L’8 aprile del 2013 si spegneva all’età di 88 anni uno dei personaggi politici più divisivi, controversi e iconici nella storia del Regno Unito della seconda metà del XX secolo: Margaret Thatcher. In occasione dell’appena trascorso anniversario della sua morte, appare opportuno riflettere sull’impatto della leadership della “Iron Lady” sull’evoluzione dello Euroscetticismo nella politica britannica.
In veste di capo del Partito Conservatore dal 1975 e Primo Ministro dal 1979 al 1990, Margaret Thatcher ha segnato un’epoca della politica britannica[1] grazie ad uno stile di leadership deciso, diretto e a tratti intransigente (che le sono valsi il soprannome di “Iron Lady”) e a idee tanto chiare quanto controverse in materia di politica economica, con un sostegno quasi dogmatico ai dettami neo-liberisti e monetaristi, e di Unione Europea (all’epoca ancora Comunità Economica Europea – CEE), le quali , secondo alcune voci in dottrina, l’avrebbero resa la “madre spirituale” dell’Euroscetticismo[2].
Sebbene Margaret Thatcher non abbia mai risparmiato il processo di integrazione europea da pungenti critiche, sarebbe eccessivamente semplicistico attribuire a “one woman’s prejudice”[3] (nelle celebri parole di Michael Heseltine[4]) la radicalizzazione non solo retorica ma anche sostanziale dell’Euroscetticismo britannico, soprattutto (ma non solo) nel caso del Partito Conservatore. Allo stesso tempo, la dicotomia tra piano teorico e policies adottate dalla Thatcher in merito al progetto di integrazione europea, e definito da alcuni autori indicativo di una “schizophrenic attitude”[5], rende meno immediata la conclusione che la BREXIT potesse rappresentare per l’ex-premier britannica un esito auspicabile. La radicalizzazione formale e sostanziale dell’Euroscetticismo di matrice conservatrice britannico va infatti intesa come risultante dall’interazione tra la fondamentale eredità “thatcheriana” e l’evoluzione della struttura e delle dinamiche intestine al Partito Conservatore che a partire dagli anni ’90[6] hanno portato alla ribalta una nuova generazione di Euroscettici, i cosiddetti “Thatcher’s children”[7].
Divenuta leader del Partito Conservatore pochi mesi prima dello storico referendum del 1975 sulla membership britannica alla CEE, Margaret Thatcher è stata instancabile critica e al contempo attiva partecipante del progetto europeo. Come si evince dal suo celebre “Bruges Speech” del settembre 1988[8], la “Iron Lady” sosteneva ed auspicava la costruzione di un’Europa intergovernativa, strumentale, liberale e neoliberista, snella sotto il profilo burocratico-istituzionale, pragmatica nell’approccio e atlantista. Nel complesso, la visione delineata a Bruges non solo appare in contrasto con gli approcci neo-funzionalisti e federalisti (“thatcherianamente” considerati utopistici) dei padri fondatori del progetto europeista, ma sembra essere stata elaborata e discorsivamente presentata attraverso un riferimento costante a una opposizione concettuale, una sorta di “othering”, tra identità britannica ed europea[9]. Come evidenziato da Chris Gifford[10], la Thatcher attraverso l’implicita costruzione discorsiva di dicotomie tra Europa e Regno Unito (burocrazia e formalismo politico europeo vs pragmatismo britannico; limitato regionalismo vs globalismo; instabilità vs stabilità ecc.) di fatto criticava con evidente scetticismo e preoccupazione il formalismo, la burocratizzazione, l’eccessiva regolamentazione e soprattutto il trasferimento di competenze alle Istituzioni europee, anche laddove funzionali al radicamento di quel neoliberismo tanto caro a lei a al Partito Conservatore che guidava. Il medesimo scetticismo ha poi permeato lo stile diplomatico con il quale la Thatcher si interfacciava con le Istituzioni europee per far valere la sua visione, le sue critiche al processo di integrazione, come dimostrato dalla tenacia con la quale nel 1984 ottenne la rinegoziazione del contributo britannico al budget comunitario, e ancor di più dall’ormai celebre “No! No! No!” tuonato contro la possibilità di Euro-federalismo, fatale per la tenuta della sua leadership conclusasi in quello stesso 1990[11].
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Se è vero che sul piano teorico e retorico Margaret Thatcher è stata una interprete di spicco dell’Euroscetticismo conservatore britannico, altrettanto importante è sottolineare come sul piano pratico la premier britannica abbia sempre partecipato attivamente all’evoluzione del progetto europeo, talvolta in contrasto ma sempre dall’interno, cercando di orientarlo verso quella visione così ardentemente sostenuta, come dimostrano la firma dell’Atto Unico Europeo nel 1986 o il suo cedere alle pressioni dei suoi alleati di aderire allo Exchange Rate Mechanism (ERM). La discrepanza tra la “visione” Euroscettica e la “realtà” delle azioni intraprese a livello europeo della Thatcher sembrerebbero renderla l’anello di congiunzione tra una tradizione politica britannica di “tiepido distanziamento” o “Euro-realismo” (ma non di ostilità o rifiuto) storicamente caratterizzante l’approccio del Partito Conservatore, e l’affermazione del successivo Euroscetticismo sostanziale, radicale e populista responsabile, in ultimo, della BREXIT[12]. In particolare, il merito (o demerito) della Thatcher è stato quello di “sdoganare”, includere nel dibattito politico nazionale atteggiamenti e pratiche discorsive nei confronti del progetto europeo apertamente più divisive, ostili ed incisive rispetto a quelle storicamente sostenute dalle vecchie generazioni di Conservatori britannici[13].
L’eredità, complessa e ancora oggi di difficile interpretazione, lasciata da Margaret Thatcher è quella di una Euroscettica nelle idee e nella retorica ma non nelle azioni, risultato quest’ultimo riconducibile tanto alla volontà della “Iron Lady” di influenzare dall’interno un progetto in piena evoluzione, che alla presenza di ben specifici fattori strutturali, soprattutto nella organizzazione interna del Partito Conservatore britannico, che hanno spesso limitato e condizionato la agency della ex-premier. Fino agli anni ’90, il pragmatismo prevalente tra i membri storici del Partito Conservatore e gli stessi alleati della Thatcher (come Geoffrey Howe, Leon Brittan o anche gli stessi “dries” conservatori meno “filo-europeisti” del resto dei Tories) , i quali vedevano nella partecipazione alla CEE una opportunità per il consolidamento della loro agenda economica neo-liberista, unitamente alla dipendenza della Thatcher dal consenso dei suoi Ministri ed MPs sono tutti fattori che hanno contenuto la traduzione in azioni dello Euroscetticismo “thatcheriano”. Il passaggio dall’Euroscetticismo “formale” della “Iron Lady” a quello “sostanziale”, tradottosi in agende politiche che hanno previsto e realizzato l’uscita del Regno Unito dall’UE, è stato il risultato più di mutamenti strutturali occorsi al livello internazionale, nazionale e all’interno dello stesso Partito Conservatore che unicamente del pregiudizio della sua “madre spirituale”[14].
In particolare, il graduale ampliamento delle competenze trasferite alle Istituzioni europee nel corso degli anni ’90 e una riorganizzazione delle dinamiche elettive interne al Partito Conservatore sono state tutte concause dell’emergere dell’Euroscetticismo “sostanziale” soltanto dopo (e non durante) la premiership della Thatcher, grazie alla ribalta di una nuova generazione di Conservatori, i “Thatcher’s children” che , sostituendo le vecchie fila “euro-realiste” del Partito, hanno reinterpretato l’Euroscetticismo in chiave populista intendendolo come anti-europeismo. A partire dall’eredità retorica e ideologica della Thatcher, i nuovi Euroscettici conservatori hanno cavalcato l’onda della crescente insicurezza derivante dalla incrementale devoluzione di competenze alla Comunità Europea (CE) e pregiudizievole della sovranità parlamentare del Regno Unito per affermarsi nel dibattito politico nazionale di fine anni ’90, delegittimando le posizioni più moderate e realiste delle vecchie generazioni di Tories[15]. Allo stesso tempo, la crescente frammentazione del sistema partitico britannico e le riforme intraprese all’interno del Partito Conservatore a partire dal 1998, concernenti le modalità di elezione dei vertici partitici, hanno contribuito in modo decisivo alla incorporazione di policies euroscettiche e populiste nell’agenda politica conservatrice. In particolare, le riforme iniziate nel 1998 da William Hague e portate a compimento da David Cameron, con l’obiettivo di democratizzare e rendere più inclusiva l’elezione della leadership del Partito attraverso il ricorso al voto postale prima e alle primarie aperte poi, non hanno fatto altro che rendere i vertici del Partito Conservatore più dipendenti e “accountable” nei confronti della base (o “grassroots”) dell’organizzazione partitica, esponendoli in misura crescente al rischio di derive populiste[16]. La combinazione di una maggiore suscettibilità della leadership conservatrice a pressioni populiste, la crescente esternalizzazione del dibattito politico su temi cruciali (tra cui quello europeo) e le preoccupazioni derivanti dall’incedere del processo di integrazione europea esacerbate dalla crisi del 2008 hanno dunque contribuito alla radicalizzazione dell’Euroscetticismo di matrice conservatrice britannico nella sua versione “sostanziale”.
Alla luce del complesso e assolutamente sintetico quadro evolutivo delineato, emerge come l’eredità ideale e retorica lasciata da Margaret Thatcher alla fine del suo mandato di Primo Ministro sia tanto fondamentale quanto non completamente esaustiva nello spiegare la genesi dell’Euroscetticismo “sostanziale” nel panorama politico britannico. Se è vero che la “Iron Lady” ha preparato il terreno alle “giovani” generazioni di Conservatori includendo nel dibattito nazionale attorno al progetto europeo posizioni e pratiche discorsive molto più critiche, incisive ed ostili rispetto alla passata tradizione “Euro-realista” conservatrice, altrettanto fondamentale è riconoscere il peso del mutamento di fattori strutturali che hanno orientato i “Thatcher’s children” verso un Euroscetticismo populista de facto culminato nella realizzazione dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Note
[1] Paul Stepney, “The Legacy of Margaret Thatcher—A Critical Assessment”, Open Journal of Social Sciences, vol.2, n.1, 2014.
[2] Agnès Alexandre-Collier, “Euroscepticism under Margaret Thatcher and David Cameron: From Theory to Practice”, Observatoire de la société britannique, n. 16, 2014.
[3] “Britain will simply slide slowly out of the [European] picture, mainly owing to one woman’s prejudice.” Michael Heseltine citato in Hugo Young, This Blessed Plot: Britain and Europe from Churchill to Blair, p. 371, New York: Overlook Press, 1998.
[4] Michael Heseltine è un politico britannico ed è stato membro del Parlamento dal 1966 al 2001 oltre ad essere stato una figura di spicco nei governi di Margaret Thatcher e John Major. Durante il governo di Margaret Thatcher, Heseltine è stato considerato centrista per le sue posizioni in ambito economico e per il suo atteggiamento tendenzialmente filoeuropeista. In virtù delle sue posizioni è stato definito uno dei “wets” della compagine governativa thatcheriana, in opposizione ai “dries”, neoliberisti “puri” convinti del possibile ruolo strumentale della partecipazione del Regno Unito alla CEE alla diffusione della loro visione di politica economica.
[5] Agnès Alexandre-Collier, “Euroscepticism under Margaret Thatcher and David Cameron: From Theory to Practice”, Observatoire de la société britannique, n. 16, 2014.
[6] Idem.
[7] Cary Fontana, Craig Parsons, “‘One Woman’s Prejudice’: Did Margaret Thatcher Cause Britain’s Anti-Europeanism?”, JCMS: Journal of Common Market Studies, vol. 53, n. 1, 2014.
[8] Discorso integrale disponibile al seguente sito: https://www.margaretthatcher.org/document/107332 .
[9] Agnès Alexandre-Collier, “Euroscepticism under Margaret Thatcher and David Cameron: From Theory to Practice”, Observatoire de la société britannique, n. 16, 2014.
[10] Chris Gifford, The making of Eurosceptic Britain: Identity and Economy in a Post-Imperial State, 2nd edition, Routledge, 2014.
[11] Cary Fontana, Craig Parsons, “‘One Woman’s Prejudice’: Did Margaret Thatcher Cause Britain’s Anti-Europeanism?”, JCMS: Journal of Common Market Studies, vol. 53, n. 1, 2014.
[12] Agnès Alexandre-Collier, “Euroscepticism under Margaret Thatcher and David Cameron: From Theory to Practice”, Observatoire de la société britannique, n. 16, 2014.
[13] Cary Fontana, Craig Parsons, “‘One Woman’s Prejudice’: Did Margaret Thatcher Cause Britain’s Anti-Europeanism?”, JCMS: Journal of Common Market Studies, vol. 53, n. 1, 2014.
[14] Agnès Alexandre-Collier, “Euroscepticism under Margaret Thatcher and David Cameron: From Theory to Practice”, Observatoire de la société britannique, n. 16, 2014.
[15] Agnès Alexandre-Collier, La Grande-Bretagne eurosceptique ? L’Europe dans le débat politique britannique, Editions du Temps, 2002.
[16] Agnés Alexandre-Collier., «Le phénomène eurosceptique au sein du parti conservateur britannique », Politique Européenne, n. 6, pp. 53-73, 2002.
Foto copertina: Margaret Thatcher, Wikipedia Open source