Due sfide alla sicurezza che la comunità internazionale deve fronteggiare
Fino a poco tempo fa la comunità internazionale non si era posta la preoccupazione se le risposte alla violazione dei diritti umani in Corea del Nord, dovessero essere separate o collegate alla denuclearizzazione. Una potente rete internazionale di attivisti e dissidenti[1], invece, si adoperava, da oltre due decenni, di portare questa sistematica violazione sulla scena internazionale e di convincere la comunità che la questione non era una semplice distrazione dal problema delle armi nucleari.
Dopo anni di lotta gli attivisti sono riusciti ad inserire la problematica all’interno dell’agenda internazionale[2], una forte spinta è stata costituita dal rapporto della Commissione di Inchiesta delle Nazioni Unite del 2014, il quale metteva in luce che, nella Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC): “sono state e vengono commesse violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti umani”.
Addirittura gli abusi commessi da parte dello Stato coreano sono stati etichettati, in molti casi, come crimini contro l’umanità.[3] Il rapporto della Commissione di Inchiesta ha quindi reso la questione dei diritti umani una parte centrale della discussione sulla Corea del Nord.
L’incapacità della comunità internazionale di far fronte in modo adeguato a queste due diverse, ma correlate sfide alla sicurezza, ha favorito le tensioni regionali e il rischio di destabilizzazione.[4]
Analizzeremo come il programma nucleare è in parte causa diretta della violazione dei diritti umani e come anche le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite, volte a penalizzare l’armamento nordcoreano, hanno in molti casi peggiorato la condizione precaria della popolazione. Infine cercheremo di soffermarci sulle possibili soluzioni proposte per gestire il dilemma.
Il ruolo strategico dell’armamento nucleare
Con la scomparsa dell’alleato sovietico, il regime nordcoreano ha investito sempre più risorse nello sviluppo del proprio programma nucleare, al fine di scoraggiare ogni possibile minaccia esterna.
La fine della divisione in blocchi ha anche modificato per tutti gli stati l’essenza stessa del concetto di sicurezza vigente fino a quel momento nella politica internazionale.
In epoca bipolare il termine sicurezza era inteso nella sua accezione tradizionale, ovvero si riconosceva come minaccia principale alla stabilità di uno Stato (oggetto referente) un attacco militare esterno. Questa visione dava una definizione chiara di cosa potesse essere un pericolo alla sicurezza.
La fine della Guerra Fredda e l’ormai inarrestabile globalizzazione hanno reso il sistema internazionale molto più interconnesso e nuove minacce sono emerse, ampliando il concetto tradizionale di sicurezza. Lo sviluppo economico, i flussi migratori, la tutela dei diritti umani, l’ambiente, hanno assunto sempre più importanza nella politica internazionale, coinvolgendo anche la stessa Corea del Nord.
Il nuovo interesse verso tali questioni ha ampliato le variabili che possono mettere a rischio la stabilità del regime nordcoreano. Per tale motivo, il ruolo del programma nucleare, da “semplice” deterrente verso attacchi esterni, è stato utilizzato dal regime anche per questioni di sicurezza non tradizionale, sfruttandolo come vantaggio nelle trattative con la comunità internazionale al fine di garantirsi aiuti, ad esempio alimentari. Infine, l’aggiunta della definizione del paese come potenza nucleare all’interno della Costituzione nel 2012, ha permesso al regime di darsi una sua identità.[5]
Purtroppo la violazione dei diritti umani è il fondamento del programma nucleare nordcoreano. Prima fra tutte la pratica del lavoro forzato all’estero, utilizzata dal governo per finanziare il piano. Lo Stato può confiscare fino al 70% dello stipendio che questi “lavoratori” percepiscono[6]; è stato calcolato dagli esperti che tale pratica porti ogni anno al regime da 120 a 230 milioni di dollari.
Si stima che oltre 50.000 nordcoreani lavorino all’estero in aziende direttamente controllate dal regime, tale esercizio è comune in Cina e Russia, ma anche in molte altre parti del mondo.[7] In secondo luogo, la dottrina ufficiale dello Stato, pone le Forze Armate e il programma nucleare come priorità; il regime dilapida circa 1/3 del suo PIL in spese militari, concorrendo in tal modo alla fame di milioni di nordcoreani.[8]
Il paese è, infatti, tra i più poveri al mondo, solo 1/3 delle case dispone di elettricità e la metà della popolazione vive in condizioni di estrema miseria.[9] Inoltre, secondo quanto riportato dal “The Guardian”, è stato recentemente rilasciato un documento dall’organizzazione Citizens’ Alliance for North Korean Human Rights (NKHR), dove viene analizzata la relazione tra lo sfruttamento dei prigionieri politici internati nei campi per la produzione di beni per l’esportazione e il piano nucleare.
In particolare le persone detenute, tra cui anche bambini, sono costrette a produrre determinate quote di carbone, di questa risorsa, come altre, è stata vietata l’esportazione dalle Nazioni Unite nel 2017[10], il documento rivela quindi un commercio nascosto portato avanti grazie ai campi di prigionia.[11] Tali azioni del governo nordcoreano mettono a rischio la sicurezza internazionale, ma ancora di più quella regionale. Gli abusi sulla popolazione aumentano il pericolo di destabilizzazione dell’area, un esempio sono i flussi migratori che premono sulla Corea del Sud e in particolare sulla Cina. Nella Repubblica Popolare Cinese i nordcoreani non sono tutelati, ciò li rende vulnerabili al rimpatrio forzato in caso di arresto o addirittura possibili prede dei trafficanti umani.[12]
Le relazioni tra Pyongyang e la comunità internazionale si sono complicate dopo l’uscita della Corea del Nord dal Trattato di non proliferazione nucleare nel 2003 e sono peggiorate vertiginosamente dopo i test nucleari che la RPDC porta avanti dal 2006.
Tale atteggiamento da parte del regime ha indotto il CdS a sanzionarlo, ben nove risoluzioni[13] fino ad oggi sono state approvate contro la proliferazione nordcoreana. Il CdS ha ribadito che: “le misure sanzionatorie adottate dal Consiglio di Sicurezza non sono destinate ad avere conseguenze umanitarie negative per la popolazione civile”.[14] Nonostante ciò, le sanzioni più dure, approvate nel 2017, a seguito del sesto test nucleare, hanno avuto effetti negativi sull’economia nordcoreana e sugli aiuti che le organizzazioni garantivano alla popolazione.[15]
In particolare nelle ultime risoluzioni è stata vietata l’esportazione di carbone, minerali, tessuti, frutti di mare e altri prodotti agricoli; a ciò si aggiunge la limitazione sulle importazioni di petrolio e metalli.[16]
Nel dicembre 2017 il commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad al-Hussein, ha affermato che i controlli sui trasferimenti bancari internazionali imposti negli anni dalle sanzioni stavano minando le operazioni ONU, provocando rallentamenti nella consegna di aiuti umanitari, kit medici e alimenti che garantiscono sostentamento a circa 13 milioni di nordcoreani.[17] Il divieto di importare metalli blocca la spedizione di forniture mediche di base, mentre quello di esportazione dei tessuti provoca danni importanti all’occupazione femminile, maggioritaria in quel settore.[18]
Soluzioni?
Da tempo sono state imposte quelle che vengono definite “sanzioni intelligenti” [19], l’obiettivo è quello di danneggiare esclusivamente gli individui del regime direttamente coinvolti nel programma nucleare, limitando loro spostamenti, relazioni commerciali, finanziarie, economiche, ma non solo. Purtroppo le sanzioni verso le élite si sono rivelate poco efficaci e non hanno avuto successo nel favorire la denuclearizzazione della Corea del Nord.[20]
La soluzione potrebbe essere altre sanzioni?
Secondo Bell e Fattig[21] ulteriori sanzioni non servirebbero ad uscire dall’impasse attuale; la comunità internazionale dovrebbe invece accettare e riconoscere in modo informale che la Corea del Nord è ormai un paese nucleare. La socializzazione della RPDC, secondo gli autori, favorirebbe l’allineamento di questa ai comportamenti standard internazionali, grazie ai vantaggi che derivano dall’inserimento nella comunità. L’obiettivo sarebbe quindi quello di promuovere l’attenzione su questioni di sicurezza non tradizionale separandole dal programma nucleare al fine di socializzare la Corea del Nord e garantire la stabilità regionale. Lo stesso regime beneficerebbe di negoziati che affrontano sfide umanitarie, in quanto rappresentano un’importante minaccia alla sua stabilità interna. È necessario un cambio di impostazione mentale per relazionarsi con la RPDC; il regime nordcoreano è razionale, in grado quindi di collaborare per la propria sicurezza e conservazione: le due cose a cui tiene maggiormente.[22]
Note
[1] Free NK Radio (defector-led), North Korea Freedom Coalition, Life Funds for North Korean Refugees; per approfondire: {Danielle Chubb & Andrew Yeo, “Adaptive Activism Transnational Advocacy Networks and the Case of North Korea”, in North Korean human rights: activists and networks}.
[2] Danielle Chubb & Andrew Yeo (2018), “Human rights, nuclear security and the question of engagement with North Korea”, Australian Journal of International Affairs, DOI: 10.1080/10357718.2018.1557107.
[3] Cfr. UN Commission of Inquiry on Human Rights in the Democratic People’s Republic of Korea, SummaryReport, UN Doc. A/HRC/25/63, 7 February 2014, para. 24.
[4] Markus Bell and Geoffrey Fattig, “Socializing a Nuclear North Korea: Human Security in Northeast Asia”, North Korean Review , Vol. 14, No. 1 (SPRING 2018)}.
[5] Marco Milani, “The Evolution of the North Korean Nuclear Program: from Survival Strategy to Ideological Legitimization”, Korea Economic Institute of America 2018.
[6] Katja Creutz, “The Nexus between Arms Control and Human Rights in the Case of North Korea. Implications for the human rights agenda”, Journal of Autonomy and Security Studies, 2(2) 2018, 70–96.
[7] Database Center for North Korean Human Rights (NKDB), “A prison with no fence: The Reality of Slave Labor Worse than North Korea, 2016.
[8] K. Creutz, “The Nexus between Arms Control and Human Rights in the Case of North Korea. Implications for the human rights agenda”.
[9] Human Rights Watch, “Q&A: North Korea, Sanctions, and Human Rights”, 2018.
[10]UNSC Res. 2371, 5 agosto 2017.
[11] {The Guardian, “North Korea enslaves prisoners in producing coal for export, report says”, 2021}.
[12] {M. Bell and G. Fattig, “Socializing a Nuclear North Korea: Human Security in Northeast Asia”}.
[13] {UNSC Res. 1718 (2006); 1874 (2009); 2087 (2013); 2094 (2013); 2270 (2016); 2321 (2016); 2371 (2017); 2375 (2017); 2397 (2017)}.
[14]{Cfr.https://www.un.org/press/en/2017/sc13113.doc.htm}
[15] {Human Rights Watch, “Q&A: North Korea, Sanctions, and Human Rights”}.
[16] {UNSC Res. 2371; 2375; 2397 (2017)}.
[17] {Margaret Besheer, “UN Human Rights Chief Cautions Sanctions Could Hurt Struggling N. Koreans”, VOA, 2017}.
[18] {Korea Peace Now: Women Mobilizing to End the War, “The Humanitarian Impact of Sanctions onNorth Korea”, 2019}.
[19] { Human Rights Watch, “Q&A: North Korea, Sanctions, and Human Rights”}.
[20] {Lisa Schlein, Report: Sanctions on N. Korea Not Working; Harming Civilian Population, VOA, 2019}.
[21] Markus Bell e Geoffrey Fattig.
[22] {M. Bell and G. Fattig, “Socializing a Nuclear North Korea: Human Security in Northeast Asia”}.
Foto copertina: Immagine web. TheNationalInterest