La Regione dei Grandi Laghi potrebbe cadere nelle mani dell’ISIS


Alla luce dei recenti attentati, esiste la possibilità che il territorio possa diventare un’altra solida roccaforte dello Stato Islamico in Africa. Ai governi centrali in mano il futuro di una zona già ferita da conflitti e divisa dai gruppi armati.


Il campanello d’allarme scatta il 16 novembre 2021 a Kampala, Uganda, quando tre attentatori si sono fatti esplodere davanti ad una stazione di polizia e nei pressi del parlamento, uccidendo 4 persone e ferendone più di 30. Un quarto attentatore verrà ucciso dalla polizia prima di poter detonare l’esplosivo. Il presidente Museveni condannerà gli attacchi ricollegandoli al gruppo armato Allied Democratic Forces, poche ore dopo lo Stato Islamico rivendicherà l’attacco.

Allied Democratic Forces (ADF)

All’inizio degli anni Novanta Jamil Mukulu, dalla cella in cui era rinchiuso per aver occupato con il suo gruppo la grande moschea di Kampala, denuncia l’atteggiamento troppo conciliante dell’Uganda Muslim Supreme Council nei confronti del presidente Yoweri Museveni. Rilasciato nel 1993, Mukulu fonderà la Salafi Foundation dotandosi di un braccio armato che in seguito diventerà l’Allied Democratic Forces.
L’intenzione era di prendere posizioni più decise nei confronti del capo di stato.
A causa dei frequenti raid e scontri con le forze armate ugandesi, il leader deciderà di spostare la base del suo gruppo nella vicina Repubblica Democratica del Congo (RDC). Da questo momento in poi ADF attaccherà non solo obiettivi militari, ma anche e soprattutto la popolazione civile congolese, soffiando sul fuoco del tensioni locali già preesistenti. Dal 2016 il gruppo ormai in pianta stabile nel Nord Kivu, assume connotati più simili a ISIS. Fondamentale sarà il cambio di leadership, a Mukulu, arrestato in Tanzania, subentra Musa Baluku che inizia a tessere relazioni con i gruppi armati locali e internazionali.

ISIS e gli Shabab mozambicani

Regione dei Grandi Laghi

Il 2017 è l’anno in cui si delineano sempre più i contorni di una collaborazione tra ADF e ISIS. Dalle indagini delle forze di sicurezza locali e degli investigatori delle Nazioni Unite emerge che persone vicine allo Stato Islamico hanno avuto contatti con i ribelli ugandesi, tra cui il keniota  Waleed Ahmed Zein, canale di finanziamento tra i due gruppi. Tra le fila entrerà anche Meddie Nkalubo, il quale introduce l’uso e dirigerà i social media e la propaganda, aspetti fino a quel momento mai sviluppati dal movimento. Nell’ottobre dello stesso anno gireranno sui social video in cui si  dichiara ADF come “Stato Islamico in Africa Centrale” e in cui Baluku giura fedeltà allo Stato Islamico.
Nell’aprile 2019 ISIS rivendica il suo primo attacco nel Congo-Kinshasa e Baluku riconferma la sua devozione ad Al-Baghdadi. ADF inizia a spostarsi verso la provincia di Ituri con l’intenzione di espandere i suoi rapporti e i suoi attacchi. Le indagini in corso noteranno un afflusso di combattenti provenienti dalle nazioni vicine e il miglioramento delle tecniche per lo sviluppo degli ordigni esplosivi improvvisati (IED), nei quali si riconosce l’impronta di ISIS.
Un altro fatto rilevante è il supporto nell’addestramento dei Shabab mozambicani da parte di ADF.
Le autorità del Ruanda ad ottobre 2021 avevano arrestato degli individui implicati nel fallito attentato nella capitale Kigali, scoprendo che alcuni di loro erano in contatto con Nkalubo. Anche il Ruanda è infatti nel mirino dei gruppi armati per il supporto dato alle forze governative mozambicane contro l’insurrezione degli Shabab di Cabo Delgado, affiliati a ISIS dal 2019.
Secondo altre fonti flussi di denaro provenienti dal Kenya sono finiti nelle casse di affiliati ad ADF con base in Kivu e in Uganda, ma si cerca ancora di comprendere se questo denaro sia collegato in qualche modo allo Stato Islamico o agli Al-Shabaab somali.


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Relazioni tra vicini

Storicamente i gruppi armati nell’ex Congo belga sono sempre stati manipolati dagli stati vicini per combattersi l’uno con l’altro. Kagame ha spesso accusato Burundi e Uganda di sovvenzionare i ribelli ruandesi del Kivu, e dall’altra parte i due stati dichiarano che il Ruanda supporti i ribelli burundesi e ugandesi. Da ricordare che la regione dei Grandi Laghi è stata tormentata da molti conflitti, a partire dalla “prima guerra mondiale africana” del 1996 , conflitto scoppiato nella RDC che depose Mobutu ma che coinvolse anche i vicini citati che supportarono i gruppi a loro più favorevoli. Ruanda e Burundi sono stati anche protagonisti di conflitti civili, il più famoso quello su territorio ruandese del 1994 che portò al genocidio dei tutsi da parte degli hutu.
Questi conflitti assieme allo scarso controllo del territorio hanno alimentato la costellazione di gruppi armati che agiscono nella regione e che mirano alla destabilizzazione dei governi, approfittando dei non proprio rosei rapporti tra i Paesi.
La Repubblica Democratica del Congo, il Paese più devastato da questi attori non statali, cerca di fare passi avanti in questo dedalo di relazioni infuocate.
Dal 2013  le forze di sicurezza di Kigali e Kinshasa cooperano nella lotta contro queste formazioni paramilitari. In seguito agli attentati di novembre a Kampala, è stata attivata l’operazione congiunta Shujaa con le forze di sicurezza ugandesi nella regione del Kivu, con l’appoggio della missione ONU MONUSCO seppure con qualche riserva per quanto riguarda la tutela dei civili e l’incoraggiamento nella cooperazione tra le due forze di sicurezza.

ADF e ISIS un’unica forza?

Ancora oggi non è chiaro quanto il gruppo insediatosi nel territorio congolese sia affiliato allo Stato islamico. Se c’è traccia di flussi di denaro e know how, non ci sono ancora prove certe che le Allied Forces seguano l’ideologia islamista tipica del gruppo. Gli esperti fanno notare che esse seguono molto le dinamiche politiche interne agli stati, rimanendo in un certo modo ancorate a ciò che le ha effettivamente create e per il quale hanno iniziato a combattere. Certo è che i recenti attentati, (l’ultimo a Beni il 25 dicembre, dove hanno perso la vita sei persone e in cui è attiva l’operazione Shujaa)[1] fanno sospettare un coordinamento sempre più stretto. L’identificazione come affiliati potrebbe portare al gruppo una legittimità più importante sia a livello locale che transnazionale e attirare ancora più finanziamenti utili alla prosecuzione delle violenze.
Esiste quindi una vera provincia centrafricana dello Stato Islamico?
Tutto è in mano ai governi centrali che dovrebbero implementare la cooperazione con attenzione alle dinamiche interne per fare in modo che questo scenario non si realizzi.


Note

[1] https://www.opiniojuris.it/il-congo-teme- ulteriori-attacchi/


Foto copertina: Un membro della FIB si trova nella boscaglia vicino alla prima linea nella regione di Beni, dove le Nazioni Unite stanno sostenendo le FARDC in un’operazione contro la milizia dell’ADF, il 13 marzo 2014. © MONUSCO/Sylvain Liechti. Wikipedia