Oltre la fede: la mediazione religiosa nel conflitto in Nagorno-Karabakh


Conscia del suo ruolo secolare di mediatore, la Chiesa Apostolica Armena supportata da associazioni religiose locali e dal Consiglio Ecumenico delle Chiese svolge un ruolo di primo piano nel supporto umanitario e psicologico alla popolazione colpita dalla guerra in Nagorno-Karabakh. Ciononostante, l’assenza di cooperazione con lo Stato e la chiusura del dialogo con l’Azerbaijan rischiano di compromettere ogni tentativo di costruzione di una pace duratura nella regione.


A cura di Valentina Chabert e Domenico Nocerino

L’anima della nazione

Era il 301 dopo Cristo quando venne posta la prima pietra della Cattedrale di Echmiadzin, luogo sacro per gli armeni di pari importanza alla Città del Vaticano. Secondo la leggenda, fu proprio Echmiadzin il luogo in cui Cristo, apparso a San Gregorio, colpì il suolo con un martello d’oro per indicare il punto esatto in cui sarebbe dovuta sorgere la Cattedrale, che oggi contiene alcune delle reliquie più significative per il mondo cattolico – inclusa una scheggia dell’Arca di Noé, arenata sul vicino monte Ararat, e alcune parti del corpo dei Santi apostoli Pietro, Andrea e Giuda Taddeo e i resti della lancia di Longino, Secondo la leggenda, la Lancia del Destino o Lancia di Longino è la lancia con cui Gesù è stato trafitto al costato dopo essere stato crocefisso. Da allora, l’Armenia fu la prima nazione a riconoscere il Cristianesimo come religione di Stato, e la spiritualità non ha mai smesso di essere il cuore pulsante della nazione. Radicata all’interno della società armena, la chiesa svolge e ha svolto (soprattutto a partire dagli anni 90) un ruolo fondamentale nel guidare un popolo afflitto da oltre trent’anni di guerra verso una resistenza morale e psicologica che va oltre le migliaia di perdite di giovani vite umane, così come nella ricerca costante di dialogo e supporto per costruire una pace duratura sia con i vicini, sia nell’intera regione. Una pace che tuttavia non sembra prefigurarsi in breve tempo, complici i sentimenti di odio e xenofobia che dilagano nel Paese aggressore e nel suo storico alleato e l’ormai consolidata sospensione dei colloqui con i rappresentanti religiosi dell’Azerbaijan.

La Chiesa come mediatore

La funzione mediatrice della Chiesa ha segnato, nel passato più o meno recente, il corso della storia di numerosi conflitti a livello globale, così come è di importanza storico-politica la sua configurazione come attore non statale all’interno del panorama internazionale. Nondimeno, nel conflitto in Nagorno-Karabakh e soprattutto alla luce della recente aggressione al territorio sovrano armeno avvenuta nel mese di settembre, la Chiesa continua a svolgere un ruolo rilevante per la popolazione e per lo Stato stesso. I tentativi di mediazione della Chiesa risalgono agli anni Novanta, quando in concomitanza con la fine della prima guerra del Nagorno-Karabakh i Catholicos Armeni hanno incontrato la controparte musulmana dell’Azerbaijan su proposta del Patriarca di Mosca, con l’obiettivo di promuovere il dialogo e la pace tra i due Paesi. Ciononostante, non sono seguiti ulteriori sforzi in questo senso: “dipende tutto dal governo” – confessa la WCC Armenia Rountable Foundation, che da 25 anni coopera con la Chiesa Apostolica Armena ad Echmiadzin attraverso l’istituzione di centri educativi e culturali nel Paese. “Al momento, il governo armeno non sta mostrando particolare interesse a collaborare con la Chiesa nel processo di pace. La fede religiosa non contempla una retorica aggressiva, bensì, al contrario, tenta di promuovere il dialogo”. Dello stesso avviso i rappresentanti stessi della Chiesa Apostolica Armena, che si sono detti preoccupati per le numerose violazioni dei diritti umani e delle atrocità compiute nelle aree occupate dell’Artsakh: “riceviamo giornalmente video di violenze inaudite in Nagorno-Karabakh contro i cittadini armeni che abitano la regione. Ciò che ci colpisce sono le lunghe file di bambini difronte alle scuole che ogni mattina sono spinti dagli insegnanti ad additare gli armeni come nemici. Potete immaginare, tra un ventennio, come queste future generazioni si scaglieranno contro di noi con un sentimento di odio profondamente radicato e che non aiuterà la costruzione di una pace duratura tra i nostri popoli”. Lo scoppio del conflitto tra Armenia e Azerbaijan per il Nagorno-Karabakh non è riconducibile tuttavia a motivazioni di origine religiosa, limitandosi dunque ad una questione meramente territoriale – o come sostiene il partito al potere Contratto Civile “a ragioni di sicurezza e violazione dei diritti umani dei nostri concittadini armeni in Artsakh”.

Al fronte in prima linea

In un Paese sotto costante minaccia di escalation militare, la Chiesa ancora una volta si è fatta avanti per fornire supporto e aiuto umanitario in Nagorno Karabakh e in tutte le aree colpite da scontri e violenze. È quanto è accaduto in particolare durante la guerra dei 44 giorni del settembre-novembre 2020, in cui preti e volontari dell’associazione Armenia Rountable Foundation sono accorsi in prima linea offrendo una risposta rapida e coordinata alla popolazione attraverso aiuti umanitari, distribuzione di beni di prima necessità, supporto spirituale e soprattutto psicologico nelle zone di crisi. In questo senso, l’appartenenza al Consiglio Ecumenico delle Chiese (World Council of Churches) e la coordinazione con le entità governative dell’Armenia hanno permesso un proficuo scambio di informazioni dal fronte, che ha permesso allo Stato di ricevere notizie certe e veritiere dell’entità dei danni e delle perdite di civili in Artsakh, nonché del loro status psicologico e di sicurezza abitativa e alimentare.

La distruzione del patrimonio religioso armeno

Culla della cristianità, la Chiesa Armena risulta direttamente colpita in materia di patrimonio culturale e religioso. “La strategia azera è colpire ogni possibile traccia della presenza armena nelle aree occupate, per dimostrare che il Nagorno Karabakh è dell’Azerbaijan” ci comunicano i rappresentanti della Chiesa Apostolica. “Una chiara replica di ciò che è stato compiuto nell’exclave azero del Naxçivan, abitato in epoca sovietica per il 40% da armeni. L’ultimo studio della Cornell University sul patrimonio culturale armeno nell’area ha mostrato come non esista più alcuna traccia armena in Naxçivan, compresi cimiteri, chiese e monasteri”. Simili azioni di distruzione del patrimonio storico, religioso e culturale armeno si registrano anche in Nagorno-Karabakh: “siamo in possesso di report e prove della cancellazione del nostro patrimonio culturale, delle nostre chiese e dei nostri monasteri, che abbiamo prontamente consegnato al Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani, culturali e religiosi e ad altre istituzioni. La retorica azera fa risalire il patrimonio armeno ad una falsa eredità caucasica-albanese, e anche se è certo che vi è stata una tale presenza nella regione, è innegabile che le iscrizioni e la lingua dei testi sacri sia sempre stata quella armena”. Nonostante i tentativi di protezione e l’invocazione di una missione internazionale per supervisionare lo status del patrimonio religioso e culturale in Nagorno-Karabakh, le istituzioni armene e la Chiesa stessa sostengono come il rifiuto azero di accreditare una delegazione ad hoc dell’UNESCO porti ad un’ulteriore esacerbazione dello stato di danneggiamento e pericolo in cui si trovi l’eredità culturale dell’Armenia e della cristianità in generale. “Ciò che è urgente, ora, è parlare delle nostre chiese, dei nostri monasteri cristiano-armeni. Se nessuno sa della loro esistenza, nessuno potrà accorgersi della loro assenza in queste aree”.


Foto copertina: Cattedrale di Echmiadzin (Opinio Juris)