Dialoghi con il Generale Paolo Capitini su temi più o meno visibili tra le righe della guerra in Ucraina.
Introduzione
Ad oramai tre anni di distanza dal suo scoppio, la guerra in Ucraina è divenuta una presenza costante, sia per la politica internazionale che per l’opinione pubblica dei singoli Stati più o meno coinvolti. Una guerra fortemente documentata e narrata, per certi versi paradossale nonché violenta, che ad oggi presenta non pochi punti oscuri. Una guerra, come quasi sempre accaduto nella storia, con dinamiche che spesso trascendono la mera narrazione dei tragici fatti sul campo. Messaggi, allusioni, simboli e prese di posizione volano alla stregua di missili e proiettili atterrando con violenza su una terra martoriata dove gli effetti stessi della guerra proliferano verticalmente secondo le dinamiche del “campo” tanto quanto orizzontalmente tra gli attori coinvolti. Nel tentativo di sbirciare oltre la linearità dei fatti sui campi di battaglia, tra le righe della guerra, abbiamo deciso di rivolgerci ad un esperto del settore. Abbiamo avuto il piacere di dialogare su alcune delicate tematiche con Paolo Capitini, generale in ausiliaria e docente a contratto di storia militare all’università della Tuscia e alla Scuola Sottufficiali dell’Esercito.
L’intervista
Generale, crede che la guerra in Ucraina sia definibile, così come è stato per molte delle grandi guerre che l’hanno purtroppo preceduta, la “guerra che cambierà tutte le guerre”?
Questa è un refrain che accompagna almeno tutte le guerre moderne. C’è stata un’epoca della storia in cui vi erano le guerre giuste, poi le guerre in nome di dio e la guerra che pone fine a tutte le guerre. Poi ci sono state le guerre che avrebbero cambiato le prossime guerre. Queste suonano come formule per esorcizzare il fenomeno. Ogni guerra a ben guardare, dalla prima che si è combattuta nella storia dell’uomo ad oggi, ha cambiato la successiva e ciò è normale perché si imparano cose nuove e si presentano situazioni nuove. Questo a tutti e tre i livelli: strategico, operativo e tattico, nonché dei mezzi e degli strumenti con cui si combattono. Sì, sicuramente questa sarà una guerra che cambierà la prossima guerra. Così come la prossima verrà certo cambiata da questa ma si presenterà in modo completamente nuovo. Per esempio sarà una guerra aereo-navale? Una guerra dei droni? Forse! potrebbe anche essere la prima guerra combattuta solo con l’IA? Impossibile dirlo. Qualunque essa sarà mai nel futuro, un po’ della guerra russo-ucraina la troveremo comunque dentro. Questa ancora in corso dimostra che è finita l’epoca delle guerre brevi, molto asimmetriche, caratterizzate da grandi coalizioni di potenze contro un piccolo stato-canaglia o un gruppo di terroristi. Sono state quelle le guerre degli anni 2000, il peacekeeping e il peace enforcement, la lotta al terrorismo mondiale. Guerre che non necessitavano di eserciti robusti e di centinaia di migliaia di uomini. Quelle guerre del mondo globalizzato se non sono tramontate sono ora affiancate dal fragoroso rientro della guerra come ce la siamo immaginata negli ultimi tre secoli: con grandi masse di soldati, grande logistica, grande intelligence e grande opera diplomatica intorno. Anche un grande sforzo industriale da parte di chi ha deciso di combatterle nonché un grande sforzo politico all’interno delle nazioni coinvolte. Ecco, questo è un grande ritorno che ci coglie di sorpresa; nell’Europa sicuramente, visto che da oramai 30/35 anni essa ha smantellato l’idea di avere eserciti numerosi, la leva obbligatoria fino all’idea stessa della guerra, del dover dedicare una parte delle risorse non solo economiche ma anche morali e valoriali della comunità al reagire con la violenza ad una violenza maggiore. Noi europei non abbiamo tutto sommato i doveri che hanno le super potenze. Non abbiamo il dovere di mantenerci superpotenza, come lo hanno gli americani i russi od ora i cinesi. Essi (gli USA) sono un pochino più avvezzi alla guerra e a questo impiego della violenza organizzata. Tuttavia, anch’essi hanno serie difficoltà di reclutamento. Anche la loro è, infatti, una società in mutamento profondo ed è innegabile pensare che anche da loro gli aspetti sociologici, antropologici, valoriali e ideologici disegneranno il prossimo campo di battaglia. Per tornare al conflitto russo-ucraino non è poi una novità che questa volta appare decisiva la guerra nel cyberspazio e anche nello spazio extra atmosferico. Questi due elementi hanno oggi ribadito nei fatti la loro presenza e importanza nelle nuove guerre atteso che la stessa NATO aveva già immaginato la presenza di questi due domini da più di una ventina d’anni, ma adesso la loro rilevanza è conclamata e non può essere ignorata.
Negli ultimi giorni ha destato grande scalpore la notizia della cattura da parte degli ucraini di due militari facenti parte dell’esercito russo ma di nazionalità cinese. La presenza di “Foreign fighters” da parte di ambo le parti non è di certo una novità, eppure in questo caso l’impatto mediatico è stato diverso. Trova giustificato l’impatto della notizia o magari andrebbe incastonato in un discorso più grande legato alla narrativa della guerra in generale?
È capitato di prendere due cinesi e te la vendi! Magari la partecipazione cinese alla guerra russo ucraina fosse limitata a qualche cinese in combattimento. Il valore della Cina in questa guerra sta nell’acquisto di gas e petrolio russo o nel fornire le parti per costruire i missili…la Cina è impegnata in questo conflitto ben oltre che mandare quattro suoi concittadini in qualche trincea. Sono cittadini cinesi che hanno deciso di combattere e le ragioni andrebbero chieste loro. Come andrebbero chieste ai brasiliani, ai russi, ai bielorussi, agli australiani ecc. ecc. che stanno lì a combattere. Mi sarei aspettato che Zelens’kyj tirasse fuori piuttosto il problema di come la Cina aiuta la Russia nei modi che ti ho ricordato prima, non certo perché gli ha mandato due persone. In questa come in tutte le guerre le narrative sono importanti. La guerra è, infatti, prima di tutto il racconto della guerra stessa e questo viaggia dai tempi di Omero, della guerra di Troia e anche prima. La narrativa è il racconto modificato di quanto avviene, è un punto di vista. La sconfitta americana in Vietnam, ad esempio, al di là delle perdite e della decisione americana di andarsene è stata una sconfitta conseguente ad una narrativa che aveva convinto e modificato la società americana e questo al di là delle oggettive sofferenze e danni inferti al Vietnam a cui sono stati inflitti oltre un milione di morti. Eppure, il racconto di quella guerra ha perseguitato un’intera generazione, lo abbiamo visto anche in film come Rambo e altri. Noi per primi diciamo che “c’è stata una Caporetto” ma Caporetto è stata solo una pesante sconfitta che si poteva trasformare in rotta. Caporetto, non scordiamo, che finisce sulla linea del Piave e del Monte Grappa con l’arresto dell’esercito tedesco-austriaco e la sconfitta loro inflitta l’anno dopo. Tuttavia, la seconda parte ce la siamo dimenticata e viviamo Caporetto come un’onta assoluta invece di un’operazione andata male. Per cui, come ci si racconta, è spesso un’arma potente come una vittoria o una sconfitta sul campo. Nella Prima guerra mondiale ti puoi raccontare che la Germania non ha perso ma è stata tradita da poteri non meglio definiti. Questa è la base del tumultuoso periodo di Weimar e dell’ascesa del nazismo: una sconfitta non accettata. Attenzione, dunque, a come ci viene raccontata la sconfitta o la vittoria.
Leggi anche:
- Tra disarmo e deterrenza: le lezioni della denuclearizzazione ucraina
- Lo sforzo bellico ucraino senza Washington
Continuando sul discorso della narrativa, la guerra in Ucraina è a tre anni di distanza divenuta parte della nostra “routine”? se sì, che impatto sta avendo questo a livello politico e sul campo?
Questa è la dinamica interna della comunicazione degli ultimi anni, che mettendo in competizione tutti i network, ufficiali e non, ha bisogno che accada sempre qualcosa di nuovo. Qualcuno che si mangia un bambino, una guerra, i marziani o l’eruzione di un vulcano. C’è sempre necessità di qualcosa di nuovo affinché si crei un caso. La morte dell’approfondimento e la ricerca spasmodica della sensazione. Non c’è più Oriana Fallaci che va in Vietnam e cerca di spiegarti quella guerra. Io ero ragazzino e ricordo che i telegiornali si aprivano con “Saigon”, c’era sempre il pezzo su Saigon. Noi oggi non siamo più disposti a riservare nel palinsesto uno spazio di approfondimento al problema guerra in Ucraina o a Gaza. Perché? Perché non fai audience. Hai invece bisogno di approfondimento per spiegare e quindi capire cosa vuol dire avere una guerra da tre anni in quella zona; quali sono le conseguenze per l’Europa o per il tuo paese. C’è però un elemento di conforto, sommando tutti quelli che guardano i canali di divulgazione su YouTube, a prescindere dalla loro qualità, c’è comunque la dimostrazione che c’è tanta gente, centinaia di migliaia, che alla domanda voglio sapere cosa succede, pretendono di avere una risposta. Spesso non è la migliore possibile ma la ricercano comunque. I grandi veicoli di informazione, non riescono ad essere reattivi su questo, non riescono a capire che c’è bisogno di altre professionalità ed altro linguaggio.
Mentre gli sforzi diplomatici proseguono la guerra sul campo non accenna a fermarsi. Ultimi sforzi per portare al tavolo delle trattative quanti più numeri possibile o da entrambe le parti ritiene che gli attori abbiano ancora le carte per assestare colpi decisivi e chiudere militarmente la partita?
La mia impressione è che i russi stanno tenendo a bagnomaria l’Ucraina e i Paesi che la sostengono. Sanno che l’idea di avere una grande vittoria sul campo è allontanata, e parallelamente come lo è quella di una dura sconfitta. Tenendo però a bagnomaria l’Ucraina e l’Europa, Mosca riesce a perseguire il suo obiettivo strategico, vale a dire un’Ucraina neutrale, che vuol dire non solo che non faccia parte della NATO, ma che non sia in alcun modo nella sfera sicuritaria e politica dell’Occidente. Ai russi avere basi o equipaggiamenti americani in Ucraina non va affatto bene. Secondo loro Kiev dovrebbe avere solo una forza armata minima capace di gestire al massimo l’ordine pubblico e una docile leadership non ostile a Mosca. Questi sono i veri obiettivi della guerra in Ucraina. Per i russi la guerra può continuare ai livelli di oggi per ancora molto tempo. Finché resta così l’amministrazione americana è messa in grande difficoltà mentre l’Europa, senza un piano e con 27 posizioni differenti, si è praticamente liquefatta. Quando parla di Ucraina l’Unione Europea non sa cosa dire. La Russia, nel frattempo, ha riposizionato la sua rete energetica, aperto mercati nuovi, ritessuto altre alleanze, l’economia regge abbastanza, si è riequilibrata da un’altra parte e questo equilibrio gli permette di mantenere una guerra a questi livelli per altri mesi e mesi se ne hanno bisogno. La domanda è: gli americani o gli europei sono in grado di gestire la loro posizione nei confronti dell’Ucraina per mesi o altri anni? Come un lottatore di sumo che non colpisce ma ti si mette addosso, dopo un po’ non respiri più. I russi si stanno mettendo addosso all’Ucraina, all’Europa e- forse- anche agli Stati Uniti. Continuano a lanciare missili e cannonate e possono andare avanti ancora per un paio d’anni. L’Europa e gli USA di Trump possono permettersi di ammettere che ci hanno provato ma non ci sono riusciti? Tutto questo a meno che non appaia il “cigno nero”, cioè l’evento improvviso, inatteso e completamente destabilizzante che va certo considerato ma che non può essere previsto. Dunque, eccetto l’intervento di un qualche deus ex machina se si segue la linea della razionalità i russi non hanno nessunissima fretta di finirla questa guerra. Sanno che molto probabilmente non la vinceranno sul campo, ma sanno anche che se la perdono o si fermano ora rischiano di non raggiungere i loro obiettivi strategici, quelli cioè di avere una Ucraina addomesticata sul modello bielorusso, certamente non appartenente alla NATO e possibilmente che non abbia basi e missili americani sul proprio territorio. Che faccia parte o meno della Unione Europea poco importa data l’assoluta irrilevanza politico militare di quest’istituzione.
Per concludere sul delicato tema della “proliferazione orizzontale” della guerra in Ucraina, ultimamente, diversi video hanno dimostrato la cattura da parte delle forze di Mosca di carri armati e altri device militari inviati a Kiev nei diversi pacchetti di aiuti. Il problema della reverse engineering è un rischio che era stato tenuto in conto? Il Cremlino e i suoi partner quanto possono giovare da questa situazione?
È bene premettere che a parte rari casi gli abbiamo dato il 128 sport non la Ferrari. Fuor di metafora gli abbiamo dato gli F-16 ma non certo quelli dell’ultima serie e tanto meno gli sono stati consegnati gli F-35. Gli HIMARS, che almeno nella prima parte del conflitto sono risultati molto incisivi, non sono una novità e anche in questo caso gli USA si sono guardati bene dal consegnarne l’ultima generazione. Stessa storia per gli Abrams. Buona parte del tempo perso nel consegnarli è stato impiegato per smontare tutto quello che oggi un Abrams USA ha, soprattutto elettronica. Comunque, è vero che un mezzo quando è catturato è sempre una fonte di informazioni ingegneristiche e progettuali importanti e che certe parti non si possono smontare. Ad esempio, le leghe metalliche o i compositi di cui sono fatti. Oltre al come è fatto è importante anche conoscere di che cosa è fatto, Che tipo di acciaio, le percentuali che compongono la struttura o la corazza, come è fatto un cingolo, la metallurgia, la chimica di certe cose. Questa è una cosa che non puoi camuffare, puoi ridurre o smontare l’elettronica, e si riesce, ma sulla parte “dura” un po’ meno. Bisogna considerare che noi gli abbiamo dato roba vecchiotta e che i russi non sono tecnologicamente una repubblica delle Banane e sono perfettamente in grado di trarre da quel che esaminano ogni possibile informazione. La loro filosofia comunque non è quella di rifare l’Abrams, ma di provare a vedere cosa in un Abrams può aiutare a costruire, ad esempio, un T14 migliore. Non dimentichiamo che la loro filosofia non è quella di avere un fantastico mezzo che non costa 12 milioni di euro, ma di avere 12 mezzi di buon livello che ne costano. È una filosofia che è legata al concetto di rusticità, cioè alla constatazione che tutti i mezzi, dal migliore al peggiore prima o poi si romperanno o verranno comunque distrutti. È anche vero che certe cose si possono oggi recuperare anche al di fuori dei campi di battaglia dell’Ucraina, specie quelli più comuni e diffusi. Non è più l’U-2 che venne tirato giù in territorio sovietico, e all’epoca fu davvero un guaio grosso per Washington. In realtà questa è una guerra di artiglieria e di droni, alla parte veramente tosta non ci arrivi, ovvero la parte cyber e satellitare, i sistemi per la sorveglianza del campo di battaglia o i sistemi per l’elaborazione, la comparazione e la diffusione delle informazioni tattiche, vale a dire tutta quell’architettura che permette all’Ucraina di utilizzare al meglio le forze che ha e sarebbe una perdita grossa ma fin quando si resta su carri armati e fucili, piangeremo ma fino ad un certo punto.
Foto copertina: Guerra in Ucraina