Sudan: un ponte tra due mondi.

Oil painting of a Sudanese market.

Tristemente conosciuto per i suoi 40 anni di guerra civile, il Sudan, non è solo uno dei più grandi Paesi del continente africano, terzo solo alla Repubblica Democratica del Congo e all’Algeria, ma è anche la frontiera tra il mondo arabo e l’Africa Nera, ponte dell’Europa verso l’Africa Subshariana.

L’origine del sanguinoso conflitto civile che da decenni sconvolge il Sudan è da ricercare, principalmente,nelle conseguenze del post-colonialismo inglese. Sin dal 1899 gli inglesi hanno imposto agli egiziani il condominio sul Sudan che quindi divenne anglo-egiziano. I Britannici hanno tendenzialmente gestito separatamente l’area meridionale del Paese, a prevalenza cristiana e animista e culturalmente subsahariana, rispetto alla zona settentrionale, abitata per lo più da musulmani – i quali si consideravano di cultura araba.

Dopo il 1946 gli Inglesi, sotto la pressione delle forze arabe settentrionali, fecero integrare il nord e il sud del Paese scegliendo la lingua araba come lingua nazionale, e accentrando tutto il potere nell’ attuale capitale del Sudan, Khartoum. Le tensioni tra nord e sud si acuirono quando nel 1953, il Regno Unito, in seguito all’accordo con l’Egitto, decise di concedere l’indipendenza al Sudan. Quando il governo non mantenne la promessa fatta ai britannici di istituire il federalismo, si raggiunse un punto di rottura. Era il 1955.

Conosciuta anche come “la ribellione di Anyanya”, letteralmente “veleno di serpente” dal nome dell’armata separatista sudanese meridionale,la prima guerra civile in Sudan combattuta tra governo centrale e separatisti è durata per ben 17 anni, fino al 1972, mietendo circa mezzo milione di vittime, per lo più civili.

Successivamente, gli Accordi di Addis Abeba[1] permisero una tregua che fu però di breve durata a causa delle continue violazioni dei patti, mai completamente realizzati, che portò all’ammutinamento militare del 1983, sancendo l’inizio della seconda guerra civile. Con circa 1,9 milioni di morti e 4 milioni di profughi, la seconda guerra civile in Sudan,durata fino al 2005, è da considerarsi non solo come una diretta prosecuzione della prima, ma anche come uno dei conflitti più sanguinosi del secondo dopoguerra.

La fine della guerra fu sancita dall’accordo di Naivasha, anche conosciuto come Comprehensive Peace Agreement (CPA), un trattato di pace firmato nel Gennaio del 2005. Gli accordi siglati prevedevano che a sei anni dalla firma della pace definitiva, il Sud tenesse un referendum per decidere se diventare indipendente o no[2].

Realizzato nel 2011, il referendum ha sancito la nascita dello Stato del Sud Sudan, scissione che per il Sudan ha significato la perdita del 10% del suo prodotto interno lordo, del 75% degli scambi internazionali, del 50% delle entrate in bilancio e del 25% della popolazione entrando in un periodo di stagflazione ulteriormente aggravatosi a partire del 2014 con il declino del prezzo del petrolio. Tali conseguenze economiche trovano spiegazioni soprattutto nel fatto che la parte meridionale del Paese ospita più dell’80% dei giacimenti petroliferi sudanesi, sui quali il Sudan ha di fatto perso il controllo dopo la scissione, sebbene il Sud Sudan paghi royalties a Khartoum per la lavorazione e la distribuzione del petrolio, non essendo il giovane Stato dotato ne’ di impianti di raffineria, ne’ di sbocchi sul mare.

Questo scenario è da inquadrare, inoltre, nell’ambito più’ ampio del regime di embargo unilaterale imposto dall’America a partire dal 1997, a causa del sostegno del Paese ad organizzazioni terroristiche che ha difatti isolato il Sudan, ponendolo fuori dal sistema finanziario internazionale, con una ricaduta sui civili, piuttosto che sul regime.

Nonostante il raggiungimento della pace nel 2005 e il successivo referendum nel 2011,rimangono aperti ancora diversi fronti come quello del Sud Kordofan, del Blue Nile, di Abyeied in particolare quello del Durfur[3], dove la soppressione dei ribelli è valsa la condanna dell’attuale presidente Al Bahir per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità della Corte Penale Internazionale.

Giunto al potere con un colpo di stato, il generale Omar Al Bashir, governa il Sudan dal 1989. Fautore dell’islamizzazione del paese, il Presidente mantiene il potere mediante un forte apparato di sicurezza, la cui espressione principale sono i servizi di informazione (NISS). Attualmente, per ragioni molto complesse tra cui è possibile annoverare la crisi economica e le crescenti spinte centrifughe, Al Bashir ha lanciato nel 2014 un processo di Dialogo Nazionale, che ha determinato il 12 Maggio del 2016 l’annuncio di un Nuovo Governo d’Accordo e d’Unità Nazionale, progetto che dovrebbe guidare il Paese verso l’orizzonte delle elezioni del 2020, attuale obiettivo di medio-termine su cui sono puntati i riflettori del Paese e della comunità internazionale. [4]

Queste ultime settimane sono stati giorni di fervida attesa per il Sudan. Il 6 Ottobre è stata annunciata la sospensione del regime di embargo unilaterale da parte degli Stati Uniti, provvedimento che è entrato in vigore il 12 Ottobre. La decisione, già rinviata il Luglio scorso, prevede l’estensione della sospensione delle sanzioni – in vigore con la General Licence 2017[5] della passata amministrazione Obama – ad altri settori economici.

Più precisamente, gli operatori americani potranno dar vita a transazioni prima proibite dalle Sudanese Sanctions Regulations (SSR), sebbene rimangano delle limitazioni.[6] Seppure con qualche incertezza, si tratta di un provvedimento che contribuirà,auspicabilmente, a far uscire il Sudan dallo stato di isolamento a cui è confinato, facilitandone il dialogo con i partner internazionali non solo in termini economici, con impatti rilevanti sulla possibile configurazione politica del Paese.

 


[1]Gli accordi di Addis Abeba del’72, rappresentavano un accordo di massima tra governo centrale e SSLM (le forze separatiste) dove il fulcro della soluzione pacifica, che contemplava un equilibrio tra le aspirazioni regionali e gli interessi della sovranità nazionale, era costituito dalla Legge organica della regione meridionale. Questa prevedeva che il Sudan conservasse la sua struttura unitaria, mentre le tre province meridionali, riunite in una regione semi-autonoma, con capitale Juba, sfuggissero al processo di integrazione e di islamizzazione forzata (Fonte: Ispi – Annuario di politica internazionale 1972).

[2] Il Referendum rappresentava solo uno dei cinque punti fondamentali dell’Accordo che a sua volta era il frutto della stipulazione di otto documenti differenti, dove tutti, tranne il primo, furono firmati a Naivasha in Kenya, da cui il nome.

[3]Nel caso del Durfur, il conflitto scoppiato nel 2003, vede contrapposti i Janjawid (letteralmente “demoni a cavallo” supportati non ufficialmente dal governo sudanese), arabi nomadi e prevalentemente dediti alla pastorizia,alle tribù africani che vivono di agricoltura e vantano rivendicazioni di proprietà su quelle terre.

[4] Fonte: www.infomercatiesteri.it

[5] La General Licence del 2017, emanata con Ordine Esecutivo n.13761,ha sancito la revoca provvisoria (180 giorni) delle sanzioni contro il Sudan precedentemente istituite con gli Ordini Esecutivi n. 13067 Novembre 1997 e n.13412 dell’Ottobre del 2006. Parallelamente è stato avviato un processo di negoziazione bilaterale nel contesto del quale gli Stati Uniti hanno subordinato la conferma definitiva della sospensione ad una serie di condizioni (c.d. 5 cinque pilastri), in particolare collaborazione nel campo del contrasto al terrorismo, nel favorire l’accesso umanitario nelle zone belliche e nei negoziati di pace con il Durfur.

[6]Rimangono in piedi alcune restrizioni con riguardo all’esportazioni di commodities agricole, medicine e medicaldevices, dovute all’appartenenza del Sudan alla State Sponsors of Terrorism List (SST List). Il provvedimento in questione lascia anche invariate le disposizioni in merito all’ emergenza nazionale dichiarata per il Sudan con O.E. 13067, le sanzioni in relazione al conflitto in Durfur (O.E. 13400) ed, infine, le restrizioni individuali per persone designate dall’ OFAC – Office of ForeignAssets Control –ai sensi degli O.E.s 13067 e 13412 (Fonte: OFAC Website).

Copertina: Oil painting of a Sudanese market.