Responsabilità delle imprese per i danni ambientali e violazioni dei diritti umani


In una risoluzione di iniziativa legislativa, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione l’adozione di una direttiva sulla due diligence in materia di diritti umani, ambiente e governance.


 

Il 10 marzo 2021, gli europarlamentari hanno approvato con 504 voti favorevoli, 79 contrari e 112 astensioni una risoluzione[1] recante raccomandazioni alla Commissione UE relative all’adozione di una direttiva relativa alla responsabilità delle imprese in materia di danni all’ambiente e violazioni dei diritti umani (compresi i diritti sociali, sindacali e del lavoro), che preveda altresì vie di ricorso efficaci per le vittime di tali azioni.

L’attuale quadro normativo internazionale ed europeo relativo all’obbligo di dovuta diligenza contempla diversi strumenti. La prima norma internazionale in materia di “dovuta diligenza” è stata introdotta nel 2011 con l’approvazione dei “principi guida su imprese e diritti umani”[2] da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Sulla base di questi principi, altre organizzazioni internazionali hanno successivamente introdotto delle norme sulla dovuta diligenza.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) ha previsto linee guida[3] per esercitare la dovuta diligenza in specifici settori e catene di approvvigionamento ed in seguito, nel 2018, linee guida generali sul dovere di diligenza per la condotta responsabile delle imprese[4]. Nel 2012, UNICEF, UN Global Compact e Save the Children hanno introdotto i Children Rights and Business Principles[5], un decalogo di principi per le aziende al fine di rispettare e sostenere i diritti dei bambini.

Nel 2016, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha adottato una raccomandazione[6] rivolta agli Stati membri al fine di prevenire e porre rimedio alle violazioni dei diritti umani da parte delle imprese, garantendo altresì l’accesso ai ricorsi giurisdizionali.

Nel 2017, l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha adottato la Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale[7], che contempla una serie di principi volti ad orientare l’attività operativa delle imprese transnazionali e ad istituire meccanismi di dovuta diligenza.

Nonostante l’esistenza di questi strumenti fondamentali, il loro carattere volontario ne ha ostacolato l’implementazione e limitato l’efficacia. Sono poche le imprese che rispettano volontariamente l’obbligo di dovuta diligenza (solo il 37% secondo uno studio della Commissione[8]), e alle vittime non è garantito l’accesso alla giustizia e ad idonei mezzi di ricorso.

L’Unione Europea ha finora adottato quadri obbligatori sulla dovuta diligenza solo per alcuni settori specifici, quali ad esempio il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per gli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati nel mercato interno[9] ed il regolamento che stabilisce obblighi in materia di dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell’Unione di stagno, tantalio e tungsteno, dei loro minerali, e di oro, originari di zone di conflitto o ad alto rischio[10].

Inoltre, la legislazione nazionale degli Stati membri in materia non è uniforme e questo, oltre a non garantire la parità di condizioni per le imprese che operano nell’Unione, può provocare squilibri a livello di concorrenza leale.

Con la sua risoluzione del 10 marzo 2021, il Parlamento europeo ha dunque sottolineato l’importanza di introdurre un quadro armonizzato ed obbligatorio sulla dovuta diligenza a livello dell’Unione.
La direttiva dovrebbe assicurare che “le imprese adempiano al loro dovere di rispettare i diritti umani, l’ambiente e la buona governance, e non producano o contribuiscano a produrre impatti negativi potenziali od effettivi sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance attraverso le loro attività o e quelle direttamente legate alle loro operazioni, ai loro prodotti o ai loro servizi in virtù di un rapporto d’affari o nelle loro catene del valore, e prevengano e attenuino detti impatti negativi” (art.1).
Secondo il testo proposto, la direttiva dovrebbe applicarsi alle grandi imprese soggette al diritto di uno Stato membro o stabilite nel territorio dell’Unione; alle piccole e medie imprese (PMI) quotate in borsa nonché quelle ad alto rischio; ed, infine a grandi imprese, PMI quotate in borsa e alle PMI che operano in settori ad alto rischio, che sono disciplinate dal diritto di un paese terzo e che non sono insediate sul territorio dell’Unione allorché operano sul mercato interno vendendo beni o fornendo servizi (art. 2). In quest’ultimo caso, le imprese dovrebbero dimostrare il rispetto degli obblighi di dovuta diligenza in materia di ambiente e diritti umani e sarebbero soggette alle sanzioni e ai regimi di responsabilità previsti dalla direttiva.

Secondo i deputati, l’osservanza degli obblighi in materia di dovere di diligenza dovrebbe essere una condizione per l’accesso al mercato interno.

Affinché sia efficace, la normativa sulla dovuta diligenza dovrà applicarsi all’intera catena di valore[11] e dunque monitorare l’attività dei fornitori, dei subappaltatori e delle imprese partecipate, e non solo quella dell’impresa obbligata.

L’europarlamento ricorda che la dovuta diligenza è un meccanismo preventivo e pertanto le imprese sarebbero in primo luogo tenute ad individuare e prevenire i potenziali o effettivi impatti negativi derivanti dalle loro attività e da quelle delle loro catene del valore, e ad adottare politiche e misure proporzionate e commisurate alla probabilità e gravità degli stessi. La direttiva richiede alle imprese di individuare e valutare, mediante una metodologia di monitoraggio, la natura e il contesto delle loro operazioni e la possibilità di produrre o contribuire a produrre uno dei citati impatti negativi.
Le imprese dovrebbero stabilire e attuare una strategia di dovuta diligenza e successivamente renderla pubblicamente disponibile e accessibile gratuitamente.
Gli Stati membri dovranno assicurare che le imprese coinvolgano i portatori di interessi[12] pertinenti quando stabiliscono e attuano la loro strategia di dovuta diligenza. La strategia andrebbe valutata e revisionata annualmente (artt. 4, 5 e 6).

La direttiva servirebbe a garantire non solo che le imprese possano essere ritenute responsabili degli impatti negativi sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance, ma anche che chiunque abbia subito un danno possa esercitare il diritto a un equo processo dinanzi a un giudice e il diritto di ottenere una riparazione in conformità della legislazione nazionale.

Gli eurodeputati chiedono inoltre misure complementari quali il divieto di importazione di prodotti legati a gravi violazioni dei diritti umani, come il lavoro forzato o il lavoro minorile, nonché un esame accurato delle imprese con sede nello Xinjiang che esportano prodotti nell’Unione, allo scopo di individuare eventuali violazioni dei diritti umani, in particolare legate alla repressione degli uiguri.
Il Parlamento invita la Commissione a contemplare nelle sue attività di politica esterna, inclusi gli accordi commerciali, disposizioni a tutela dei diritti umani.

Secondo la direttiva, le imprese dovrebbero prevedere un meccanismo per il trattamento dei reclami che permetta ai portatori di interessi di esprimere ragionevoli preoccupazioni circa l’esistenza di un impatto negativo potenziale o effettivo sui diritti umani, sull’ambiente o sulla buona governance, e ricevere risposte tempestive ed efficaci. Il ricorso a un meccanismo per il trattamento dei reclami non preclude l’accesso dei ricorrenti ai meccanismi giudiziari (art. 9).

Qualora l’impresa abbia causato, o contribuito a causare, un impatto negativo, l’impresa dovrà prevedere un processo di riparazione o collaborare ai fini dello stesso. La riparazione è decisa in consultazione con i portatori di interessi lesi e consiste in compensazione finanziaria o non finanziaria, reintegro, scuse pubbliche, restituzione, riabilitazione o contributo alle indagini. La proposta di riparazione da parte di un’impresa non preclude la possibilità di avviare un procedimento civile in base a quanto disposto dal diritto nazionale. Le vittime non sono tenute a ricorrere a rimedi extragiudiziali prima di presentare ricorso dinanzi a un giudice (art. 10).

Autorità nazionali competenti avranno il compito di verificare che le imprese attuino correttamente i propri obblighi e la facoltà di condurre indagini, sia su propria iniziativa che su sollecitazione di terzi e di imporre sanzioni amministrative (art. 13). 

Per garantire una tutela effettiva, il Parlamento suggerisce l’inversione dell’onere della prova, trasferendolo dalla vittima all’impresa, la quale dovrà dimostrare di aver agito con tutta la dovuta diligenza per evitare il danno, o che il danno si sarebbe verificato anche se fossero state prese tutte le precauzioni del caso. Inoltre, i termini di prescrizione per intentare un’azione di responsabilità civile concernente un danno derivante da impatti negativi dovranno essere ragionevoli, affinché il diritto dei soggetti lesi di accedere alla giustizia non venga limitato (art. 19).
La Commissione europea presenterà la sua proposta legislativa entro la fine dell’anno.


Note

[1]https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2021-0073_IT.pdf
[2]https://www.ohchr.org/documents/publications/guidingprinciplesbusinesshr_en.pdf
[3]https://www.oecd.org/daf/inv/mne/MNEguidelinesITALIANO.pdf
[4] https://mneguidelines.oecd.org/Guida-dell-ocse-sul-dovere-di-diligenza-per-la-condotta-d-impresa-responsabile.pdf
[5] https://childrenandbusiness.org
[6]https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=09000016805c1ad4
[7]https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—europe/—ro-geneva/—ilo-rome/documents/publication/wcms_614707.pdf
[8] https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/8ba0a8fd-4c83-11ea-b8b7-01aa75ed71a1/language-en
[9] Regolamento (UE) n. 995/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio
[10] Regolamento (UE) 2017/821 del Parlamento europeo e del Consiglio
[11] Il testo proposto della direttiva contiene la definizione di catena del valore, concetto introdotto dall’economista Michael E. Porter della Harvard business school: “tutte le attività, le operazioni, i rapporti d’affari e le catene di investimento di un’impresa, comprese le entità con le quali l’impresa intrattiene un rapporto d’affari diretto o indiretto, a monte e a valle, e che: a) forniscono prodotti, parti di prodotti o servizi che contribuiscono ai prodotti o servizi dell’impresa stessa o; b) ricevono prodotti o servizi dall’impresa”.
[12] “Individui o gruppi di individui i cui diritti o interessi possono essere lesi dagli impatti negativi potenziali o effettivi sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance causati da un’impresa o dai suoi rapporti d’affari, nonché organizzazioni il cui scopo statutario è la difesa dei diritti umani”, art. 3, testo proposto della direttiva.


Foto copertina: Immagine web

[vc_btn title=”Scarica Pdf” style=”classic” color=”primary” size=”lg” align=”center” css_animation=”bounceIn” link=”url:http%3A%2F%2Fwww.opiniojuris.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2021%2F05%2FResponsabilita-delle-imprese-per-i-danni-ambientali-e-violazioni-dei-diritti-umani-Teresa-De-Vivo.pdf|||”]