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I riti che mettono a rischio la salute delle giovani donne africane.
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Grace Mwase vive a Golden Village, una comunità rurale a Sud del Malawi. Ha sedici anni, ma è considerata adulta già da ben sei anni, quando fu sottoposta ad un rito di iniziazione: una pratica secolare purtroppo diffusa in diverse aree dell’Africa centrale e meridionale. All’età di dieci anni, infatti, durante le vacanze scolastiche, insieme ad una dozzina di ragazzine, Mwase è stata allontanata dal suo villaggio, condotta in rifugi remoti e affidata alle anamkungwi, ovvero le “istruttrici” o “leader”, un gruppo di donne anziane.
Alla Thomson Reuters Foundation[1], il prete anglicano Jones Katete ha affermato: “Paghi queste donne per far torturare il tuo bambino”.
Quando il rito è concluso e le bambine fanno ritorno, viene detto loro che sono pronte a cucinare, pulire e avere rapporti sessuali. E’ soprattutto su quest’ultimo punto che il percorso di iniziazione sembra concentrarsi. Mwase racconta infatti che la maggior parte delle due settimane trascorse al campo è stata dedicata ad insegnare loro come comportarsi con gli uomini, come gestirli e come avere rapporti.
Qui non esiste l’adolescenza e questo rito segna il passaggio dalla pre-adolescenza alla vita adulta. Per usare le parole dell’antropologa Thera Rasing[2], “getta le basi per la futura vita adulta, costruendo una nuova identità”.
Subito dopo la conclusione del rito, le bambine vengono esortate a mettere in pratica quanto imparato e ad avere, dunque, rapporti sessuali. Qualora rifiutassero, vedrebbero la propria pelle divenire secca e fragile: questo quanto raccontato per incoraggiarle.
A Mwase, da una delle anamkungwi del villaggio, è stato detto: “Sei donna abbastanza. Se vai via (dal campo di iniziazione), devi dormire con un uomo per liberarti della tua infanzia”, nello specifico un uomo anziano. Come se non bastasse, le “istruttrici” raccomandano che l’atto di “purificazione sessuale” avvenga senza profilattico. A dispetto della tradizione Mwase, temendo per la sua salute, ha disobbedito. Sua nonna, dalla quale è stata cresciuta e mandata al campo, come accade spesso in Malawi per molte primogenite, è all’oscuro di tale decisione. Se ne fosse stata al corrente, avrebbe pagato un uomo per privare sua nipote della verginità. In alcuni villaggi gli uomini assunti a tal fine sono chiamati “iene”: a volte hanno rapporti con diverse ragazze della stessa comunità che hanno affrontato insieme il rito.
In genere le cerimonie hanno luogo quando le bambine hanno la prima mestruazione. Persilia Muianga, dell’Ong World Vision[3], chiarisce che talvolta, però, alcune sono indotte dalle madri ad avere rapporti ancora prima, nella speranza di anticipare il menarca.
Il prete anglicano Katete denuncia brutali riti di iniziazione anche in Zambia e Mozambico, dove bambine tra gli otto e i tredici anni vengono ferite nelle parti intime con dei bastoni per simulare l’atto sessuale.
La mutilazione genitale femminile non è comune in Malawi, ma può avvenire durante simili riti di passaggio in altre zone dell’Africa. Senza ombra di dubbio l’iniziazione è causa di traumi permanenti anche in assenza di danni fisici.
La Malawi Human Rights Commission[4] (Commissione per i diritti umani in Malawi) ha spiegato come tali riti incidano negativamente e ledano i diritti delle bambine all’istruzione, alla salute, alla libertà e, non ultima, alla dignità.
Gravi e numerosi sono i rischi che queste usanze comportano per la salute.
Le giovani per lo più sono inconsapevoli dei pericoli derivanti da rapporti non protetti in un paese in cui il 9,1% della popolazione è sieropositiva[5]. I matrimoni precoci e quindi la tenera età in cui le ragazze rimangono incinta, complicano e mettono a rischio la gravidanza, aumentando le possibilità di andare incontro a malformazione del feto, perdita del bambino, della loro stessa vita o allo sviluppo di una fistola ostetrica, ovvero una lacerazione da parto che mette in comunicazione la vagina con vescica, retto o entrambi e che le condanna ad incontinenza ed emarginazione da parte della comunità.
Le donne restano profondamente segnate da questa pratica che sono obbligate a rispettare, come le loro madri e nonne prima di esse, se non vogliono essere stigmatizzate all’interno della comunità di appartenenza.
Thera Rasing afferma che per molte le iniziazioni sono associate all’onore: “la capacità di una donna di promuovere un cambiamento, di essere potente e autorevole, nasce dal suo successo nell’essere donna a tutti gli effetti. E’ così che si guadagna il rispetto del marito e della comunità morale. Questo è ciò che le viene insegnato durante l’iniziazione alla femminilità e che le viene detto durante il suo matrimonio”. In alcuni villaggi sono inoltre previste delle multe per i genitori che rifiutano di mandare le figlie al “campo di iniziazione”.
Come abbiamo potuto constatare, questi riti hanno una chiara funzione sociale e antropologica, ma non è tutto: dietro si celano anche ragioni economiche. Il Malawi è uno dei paesi più poveri al mondo, tre quarti della popolazione vive sotto la soglia della povertà assoluta[6]. In un contesto così drammatico, non è difficile capire come le nozze delle proprie figlie possano rappresentare un timido spiraglio di luce: i genitori, infatti, non se ne dovranno più prendere carico.
Ancora una volta povertà, paura di rompere la tradizione e ignoranza, costituiscono una deleteria combinazione, un circolo vizioso nel quale questi tre pericolosi fattori si alimentano a vicenda. E’ pertanto fondamentale arrestare tale processo mediante sensibilizzazione, informazione ed educazione delle comunità.
Note
[1] http://www.trust.org/
[2] Thera Rasing antropologa, specializzata in Antropologia delle religioni e studi di Genere (PhD in 2001, Erasmus University Rotterdam). Autrice del libro Religion and AIDS treatment in Africa: Saving Souls, Prolonging Lives..
[3] https://www.worldvision.it/chi-siamo
[4] http://www.hrcmalawi.org/
[5] https://www.avert.org/professionals/hiv-around-world/sub-saharan-africa/malawi
[6] http://data.un.org/CountryProfile.aspx?crName=malawi
Foto in copertina: Africa as country Grace Mwase was only 10 when she attended an “initiation” camp outside her village in Malawi and was taught how to sexually please a man. She was also encouraged to “sexually cleanse” herself by finding a man to practice with – without a condom – but refused to do so. She is now part of a Girls Empowerment Network in Malawi advocating for the rights and well-being of vulnerable and marginalized girls.