Nelle ultime settimane la tensione tra Serbia e Kosovo è aumentata a tal punto da spingere il governo di Belgrado a schierare l’esercito al confine, con status di massima allerta. Dopo la crisi delle targhe automobilistiche di agosto, negli ultimi giorni i serbi del Kosovo hanno eretto barricate in risposta all’arresto di un ex-poliziotto. Con la stessa velocità con cui è iniziata la crisi si è risolta e lascia ora spazio a possibili negoziati per un accordo sulla normalizzazione delle relazioni.
Un conflitto mai sopito
L’origine delle tensioni è la dichiarazione unilaterale d’indipendenza che Pristina ha firmato nel 2008, separandosi da Belgrado. Fino ad allora il Kosovo era stato amministrato dalla missione Onu UNMIK, creata nel 1999 con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, al termine dei bombardamenti Nato su Belgrado e successivi accordi di Kumanovo. L’indipendenza del Kosovo è stata riconosciuta da 98 Paesi e dalla Corte Internazionale di Giustizia, sebbene questa non si sia pronunciata sulla condizione di stato, ma solo sulla legalità della dichiarazione. Al contrario, la Serbia e i suoi maggiori sostenitori, Russia e Cina, non riconoscono Pristina. Nel 2013 Belgrado e Pristina hanno iniziato un processo di normalizzazione dei rapporti, mediato dall’Unione Europea, ma questo non ha portato a risultati duraturi. Anche l’accordo di normalizzazione economica sponsorizzato da Trump ha avuto ben pochi effetti.
Il Kosovo è un Paese a maggioranza albanese, con una minoranza di 100.000 serbi, metà dei quali abita nel nord del Kosovo, a confine con la Serbia. Belgrado recrimina a Pristina di non rispettare la promessa fatta nel 2013 di garantire ai cittadini serbi un certo grado di autonomia, tramite la costituzione di una Associazione di municipalità serbe, un’entità politico-amministrativa che riunirebbe i comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo. L’Ue preme Pristina per rispettare la promessa, ma il premier kosovaro Albin Kurti è contrario, poiché teme la creazione di uno stato nello stato, controllato dalla Serbia, come fu per la repubblica serba in Bosnia-Erzegovina, porterebbe ad una destabilizzazione del paese o condurre a una secessione. Dall’altra parte, Pristina accusa Belgrado di alimentare le tensioni etniche e di provocare l’escalation.
Ad agosto, la vicenda delle targhe automobilistiche, apparentemente superflua ma altamente simbolica, aveva portato a un riavvio delle tensioni tra i due Paesi. Il governo kosovaro, in un tentativo di imporre la propria sovranità, chiedeva che i cittadini serbi abbandonassero le targhe serbe, per utilizzare quelle con la scritta “Repubblica del Kosovo”. Questa richiesta fu rispedita al mittente dalla comunità serba, che non riconosce l’autorità di Pristina e la riteneva una violazione della propria identità. Per protesta più di 600 serbi, tra cui poliziotti e giudici si licenziarono dalle istituzioni kosovare. La questione rientrò solo grazie alla mediazione di Ue e Usa: Belgrado avrebbe smesso di emettere nuove targhe e Pristina non avrebbe sanzionato quelle esistenti. [1]
Ad un passo dalla guerra
Nell’ultima settimana i serbi del nord del Kosovo hanno eretto delle barricate in mezzo alle strade di comuni come Mitrovica, in reazione all’arresto di un ex-poliziotto serbo, accusato dalle forze kosovare di pianificare un attacco allo Stato. Il Kosovo ha accusato la Serbia di agire in concerto con la Russia al fine di destabilizzare i Balcani e distrarre l’attenzione dall’Ucraina. Mosca ha dichiarato il suo supporto all’alleato, sostenendo Belgrado nelle sue mosse in Kosovo e rigettando le accuse di influenza negativa sulle autorità serbe.
Ue e Usa hanno mandato i loro diplomatici per mediare tra i due rivali. Belgrado chiedeva ai peace-keepers Nato, la forza Kfor, di proteggere i serbi, mentre Pristina voleva l’abbattimento delle barricate. La Nato è presente con 3.700 militari in Kosovo, e Camp Bondsteel è la base americana più grande in Europa. Per anni la presenza della Kfor ha evitato scontri tra i due Paesi.
Dopo che Kurti ha chiesto di rimuovere i blocchi dalle strade, i serbi sono scesi in piazza per protestare contro le minacce alla loro comunità. Belgrado ha quindi chiesto alla Nato di lasciare entrare le sue truppe in Kosovo.
I toni tra le parti sono diventati subito aggressivi, e il presidente serbo Vucic ha affermato che prenderà “tutte le misure necessarie per proteggere il popolo serbo”[2] e ha accusato Pristina di voler uccidere ed espellere i serbi dal Kosovo.[3]
I due Paesi si sono scambiati reciproche accuse di voler attaccare e provocare un conflitto etnico. In particolare, la Serbia ha accusato il Kosovo di sostenere “terrorismo contro i Serbi”, mentre Pristina risponde che Belgrado supporta le organizzazioni paramilitari che hanno costruito le barricate.
Una distensione che sembra risolutiva
Finalmente, il 28 dicembre il presidente della Serbia Vucic ha annunciato lo smantellamento delle barricate, dopo un confronto con i rappresentanti della comunità serba del Kosovo.[4] Inoltre, Pristina ha riaperto il valico di Merdare, il principale passaggio di frontiera tra i due Paesi. I segnali distensivi sono stati descritti dall’Alto rappresentante per la politica estera Ue Borrell come una vittoria della diplomazia e del lavoro di squadra di Ue, Usa e Nato.
Come si è arrivati a questa distensione? Anzitutto grazie al comunicato congiunto Usa-Ue che garantiva l’immunità dei serbi che avevano costruito le barricate, descrivendo il fatto come una protesta pacifica. Questa era una delle richieste chiave di Belgrado, insieme al rilascio dell’ex-poliziotto serbo il cui arresto aveva riacceso la tensione, deciso dalla magistratura kosovara. Usa e Ue hanno anche raccomandato l’applicazione di tutte le disposizioni del Dialogo, riferendosi al processo di normalizzazione iniziato nel 2013 e in particolare all’Associazione di municipalità serbe. Accogliendo questa richiesta serba, Usa e Ue hanno sconfessato i timori di Pristina, cercando di placare l’aggressività di Belgrado. Accettando le condizioni del partner più riottoso, Usa e Ue spingono per un negoziato più ampio sulla base di una proposta franco-tedesca, che vedrebbe un riconoscimento de facto da parte della Serbia del Kosovo. Un accordo sull’inviolabilità dei confini e uno scambio di rappresentanti diplomatici consentirebbero il riconoscimento de facto e la normalizzazione delle relazioni.
In questo scenario, l’Ue ha un’importante leva negoziale, che è l’accelerazione del processo di adesione di Belgrado, iniziato nel 2012. Sebbene Mosca sia un partner importante per Belgrado, che fornisce armi, gas, petrolio e supporto diplomatico, le opportunità economiche dell’adesione all’Unione sono un ottimo metodo per convincere Belgrado a collaborare. Così, Vucic può dire di aver mostrato i muscoli contro Pristina prima di iniziare un doloroso riconoscimento del rivale.
L’Ue deve però risolvere il paradosso di sostenere il Kosovo con 5 membri che non ne riconoscono l’indipendenza (Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia). A gennaio consiglieri di Scholz e Macron saranno a Pristina, per cercare di raggiungere un accordo di pace entro il 24 febbraio.[5]
Dalla dichiarazione d’indipendenza le tensioni tra Belgrado e Pristina sono sempre state alte, a causa dei tentativi kosovari di imporre la propria sovranità e della retorica aggressiva di Belgrado. Negli ultimi mesi i serbi del Kosovo hanno smesso di collaborare con il governo e questo ha portato alle tensioni delle ultime settimane. Nonostante il rischio di guerra fosse sempre stato minimo, le tensioni tra Serbia e Kosovo rischiano di rimanere una costante, a meno di uno sforzo di Usa, Ue e dei due Paesi per un processo distensivo duraturo.
Note
[1] Serbia e Kosovo: “Pronti a combattere”, ispionline.it
[2] Kosovo: Serbia puts troops on high alert over rising tensions, bbc.com
[3] In Kosovo tensione mai così alta. Il serbo Vucic allerta l’esercito, Luca Veronese, ilsole24ore.com
[4] Serbia-Kosovo: via le barricate, riapre il confine. Segnali di pace o pausa strategica? – L’intervista, Simone Disegni, open.online
[5] Kosovo: giù la prima barricata, ma la tensione resta alta, Salvatore Giuffrida, repubblica.it
Foto copertina: Serbia Kosovo, dalle barricate all’auspicata normalizzazione