Il candidato democratico Biden sembra aver affondato le sue possibilità di rielezione nella notte del dibattito: ma è davvero così?
Di Rosa Scamardella
WASHINGTON. Venerdì 28 giugno 51 milioni di statunitensi hanno assistito a quello che, in termini comunicativi, è il momento più importante delle campagne presidenziali statunitensi: il dibattito in diretta televisiva tra i due candidati, Joe Biden e Donald Trump. Quello attuale e l’ex presidente degli Stati Uniti per 90 minuti sono stati chiamati ad esprimersi su questioni cruciali, moderati dai giornalisti della CNN, nel silenzio imposto dalle regole allo studio, con due minuti a disposizione per ogni domanda e il microfono spento mentre parlava l’altro. Biden è entrato salutando e ringraziando formalmente gli ospiti dell’evento, Trump è andato dritto al sodo. I due non si sono scambiati saluti o segni di riconoscimento reciproco.
Sembrano dettagli da poco e invece nulla sfugge al caso e all’analisi nella corsa elettorale che più si presta alla sua stessa narrazione nel mondo e che ha disegnato le campagne elettorali, lo stile e il discorso di tutte le democrazie occidentali.
Il microfono spento a scopo disciplinante, così come la mancanza del benché minimo cenno di saluto fra i due, parla di uno scontro in cui la legittimità dell’altro non solo è messa in discussione, ma considerata pericolosa[1].
Quale Biden, quale Trump
Quello dello scorso venerdì è stato il primo dibattito più anticipato della storia recente, richiesto da Donald Trump. Il candidato repubblicano, negli ultimi mesi, è stato coinvolto nella fase di condanna del processo che lo vede imputato per aver pagato il silenzio della pornostar Stormy Daniels, eseguito dal suo tuttofare Michael Cohen. L’accusa è di aver fatto passare l’operazione come parte delle spese legali della sua campagna elettorale. Il giudice e la giuria popolare lo hanno considerato colpevole. La sentenza di condanna dovrebbe arrivare l’11 luglio. Non si tratta dell’unico processo in corso per Trump, il quale è indagato anche per frode elettorale in Georgia, interferenza nelle elezioni federali in seguito all’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e per aver portato documenti classificati presso il suo domicilio senza restituirli una volta cessato il proprio mandato. Tutti procedimenti che stanno seguendo il loro iter e in taluni casi ritardati dalla Corte Suprema, la cui formazione è stata profondamente alterata a suo favore dallo stesso Trump quando era presidente. [2]
Immediatamente dopo l’emissione del verdetto da parte della giuria, il candidato repubblicano ha dichiarato di essere oggetto di una caccia alle streghe e ha accusato i democratici di volerlo morto. In realtà, la strategia di Joe Biden e del suo partito sta seguendo proprio la strategia opposta, facendo leva sulla separazione dei poteri e dichiarando la necessità di battere Trump alle urne, non in tribunale[3].
Anche per Biden il momento non era dei migliori. L’attuale presidente è sembrato quantomai debole rispetto alla gestione dei suoi rapporti con Israele nell’ambito dei massacri perpetuati a Gaza. Le devastanti immagini diffuse dai media di tutto il mondo hanno impattato anche su quella parte dell’elettorato dem che, nel 2020, gli aveva accordato fiducia solo nel nome della necessità di sconfiggere Trump. Sicuramente non di ispirazione repubblicana sono state le rivolte scatenate dagli studenti college di tutto il paese durante ultimi mesi, indicative di uno scollamento radicale tra il patrimonio ideale della gioventù statunitense e quanto espresso dalla politica estera di Biden[4].
Secondo la tagliente analisi del comico Jon Stewart, andata in onda immediatamente dopo il dibattito, i compiti dei due contendenti erano, rispettivamente: per Biden, non suonare come un nonno. Per Trump, comportarsi come una persona normale per 90 minuti. Obiettivi che certo non si contraddistinguono per ambizione, la cui banalità rispecchia la frustrazione di gran parte dell’elettorato statunitense che si ritroverà a scegliere fra due opzioni difficili da giudicare come le migliori per il futuro del paese[5].
Il dibattito
In genere, ci vuole un po’ di tempo per comprendere chi sia uscito vincitore dal primo dibattito ufficiale. Immediatamente, lo scorso venerdì sera, si è capito che in questo caso non sarebbe stato così. La voce di Biden, flebile e lontana, sin da subito è inciampata in una serie di strafalcioni e deviazioni di senso che gli hanno impedito di essere efficace. ‹‹Riusciremo finalmente a battere MEDICARE››, dichiarava il candidato democratico, volendo intendere probabilmente che, rinnovato il mandato, avrebbe implementato e allargato la riforma del sistema sanitario a livello federale ideata dall’amministrazione Obama per rendere accessibile e gratuito l’accesso alla sanità per alcune categorie di cittadini.
L’inefficacia di Biden nel dibattito si è mostrata platealmente anche rispetto all’aborto, tema caldo e tutto in favore dei democratici dopo il ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade che, nel 2022, ha riportato gli Stati Uniti indietro di cinquant’anni sul diritto di interruzione della gravidanza da parte delle donne, lasciando il tema in capo alle legislazioni dei singoli stati[6]. Il presidente in carica, mentre il suo rivale lo accusava di voler uccidere i bambini fino al nono mese di gravidanza ed oltre, non è riuscito a far altro che accusarlo di mentire, imbracciare un altro discorso poco comprensibilmente collegato al primo, riguardo una donna uccisa da un immigrato, per poi concentrarsi sull’incesto familiare come base di legittimazione di un diritto che ha sempre, in altre sedi, sostenuto assai meglio.
Donal Trump, per parte sua, ha accusato Biden di voler distruggere il paese. Rindossando senza difficoltà i mai dimessi abiti della fake news e del vittimismo smodato, ha indicato nel suo rivale la causa dei suoi problemi legali e, contemporaneamente, delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, accesesi ulteriormente a causa della mancanza di rispetto che i leader del mono proverebbero per Biden e ha sostenuto, tra le varie manifeste menzogne, di aver convocato 10.000 elementi della National Guard per scongiurare l’assalto a Capitol Hill e di non aver mai avuto rapporti sessuali con Stormy Daniels.
In ultimo, si è rifiutato di rispondere con chiarezza alla sollecitazione dell’anchor man della CNN rispetto alla sua accettazione del risultato elettorale, qualunque esso sia, dichiarando a rischio l’America e la democrazia.
L’entità del disastro
Sabato mattina, la performance assolutamente fallimentare di Biden aveva già raggiunto gli osservatori europei, insieme alla notizia, circolata sui media statunitensi sin da subito, di preoccupatissimi spin doctor e addetti alla campagna dem che si chiedevano se non fosse il caso, per il loro candidato, di fare un passo indietro. Importanti pressioni sembravano arrivare anche dai finanziatori democratici, mentre l’editoriale del New York Times titolava: ‹‹Per servire il paese, Joe Biden dovrebbe abbandonare la corsa››[7].
Sollecitazioni intercettate prontamente dalla stampa europea e, in particolare, da quella italiana. La Repubblica si è spinta a chiedere la collaborazione di Jill, la first lady, nell’opera di persuasione necessaria affinché suo marito si allontanasse dalla sua stessa campagna[8]. A soli due giorni di distanza, già è possibile tracciare un quadro più razionale.
Sul Washington Post, mentre rimbalzano notizie dal fundraising della campagna dem, che avrebbe raggiunto un picco di donazioni proprio dopo il dibattito, Itkowitz e Gardner fanno notare che, nel caso di un passo indietro da parte di Biden, la procedura sarebbe chiara. Confronto televisivo è avvenuto non solo prima del solito, ma anche prima delle convention repubblicana e democratica, le quali si terranno, rispettivamente, a luglio e ad agosto.
Nell’ambito di quella che diventerebbe una open convention democratica, i delegati degli Stati presenti potrebbero ancora decidere di non votare Biden, nonostante i risultati delle primarie. Si porrebbero al di fuori del cerimoniale classico e consolidato di consenso già raggiunto intorno a chi intende candidare il partito, ma potrebbero farlo[9].
A quel punto, però, sarebbe difficile trovare l’unanimità intorno ad una proposta, dati i nomi di governatori e figure di spicco del partito democratico che si stanno ipotizzando in queste ore. Salvo che questa proposta non sia già in qualche modo concordata dietro le quinte e promossa dallo stesso Biden (nel clima attuale, chiunque si facesse avanti o parlasse prima dell’attuale presidente lo sfiderebbe apertamente e rischierebbe solo il proprio capitale politico).
Il presidente, dal canto suo, molto probabilmente indicherebbe Kamala Harris. Nello scenario di fantasia qui disegnato, Biden si troverebbe infatti a fare un passo indietro di entità storica, ossia abbandonare una campagna già finanziata e ampiamente avviata, sulla base di un singolo (per quanto pesante) fallimento. A rinunciare ad un secondo mandato, altra scelta con un peso tutto speciale negli Stati Uniti. È difficile immaginarlo nell’atto di rinnegare ulteriormente la sua legacy non scegliendo la sua vice.
Harris, dal canto suo, non gode di particolare popolarità a livello federale. Lo sa bene Donald Trump, il quale ha commentato, all’indomani del dibattito che scegliere Kamala Harris come sua vice sia stata la ‹‹decisione migliore che abbia preso [Biden]… perché nessuno vuole che questo succeda›› alludendo ad una sua possibile sostituzione.
What a difference a day makes (?)
Che differenza possa fare un giorno, anzi una notte, nella corsa alla Casa Bianca è una domanda ancora aperta.
Se è vero che ipotesi come quella di Michelle Obama candidata appaiono fantascientifiche, è altrettanto reale, per quanto poco probabile, la possibilità che gli eventi non seguano il ragionamento appena tracciato e che Biden possa decidere, nonostante la sua impopolarità, di candidare Kamala Harris o di chiamare alla sfida uno dei democratici i cui nomi stanno circolando da venerdì notte in poi.
Con il passare dei giorni, va da sé che le possibilità di questo clamoroso passaggio di testimone si riducono. Quattro mesi di campagna elettorale sono già irrisori, ai limiti del suicidio politico.
In quanti, però, avrebbero scommesso, fino a qualche lustro fa, che un condannato ai lavori socialmente utili (se non alla galera, nell’ipotesi più radicale), con processi penali pendenti riguardo l’aver attentato al regolamentare compimento del processo elettorale avrebbe potuto candidarsi di nuovo e diventare presidente degli Stati Uniti, auto-perdonandosi prima dell’insediamento?
Note
[1] https://www.youtube.com/watch?v=-v-8wJkmwBY
[2] https://www.politico.com/interactives/2023/trump-criminal-investigations-cases-tracker-list/#hush-money
[3] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/dopo-la-sentenza-cosa-accadra
[4] https://www.opiniojuris.it/stati-uniti/usa-che-fine-hanno-fatto-le-proteste-universitarie-per-la-palestina/
[5] https://www.youtube.com/watch?v=3SJr44m-w1Y
[6] https://www.npr.org/2022/06/24/1102305878/supreme-court-abortion-roe-v-wade-decision-overturn
[7] https://www.nytimes.com/2024/06/28/opinion/biden-election-debate-trump.html
[8]https://www.repubblica.it/commenti/2024/06/29/news/elezioni_usa_biden_trump_futuro_stati_uniti-423324794/
[9] https://www.washingtonpost.com/opinions/2024/06/29/biden-step-aside-democratic-nomination/
Foto copertina: Dibattito Tv tra Biden e Trump