Nostalgistan. Dal Caspio alla Cina, un viaggio in Asia centrale di Tino Mantarro


In un viaggio attraverso gli –Stan dell’Asia centrale, Tino Mantarro autore per Touring, il mensile del Touring Club Italiano, ci mostra ciò che è rimasto oggi della grandezza delle città della via della seta. Nostalgistan è edito da Ediciclo.


 

Il libro si apre con un bambino (Tino) appassionato di storia romana e di geografia.
Quando il curioso Tino scopre che tanti imperi del passato sono stati spazzati via da popoli dai nomi strani, chiede alla maestra da dove provenissero quelle temibili orde. La risposta era sempre uguale: dalle steppe dell’Asia Centrale.
L’Asia centrale rappresenta ancora oggi uno degli ultimi angoli del mondo dove il fascino del passato non è del tutto scomparso.
Dal Mar Caspio allo Xinjiang, l’autore accompagnato da improbabili autisti, ripercorre le tappe dell’antica via della seta, stravolte dal periodo sovietico e che oggi cercano una collocazione nel mondo.
I racconti spaziano da Baku, vibrante capitale dell’Azerbaijan alla kazaka Almaty. Dal deserto roccioso dell’altipiano dello Ustyurt, tra Kazakistan e Uzbekistan, si passa poi alle statue di epoca sovietica a Dušanbe, capitale del Tagikistan. Dai bazar e dalle maioliche di Bukhara, dove vive una delle più antiche comunità ebraiche d’Oriente, alla decadenza sontuosa di Samarcanda, lontana dai tragitti turistici. Dalla città di Osh fino alle vette della catena del Tien Shan, perennemente innevate, che segnano il confine naturale tra il Kirghizistan orientale e la provincia autonoma cinese del Xinjiang.
Ma ciò che emerge maggiormente dal racconto (e dal titolo) dell’opera di Mantarro è un senso incredibile di nostalgia, di un’occasione mancata per queste terre.
Mantarro s’inserisce sull’onda di grandi autori di narrativa di viaggio che hanno calpestato queste terre e che con la loro narrazione hanno fatto viaggiare, almeno con la fantasia milioni di lettori nel mondo.
Da Hopkirk a Terzani, da Kapuściński a Fatland, il fascino degli “–stan” resta immutato nel tempo.

Una frase molto bella del suo libro recita così: “mi piace vedere come stanno quelli che potevano vincere e invece hanno perso…”: è questa la sintesi di “Nostalgistan”?

TM. Più che la sintesi di Nostalgistan forse è la sintesi della storia di tanti Paesi nati dallo sfarinamento dell’Unione Sovietica e dal tramonto di un’idea che pur con tutti i suoi limiti oggettivi ha polarizzato e guidato – spesso controvoglia – le vite di milioni di persone. Persone che ancora oggi vivono in terre e territori che portano impresse le cicatrici di quel sogno andato a male. Ecco, diciamo che è gli angoli non dico bui, ma certo grigi della storia sono quelli che mi affascinano, sono i frammenti che mi attraggono quando viaggio in posti che sono anche pieni di luce e bellezza, ma quella forse è già abbastanza raccontata che è più interessante dedicarsi al resto. 

Da dove nasce l’idea del libro?

TM. Nasce da una sfida, più o meno. Lavoro in un giornale di viaggi, Touring il mensile del Touring Club Italiano, e mi sono chiesto se fossi o meno in grado di scrivere un libro di viaggi che potesse risultare leggibile e insieme raccontasse qualcosa che andasse oltre il diario personale, l’osservazione del proprio ombelico e del proprio egocentrismo occidentale che spesso è la cifra di tanta narrativa di viaggio. Diciamo che questa era la pretesa, non sta a me dire se sono riuscito o meno. Io c’ho provato. 

Cosa resta oggi di Samarcanda, Bukhara, Khiva, Merv e tutti gli altri luoghi testimoni della storia dopo il passaggio dall’epoca sovietica all’indipendenza?

TM.Resta molto e resta poco. Resta molto nel senso che non essendo queste città assai importanti nell’economia sovietica non sono state più di tanto violentate dagli architetti che seguivano il verbo brutalista in voga a Mosca in quegli anni. Forse solo Samarcanda ha subito un po’ un ricostruzione architettonica che ne ha cambiato il volto. Resta poco perché quell’atmosfera di caravanserraglio sulla via della Seta che uno si immagina lo accolga quando arriva in queste città mitiche è rimasto solo nella pagine dei libri e nei versi delle poesie. Sono città “bonificate” nella loro essenza, dove la vita spesso si concentra ancora al bazar, ma sono spazi che poco hanno a che vedere con il nostro immaginario. Ciò non di meno sono belle città, affascinanti da osservare se ci si prende il lusso di osservare e prendersi il tempo che serve per capire invece che guardare e basta scattando una fotografia.

Corruzione dilagante, alienazione dei cittadini e democrazia quasi completamente assente. Quale futuro per questi paesi?

TM.Eh, a saperlo. Un futuro per ora ancora dominato da oligarchie in parte straccione che però dominano da decenni la vita pubblica degli Stan ex sovietici, reprimendo il dissenso, montando elezioni farsa, passandosi il potere di padre in figlio, mettendo il proprio dentista in sella come è successo in Turkmenistan. Un futuro che per ora assomiglia abbastanza al passato.

 

Nelle ultime settimane arrivano notizie di tensioni dal Kirghizistan dopo l’invalidazione dei risultati elettorali dello scorso 5 ottobre da parte della commissione. Lei ha conosciuto il paese, che idea si è fatto?

TM.Essendo, con il Tagikistan, il più povero dei Paesi dell’area, completamente privo di risorse minerarie ed energetiche il Kirghizistan è stato in questi anni il più turbolento dei Paesi dell’area, l’unico che ha conosciuto una vera rivoluzione, ha delle elezioni quasi democratiche e una alternanza al potere. Poi certo le cose sono risolte all’orientale, con piccole scaramucce come quelle di questi mesi. Ma tutto sommato è un Paese dove il gioco democratico è più avanti di tutti gli altri Paesi della regione. Visto da qui può sembrare strano, e di certo lo è, però direi che sono momenti di gestazione normali per un Paese giovane che si esercita a diventare davvero democratico con tutti gli errori che in passato anche noi abbiamo fatto. Non dobbiamo commettere errore di leggere la storia di questi Paesi con i nostri occhi e soprattutto con le nostre lenti.

A Kashgar lei ha toccato con mano la questione dello Xinjian. Aveva la percezione di questa frattura tra l’etnia Han (cinese) e gli uiguri? Nel caso ci può raccontare qualche aneddoto inedito?

TM.La frattura tra cinesi e uiguri era più che una percezione. Già all’epoca del nostro viaggio – ormai 5 anni fa – si sentiva che la morsa di Pechino si stava stringendo su questa terra e questa gente. Il controllo poliziesco era importante e massiccio, e stavano implementando i sistemi di controllo della popolazione che adesso sono realtà quotidiana. La polizia a Kasghar sembrava vivere su chi va là, ma era ovunque e presidiava gli spazi di incontro e di svago, come a dire “vi guardiamo, qui comandiamo noi”. Adesso quel controllo è diventato ancor più ossessivo, si è tradotto in persecuzioni di massa, arresti e campi di rieducazione. Tutte cose che i cinesi hanno già sperimentato in Tibet, e ora affinano con gli uiguri, di cui, a differenza dei tibetani, non interessa a nessuno, forse perché musulmani, e dunque equiparati a chissà quale pericolo terrorista. Sarebbe interessante tornare a Kasghar e vedere come è cambiata atmosfera, quanto la resilienza della gente è ancora possibile e quanto invece i cinesi abbiano tolto anche l’aria agli uiguri.

Quale sarà il prossimo viaggio?

TM.Sarebbero dovuto essere in Birmania, un viaggio tra i Moken, gli ultimi nomadi del mare. E invece per ora è un viaggio intorno alla stanza, tra i libri di viaggio, che è pur sempre un bel viaggio, preparatorio per altri, futuri. Verranno tempi migliori, per ora giusto stare a casa.


Foto copertina: Copertina libro

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