Romania: dalla sicurezza regionale all’instabilità interna


I sondaggi rilevano che, tra tutti i grandi attori internazionali, la Russia è il Paese in cui i romeni hanno minore fiducia. In più, nel mentre la storia allontana i due paesi, la Romania risorge negli ultimi anni come attore sempre più protagonista nella strategia di contenimento occidentale della Federazione Russia. L’invasione in Ucraina, e la sua complessa matrice etnica, politica, securitaria ed energetica, ha acceso i riflettori su un altro stato, con essa confinante, la Romania dal ruolo securitario non meno importante per l’Occidente.


Scoppiato il conflitto che soffoca l’intera Ucraina, il vicesegretario generale della NATO ha dichiarato: “La nostra valutazione è che questo passo non è la fine, ma probabilmente solo l’inizio di un piano più ampio per continuare le attività militari ostili contro l’Ucraina sovrana e indipendente[1]. Così, si è annunciato pubblicamente l’attivazione e l’implementazione delle funzioni operative del battaglione di stanza a Costanza, già appena scoppiato il conflitto, sotto il comando americano (Task Force Cougar). Gli americani nel paese, così, sono quasi 2000. Ma la sicurezza sociale dov’è, in Romania? E l’Europa, dov’ è?
Dall’Eliseo aveva già tuonato Macron, che ha, in fase di tentativi di contenimento della minaccia russa sull’Ucraina, annunciato la disponibilità[2] della Francia a dispiegare truppe in Romania nel quadro dell’Alleanza Atlantica, con l’apprezzamento di Iohannis, il presidente rumeno. Si parla di un rilancio delle relazioni tra Bucarest e la NATO perché l’area del Mar Nero e dei Balcani ne costituisce l’anello debole per cui politici ed esperti rumeni premono da anni in ogni forum di rilevanza strategica, (Nato, Ue, Iniziativa dei Tre Mari) di sensibilizzare alla necessità di rafforzare il fronte est. La Romania cattura ora le attenzioni di Stati Uniti e dei paesi più attenti alle questioni di sicurezza europea. Negli anni di crescita delle politiche comuni di sicurezza non è mancata la sostanzialità puramente retorica della partecipazione degli stati membri ai piccoli tasselli avanzati a livello comune, motivo per il quale la sicurezza europea è uno degli ambiti più dibattuti, ambigui e divisori tra gli stati membri. In questo caso specifico, la dichiarazione di Macron punterebbe a tutelare i suoi già privilegiati rapporti economico-politici con Bucarest, passando per le commesse di armi e accordi energetici. Infatti, anche nel caso di effettiva invasione russa dell’Ucraina, l’aggressione alla Romania resterebbe improbabile in quanto “la Russia non è intenzionata a invadere lo spazio strategico statunitense avvicinandosi militarmente al delta del Danubio” [3] nonché a rinunciare alla dottrina strategica non convenzionale costruita negli ultimi anni. Inoltre, l’amministrazione USA chiarisce che “queste forze non combatteranno in Ucraina“, assicurando che “non sono spostamenti permanenti, ma che rispondono alle attuali condizioni“.

Gli ultimi anni hanno visto accrescere consensi del Partito socialista, sovranista, che nelle ultime elezioni ha raccolto il 31,4 per cento dei voti (su una bassissima affluenza che intacca senza dubbio la coesione socio-politica interna). Tuttavia, il governo, fedele ai valori promossi da queste organizzazioni e sigillati nei trattati, non ha esitato a pronunciarsi per il consolidamento della presenza militare alleata nell’Europa Orientale nel contesto di una crisi che trapassa i confini su cui puntano le parti in gioco, minacciando gli scenari globali politici, strategici ed economici futuri. La Romania si è dunque allineata alla scelta di Varsavia di accogliere le truppe americane. Inoltre, entrambi i paesi ospitano uno scudo missilistico che intimorisce Mosca. D’altra parte, i confini rumeni sono condivisi per più di 600 km con l’Ucraina ed il paese si affaccia sul Mar Nero, bacino di risorse storicamente determinante per il potere regionale e mira di numerose potenze espansionistiche nel corso del tempo, rivelandosi tutt’oggi fondamentale anche per la Russia. Il suo ruolo geopolitico è importante anche come condotto gasiero legato alla Moldavia e come riserva energetica dell’area. La questione energetica, si sa, è sempre stata al centro delle politiche di integrazione e di cooperazione politica. Recentemente, la Moldavia ha fatto i primi passi per modificare la legge che oggi non consente lo stoccaggio del gas fuori dal Paese. La Romania e l’elevata disponibilità di immagazzinare risorse energetiche è un operatore fondamentale di una nuova strategia che mira a diversificare la ricezione di risorse gasifere. I due Paesi dal 4 ottobre sono collegati dal nuovo gasdotto Iași-Ungheni-Chișinău, che può spostare fino a due miliardi di metri cubi di gas all’anno: vale a dire i due terzi del fabbisogno annuale della Moldavia, Transnistria inclusa. In maniera ancora più ambiziosa, la Moldavia conta di svolgere due test per collegare il sistema elettrico nazionale a quello europeo tra febbraio e agosto, per collegarsi poi al mercato europeo entro il 2023, una strategia che rende la partecipazione rumena fondamentale.

Tuttavia, una disamina dell’economia e della crescita del paese evidenzia cause profonde di instabilità ed ingiustizia che compromettono la stessa resilienza interna dell’unione. La sicurezza umana, infatti, presuppone come principio cardinale “la libertà dal volere” ovvero dai bisogni primari per poter esplicare tutte le altre libertà attinenti ai diritti umani e concorrere ad uno sviluppo onnicomprensivo equo e sostenibile. L’ aggravamento di un relativo sviluppo economico e sociale già deficitario e diseguale all’interno dell’Unione, il cui specchio si rinviene nella crisi di fiducia politica, particolarmente evidente in Romania, potrebbe impattare la sicurezza dell’ Unione, come ben riusciamo a immaginare in tempi di terremoti bellici e crisi geopolitiche. Analizzare i fattori causali della povertà è fondamentale per comprendere sia le prospettive di sviluppo dell’Unione Europea e le sue sfide ad Est, in primis rinnovare un rapporto in seno alla fiducia e allo sviluppo socio-economico che passa anche per una collaborazione politica più stretta in grado di debellare l’attuale corruzione dell’élite rumena (e non solo).

Nel 2020 c’erano 75,3 milioni di persone a rischio di povertà nell’Ue; di cui 27,6 milioni erano gravemente indigenti materialmente e socialmente. In totale, il 22% della popolazione europea è a rischio povertà ed esclusione sociale. Basta pensare che nel 2009 era considerato a rischio di povertà il 16,3 % della popolazione UE[4]. Anche prima che la pandemia imperversasse i dati erano preoccupanti. Al 2019, la distribuzione del reddito beneficia il 20% della popolazione più ricca che ne possiede fino al 39%, mentre il primo quintile partecipa in media al 7% della ricchezza europea. Il coefficiente di Gini misura una disuguaglianza che disallinea particolarmente paesi come Lituania, Lettonia, Bulgaria e Romania (ma anche Kosovo, Montenegro e Turchia), ovvero i paesi in cui è anche più ineguale la distribuzione del reddito tra gruppi a basso e alto livello di educazione, che in Romania differisce del più del triplo. Al contempo, la migliore uguaglianza non scende sotto il 22% e qualifica paesi come Slovacchia, Repubblica Cieca e Slovenia. Inoltre, è bene sottolineare come fra 2018 e 2019 è stata registrata in tutti i paesi dell’Unione monetaria una crescita che ha escluso solo il Lussemburgo[5]. Tuttavia, i tassi di inflazione più gravosi, che proprio si rinvengono in Ungheria, Bulgaria, Romania, Lettonia e Lituania, abbassano la media della crescita di tutta l’Unione, ponendo la necessità di rivedere le politiche e le strategie di integrazione economica[6].

Il caso rumeno: integrazione o abbandono?

La speranza che Romania, Bulgaria e Croazia partecipassero quanto prima allo spazio comune mirava a garantire anche una migliore sicurezza delle frontiere esterne permettendo di fare fronte comune alle pressioni sui confini, per cui il suo ingresso nella NATO è stato precedente a quello delle istituzioni comunitarie, a cui manca il tassello Shengen, qualificando la Romania come un caso atipico di integrazione europea, che, probabilmente, il già preannunciato processo per l’adesione dell’Ucraina, contribuirà a rendere ancora più ambiguo. L’Ucraina gode, al momento di una stretta relazione con l’UE che dopo l’ Euro Maidan ha visto stringere più accordi di associazione, risultati in una grande liberalizzazione dei visti ucraini per poter accedere agli spazi europei e 5 operazioni di assistenza finanziaria del valore totale di 5 miliardi di Euro a forma di prestiti ( non includendo l’1,2 miliardi definiti a febbraio in occasione dell’invasione russa). I negoziati erano iniziati nel 2007, la sesta ed ultima sessione del consiglio di associazione UE-Ucraina si è svolta il 28 gennaio 2020, e fu importante per determinare un accordo circa la sovranità e l’integrità territoriale ucraina, mentre proprio recentemente, il 12 ottobre 2021, il 23imo vertice ha fornito ulteriori chiarimenti sulla riforma dell’ordinamento ucraino, la politica estera e quella di sicurezza.[7]

La Romania, seguita dalla Bulgaria, ha iniziato il suo percorso europeo con una prima richiesta di adesione del 1993, che ha poi costituito la base dei cambiamenti istituzionali, economici, giuridici necessari all’allargamento. Le relazioni estere sono state anch’esse marchiate, cambiando l’assetto regionale delle frontiere immateriali. Nonostante nel 2004, anno dell’entrata nell’Alleanza Atlantica, una commissione ad hoc avesse dichiarato ammissibili entrambi i paesi, si urgeva Bucarest ad approdare a riforme strutturali del funzionamento della macchina giuridica rumena nonché di quella politica nei suoi rapporti con la tradizionale corruzione, promettendo, al momento della ratifica dei trattati di ingresso, un severo controllo su suddette politiche. Intanto, l’integrazione dei mercati è stata implementata ed ufficializzata con l’ingresso ufficiale il 1 gennaio 2007e ad oggi la Romania esporta nell’Unione e importa precisamente il 74% della produzione. Rimangono oggi come allora, secondo l’ultimo report[8], problematiche riguardanti l’effettiva indipendenza della magistratura rumena e le motivazioni possono essere rinvenute nella storia del dominio politico di matrice comunista. Infatti, qui il terreno è tradizionalmente fertile alla proliferazioni di leggi che minano le basi dello stato di diritto nei paesi dell’area e la sfiducia istituzionale si radica ancor più a causa della connivenza del settore della giurisprudenza e della magistratura ovvero i maggiori deputati a rinforzare la saldezza istituzionale. Nonostante l’adesione ufficiale, molte problematiche in seno alla produzione, come quella circa l’igiene alimentare, i diritti sociali e civili tra cui l’integrazione delle comunità minoritarie come i Rom, spesso segregati in specifici insediamenti, l’aumento delle pari opportunità ecc… sono figurate tra la moltitudine di urgenze e richieste di implementazione da parte di Parlamento e Commissione Europea[9].

Nel dicembre 2018 il Parlamento europeo si era espresso a larga maggioranza (514 favorevoli contro 107 voti contrari, 38 astensioni) per l’adesione di Romania e Bulgaria all’area Schengen. La decisione finale richiede, però, il voto unanime del Consiglio UE, e alcuni paesi membri pongono il proprio veto: fra questi i Paesi Bassi. Il rispetto dello stato di diritto e la separazione sono le problematiche per il futuro della Romania nonché dell’integrazione europea che rispecchiano una scelta geopolitica e strategica nonché il limite attuale della piena partecipazione rumena, e bulgara. La Commissione europea ha istituito il cosiddetto “Meccanismo di Cooperazione e Verifica” che si occupa di valutare i miglioramenti in termini di indipendenza del potere giudiziario, lotta alla corruzione e, nel caso bulgaro, contrasto al crimine organizzato. Alla fine del 2021 il Meccanismo di Cooperazione e Verifica avrebbe dovuto esprimersi sugli eventuali miglioramenti di natura politica alla base del rallentamento dell’ingresso di Bucarest (e Sofia) nell’area di libero scambio.

La Romania, per altro, non rientra nel meccanismo europeo di cambio volto a rendere stabile l’euro sul mercato interno ed esterno, per cui la Romania, per accedervi, deve presentare una condizione macroeconomica di ininterrotta stabilità nell’arco di almeno due anni. Tra le altre riforme comunitarie previste, la Romania ha fissato un suo proprio piano di convergenza reale con gli standard europei la cui attuale disattesa ha causato continui rimandi della data di adozione dell’euro, fissata a due anni dopo l’adozione del meccanismo di cambio europeo. Tra le altre misure da aggiungere ai raggiungimenti di riserve per le banche commerciali in linea con gli standard europei, Bucarest era impegnata a dover rimuovere le cause di pressioni inflazionistiche nonché ristrutturare imprese statali in perdita e le altre pressioni fiscali. A fine anno la data è stata spostata al 2029. In sostanza, la Romania non ha nessuna restrizione o pressione da parte di Bruxelles sulle tempistiche per cui cedere finalmente la propria sovranità monetaria. I rimandi sono però anche legati al rapporto tra società e politica, e dunque alla sostanziale mancata attrattività del progetto europeo come parte di un’elevata sfiducia istituzionale. Ad essa ed alla ancora diffusa povertà, l’austerità ha nociuto. Le “regole dell’euro” non comprendono l’identificazione e l’implementazione di standard di sicurezza dei lavoratori in un mercato già largamente inaccessibile, o tutele atte alla sicurezza sociale o familiare, o che attraverso il welfare sociale prevengano una grande fascia della popolazione dalla povertà.
Il rischio di povertà, in Romania, raggiunge i tassi più alti con punte del 35,6 % al 2019 in alcune regioni rendendo possibile un’equiparazione con alcune regioni centro-meridionali spagnole, la Bulgaria e la Grecia, e in Italia Puglia e Calabria, che superano il 30%[10]. Le cifre percentuali incrementano all’inclusione, nell’analisi, di fattori di rischio di esclusione sociale come quelli derivanti alla mancanza di sufficienti beni materiali e di appartenenza a nuclei familiari a bassa intensità lavorativa, gravando ancora di più sulle prospettive di sviluppo delle aree in questione[11]. Tuttavia, una mappatura del tasso di impiego offre una colorazione diversa delle regioni comunitarie, ponendo la Romania in condizioni di maggior sicurezza rispetto a Spagna, Italia, Grecia e Turchia meridionali. Un dato utile potrebbe essere la composizione dei trasferimenti sociali, che nel caso di Grecia, Portogallo e dunque Romania, sono dalle 8 alle 6 volte più ingenti se escludiamo le pensioni, incidendo sugli altri trasferimenti rivolti alla disoccupazione, alla malattia, alle agevolazioni fiscali e abitative.

I poveri in status lavorativo rappresentano una parte sostanziale all’interno degli indicatori della povertà complessiva, in tutta Europa. Il numero assoluto di persone in situazione di povertà lavorativa tra tutti i 28 stati membri, sfiora i 20,5 milioni di lavoratori europei[12]. L’incidenza della povertà lavorativa è aumentata intersecando vari gruppi lavorativi, anche se in modo diverso, dal 2012. Nei 28 paesi l’incidenza ruota attorno ad una media del 9,4% al 2017, con i gruppi di auto-impiegati al 22% di povertà lavorativa mentre i dipendenti riportano circa il 7%[13]

Con le recenti crisi economiche il numero non è diminuito ma cresciuto in media dello 0,7%, richiedendo delle politiche mirate sia a livello nazionale che comunitario. Infatti, se tale cifra non sembra consistente, essa rappresenta un valore stabilizzato in 16 paesi membri ma al contempo una crescita di più di un punto percentuale in 9. L’Unione ha dunque al suo interno paesi in cui l’incidenza della povertà lavorativa varia dal 2% di Helsinki al 18% di Bucarest, considerato un outlier.

Nel mezzo nuotano paesi come Belgio, Danimarca, Montenegro stabili sul 6%, o Olanda Francia, Austria, Slovacchia ed altri dove sale all’8%, seguiti poi da Ungheria, Portogallo, Regno Unito, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Serbia ed altri. Tra i paesi più a rischio si trovano Grecia, al 12,8%, Spagna (13%), Italia con il 12,3%, Lussemburgo, al 13,7%.

Il tutto mentre l’Europa, con pochissime eccezioni, nel pre-pandemia cresceva, e dove il numero di coloro che hanno accresciuto il proprio benessere economico ha superato quello di coloro che si sono impoveriti. Tuttavia, con paesi come Grecia, Ungheria, Polonia il cui peggioramento economico coinvolge 1/5 dell’intera popolazione nel 2019, una riflessione sulla lotta europea alla povertà e al modello disintegrazione e di sviluppo economici è doveroso. Chissà, un ripensamento ed un miglioramento concreti, che passano per una riduzione delle sue stesse incongruenze, possono cambiare anche le sorti dell’attrattività dell’Unione e, dunque, il corso della storia.


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Note

[1] https://www.agenzianova.com/a/6216109f714903.06202329/3806510/2022-02-23/romania-vicesegretario-generale-nato-renderemo-gruppo-di-combattimento-nel-paese-operativo-piu-rapidamente
[2] https://newsweek.ro/international/macron-anunta-ca-va-participa-la-o-prezenta-militara-avansata-a-nato-in-romania
[3] Ce lo dice Mirko Mussetti per Limes, via: https://www.limesonline.com/una-goccia-nel-mar-nero-la-romania-nella-partita-a-scacchi-della-russia/95133
[4] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Glossary:At-risk-of-poverty_rate_before_social_transfer
[5] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Median_equivalised_disposable_income_per_inhabitant,_2018_and_2019_v1.png
[6] Un buon grafico per comprendere la disparità fra paesi e fra quintili in ogni stato membro è consultabile qui: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Distribution_of_equivalised_disposable_income_by_income_quintile,_2019_(%25).png
[7] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eastern-partnership/ukraine/
[8] https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/progress-report-romania-2018-com-2018-com-2018-851_en.pdf
[9] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-6-2006-0421_IT.html
[10] Eurostat fornisce dei dati e la loro visualizzazione nonché definizioni e dettagli metodologici:  https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/tgs00103/default/map?lang=en
[11] https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/tgs00107/default/map?lang=en
[12] Peña-Casas R., Ghailani D., Spasova S. and Vanhercke B. (2019). In-work poverty in Europe. A study of national policies, European Social Policy Network (ESPN), Brussels: European Commission, p. 21
[13] Eurostat web site, EU-SILC


Foto copertina: NATO Secretary General Jens Stoltenberg meets with Klaus Iohannis, President of Romania 09-10-2017