Paesi riuniti nel G20) con posizioni di assoluto rilievo nei settori più sofisticati (unità ro-ro, navi per prodotti chimici) non può esimersi dal recitare un ruolo da protagonista, detenendo inoltre la leadership europea nel traffico crocieristico (con 6,2 milioni di passeggeri e 4.600 scali di navi) e quella mondiale per la flotta ro-ro, con oltre 5 mln di tonnellate di stazza lorda.
Nonostante questi dati positivi l’Italia non riesce però a conquistarsi un ruolo preminente, visto che per sostenere le enormi potenzialità dell’industria marittima vanno necessariamente affrontati anche i punti di debolezza del sistema nazionale, rintracciabili in primis nel deficit infrastrutturale di almeno 40 miliardi di euro l’anno che fa perdere circa 70 miliardi di export, equivalenti a 4 punti percentuali di PIL. “Da questo punto di vista, il nostro sistema di trasporto marittimo potrebbe rivelarsi ancor più importante di quanto è oggi: la favorevole collocazione geografica che ci vede al centro del Mediterraneo potrebbe favorire il pieno sviluppo di un Paese “marittimo”, in grado di avere un ruolo di leadership in un mondo dove il 90% della produzione viaggia su nave. L’Italia dovrebbe quindi riconoscere una priorità assoluta allo sviluppo del suo assetto logistico, promuovendo una politica dei trasporti efficace e ambientalmente sostenibile. Ciò, a maggior ragione, in considerazione degli impatti significativi dell’apertura della “Nuova Via della Seta” sui porti del Mediterraneo e del Nord-Europa”[4].

Per la sua dotazione logistica e portuale il Paese avrebbe le potenzialità per rivestire un ruolo di primo piano che purtroppo continua a scontrarsi con alcuni punti critici che si sommano al deficit infrastrutturale e che si possono così riassumere:

  • L’incidenza della componente energetica nell’interscambio commerciale;
  • La competizione coi porti concorrenti nel Nord Africa, in Spagna ed in Grecia;
  • La scarsa consapevolezza rispetto al valore che il Mediterraneo ricopre come area di interscambio e strumento di ripresa economica per l’Italia[5]

Tuttavia deve essere evidenziato, a vantaggio dell’attenzione riservata all’aspetto marittimo delle nostre politiche economiche, che il citato raddoppio del Canale di Suez del 2015 ha permesso di decuplicare il traffico giornaliero con la contemporanea riduzione delle attese e dei tempi di transito, consentendo così il passaggio anche dei giganteschi bastimenti ro-ro di nuova generazione oltre che alle superpetroliere. Tale avvenimento, associato all’adeguamento e alla modernizzazione della gestione dei terminali portuali, nell’ambito delle nuove rotte disegnate dalla globalizzazione facenti perno sulle economie estremo-orientali, ha contribuito ad esaltare il ruolo del mare nostrum quale elemento di connessione tra il mercato asiatico e quello «atlantico», nord europeo ed americano[6].
Anche per queste ragioni gli investimenti per potenziare la portualità e l’efficienza logistica uniti allo snellimento della burocrazia, oltreché dei limiti prima richiamati, dovrebbero rappresentare la vera sfida per essere competitivi nell’immediato futuro. Investimenti che saranno ancor più necessari a seguito della paralisi economica provocata dalla pandemia da Covid-19. In tal senso la realizzazione di infrastrutture, lo sviluppo dell’ intermodalità così come del capitale umano puntando sul mare, sono tre principi ai quali dovremo applicarci per sfruttare appieno la nostra posizione geografica e le capacità intellettuali di cui comunque disponiamo. Per quanto riguarda la blue economy è difficile non constatare come l’Italia, terminata la stagione di Mattei e Fanfani, non abbia più saputo o voluto costruire una politica mediterranea ed africana legata ai propri interessi nazionali[7].

Conclusioni

Tenendo  fermo il particolare momento storico, abbiamo quindi la responsabilità di assumere un ruolo di regia, attraverso la valorizzazione delle esperienze, delle conoscenze e degli investimenti degli anni passati, riscoprendo un naturale ruolo di guida e di riferimento potendo in tal senso rappresentare anche l’Unione Europea nell’area, al fine di promuovere un’efficace azione strategica per il rilancio della politica marittima[8] A definire ancor di più tele strategia potrebbe senz’altro contribuire l’istituzione di un Ministero del Mare, peraltro lodevolmente promosso con Disegno di Legge n.917 dal Vicepresidente del Copasir Adolfo Urso, che si ponga come centro di coordinamento amministrativo e di pianificazione strategica, utilizzando le economie di scala insieme allo sviluppo delle zone economiche speciali (ZES), che in questo modo inciderebbero sulle potenzialità della nostra economia marittima, generando degli investimenti importanti, tali da permettere  ai porti di essere connessi coi sistemi manifatturieri dell’entroterra. Su tutte queste direttrici si giocheranno le principali partite geopolitiche del mondo contemporaneo e, probabilmente, del mondo futuro.


Note

[1] CAFFIO F., L’Italia e gli spazi marittimi, in Geopolitica del mare, Mursia, Milano, 2018, p.82

[2] SISTO L., PELLIZZARI M., Il ruolo dei traffici marittimi nel sistema economico nazionale, in Geopolitica del mare, Mursia, Milano, 2018, p.69

[3] cfr. SRM, Italian Maritime Economy 6° Rapporto Annuale, Giannini editore, Napoli, 2019, p.23

[4] cfr. SISTO L., Ridare centralitá alla economia del mare in La blue economy nel Mediterraneo opportunità di sviluppo e cooperazione, Atti del Convegno della Fondazione FareFuturo, Bari, 19 settembre 2019, p.44

[5] cfr. UNGARO A., l’Italia nel Mediterraneo tra sfide commerciali, infrastrutturali e nuovi traffici navali in La sicurezza nel Mediterraneo e l’Italia, Quaderni IAI edizioni Nuova Cultura, Roma, 2015, p. 34

[6] cfr. SELLARI P., Il Mediterraneo nella geopolitica dei traffici marittimi, in Gnosis n.3/2014

[7] cfr. VALLE M., Suez. Il Canale, l’Egitto e l’Italia, Historica, Roma, 2018, p.313

[8] RIGILLO R., l’Italia, potenza marittima che ignora se stessa, in Limes n. 6/2017.


Foto copertina: Immagine web.


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