Martedì 16 giugno 2020 si è riaccesa la tensione tra i due stati più popolosi al mondo. Cina ed India, dopo reciproche accuse di sconfinamento, hanno interrotto una parvente e instabile tregua che durava dal 1975, scontrandosi lungo la “linea di attuale controllo” (LAC), frontiera di 3500 km contesa dal 1962.
Le radici storiche
Le origini della disputa tra cinesi e indiani risalgono agli inizi del XX secolo, nella divisione territoriale realizzatasi con la firma dell’Accordo di Simla (1913) tra l’Impero Britannico e il Tibet.
Con tale accordo il Tibet ottenne l’indipendenza de facto e venne costituita la Linea McMahon, con la quale venne fissato il confine tra India e Cina, con il Tibet a fare da cuscinetto, protetto militarmente dalla Gran Bretagna e indirettamente dalla debolezza della neonata Repubblica di Cina.
L’avvento dei comunisti guidati dal carismatico Mao Zedong modificò gli equilibri. Il Tibet cadde sotto il controllo di Pechino e il confine divenne oggetto di tensione tra indiani e cinesi. Questi ultimi, infatti, ritenevano che l’indipendenza del Tibet non fosse mai stata ufficialmente riconosciuta, per cui Lhasa non avrebbe potuto siglare alcun trattato per delineare una frontiera internazionale.
Dopo anni di continue scaramucce, la tensione salì tra il 1961 e il 1962 e lo scontro lungo il confine conteso diede avvio alla “guerra dei trenta giorni”. La Cina violò i confini indiani, conquistando la regione Aksai Chin del Ladakh[1] e provocando una diaspora nella popolazione indiana. Inoltre, a seguito dell’unilaterale dichiarazione di “cessate il fuoco” da parte di Pechino, venne stabilita la “linea di Attuale Controllo” (LAC), tutt’ora contestata dagli indiani che considerano come confine la linea del confine del disciolto Impero Britannico.
La LAC, intesa come frontiera nella parte occidentale della zona di confine tra i due Paesi, avrebbe dovuto integrare la linea McMahon. Tuttavia, le due nazioni non hanno mai pienamente concordato sul suo allineamento. Ben 13 sono le aree contese il cui controllo viene rivendicato dall’una o dall’altra parte a seconda del periodo, fattore in parte dovuto non solo alla volontà di entrambe di non fare concessioni ma soprattutto ai vaghi riferimenti alla LAC nelle successive negoziazione ed accordi.[2]
A causa di ciò, sin dagli anni ’60, numerosi sono stati gli attriti militari tra le due potenze lungo il confine. Prima degli episodi di questo giugno, l’ultimo scontro mortale tra militari cinesi e indiani si era verificato nel 1975, quando quattro soldati indiani avevano perso la vita[3].
Il riaccendersi delle tensioni
Gli episodi più recenti hanno preso avvio lo scorso maggio, quando, secondo Nuova Delhi, le truppe cinesi hanno ostacolato le pattuglie indiane nei pressi del lago Pangong Tso[4]. Sebbene le autorità cinesi non abbiano formalmente fatto dichiarazioni a riguardo, il quotidiano cinese Global Times ha riportato che le truppe indiane avevano violato il territorio cinese, tentando addirittura di ergere delle strutture di difesa. Dopo lo scambio reciproco di accuse, la situazione è rapidamente degenerata e nella notte tra il 15 e il 16 giugno, nella valle di Galwan, Nuova Delhi e Pechino sono passate alle armi. L’uso di mazze chiodate e massi ha causato 20 vittime tra le file indiane, mentre Pechino non ha reso noto il bilancio delle proprie vittime.
La causa ufficiale dello scontro sembra essere stata la costruzione, ad opera degli indiani, di una strada lungo il fiume che attraversa la valle, utile per i rifornimenti in caso di attacco. La Cina ha subito considerato il gesto una minaccia ai propri interessi nella regione del dell’Aksai Chin (essendo tale infrastruttura molto vicina alla zona) e ha così deciso di rinforzare la sua presenza militare nell’area.
La vicenda non è tuttavia chiara, poiché, secondo altre ricostruzioni, la ragione dello scontro sarebbe da individuare nell’improvvisa aggressione ad opera di 300 soldati cinesi di 55 militari indiani[5].
Immediata è stata la reazione dei vertici sia di New Delhi che di Pechino. Il Ministero degli Affari Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha infatti accusato Pechino di voler alterare lo status quo dell’area, mentre il Comando Occidentale dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese ha rigettato le accuse, dichiarando che sia l’India a non rispettare gli impegni assunti[6].
Dopo due settimane di trattative diplomatiche, le parti sono giunte ad un accordo comune in favore di una de-escalation, stabilendo una smobilitazione in gruppi delle loro truppe nell’area[7].
Gli attori internazionali
Le implicazioni delle tensioni di giugno e, più in generale, della disputa sul confine sono innumerevoli e varie, tanto per Pechino che per Nuova Delhi.
Pechino, pur condannano l’episodio di giugno, si è mantenuta piuttosto cauta, non minacciando l’India di ritorsioni o rappresaglie. Adottare una posizione estremamente dura che conduca ad uno scontro non è negli interessi cinesi, poiché Nuova Delhi è un partner commerciale sì controverso ma importante in questa fase storica. Sebbene New Delhi rappresenti solo il 3% del totale dell’export cinese nello scorso anno[8], una escalation di tensione con un vicino asiatico non sarebbe auspicabile.
La Cina sta già gestendo intense pressioni su più fronti (il rallentamento economico dovuto allo scoppio della pandemia, le tensioni economiche con gli USA e quelle socio-diplomatiche con Hong Kong) per cui perdere un partner commerciale accrescerebbe i problemi di sovrapproduzione delle imprese cinesi, già vessate dalle restrizioni commerciali imposte dagli USA e da altri Paesi.
La Cina, inoltre, è ben consapevole dell’avvicinamento tra Nuova Delhi e Washington e delle implicazioni geopolitiche che comporterebbe un maggiore e diretto coinvolgimento americano nelle vicende asiatiche. Il segretario di Stato americano Pompeo ha, infatti, di recente proposto a Modi di inaugurare fra Washington e Delhi l’avvio di una nuova fase di rapporti, finalizzata alla creazione di una partnership strategica, che vende il coinvolgimento anche di Giappone e Australia, per il mantenimento della sicurezza nell’area Indo-Pacifica[9].
Una profonda destabilizzazione delle relazioni sino-indiane sarebbe infruttuosa per Pechino non solo per l’inevitabile coinvolgimento americano nella vicenda, ma in quanto potrebbe portare alla perdita di controllo sulle ambizioni indipendentiste e sulle ricche risorse naturali del Tibet, la cui popolazione potrebbe avvicinarsi a Nuova Delhi, mettendo a repentaglio la sovranità nazionale cinese.
Tuttavia, Pechino non vede di buon occhio due mosse compiute dall’India: la costruzione di infrastrutture nell’area del Kashmir e la modifica all’articolo 370 della Costituzione Indiana[10], con cui il Kashmir ha subito la revoca dello status di “regione speciale”, determinando la creazione di due diversi stati: Jammu e Kashmir (il nome formale del Kashmir),dotato di un proprio organo parlamentare, e Ladakh, privo di parlamento.
Il Dragone è particolarmente preoccupato per la presenza buddista proprio in quest’ultima area amministrativa, che potrebbe indirettamente rafforzare i tibetani guidati dal Dalai Lama in chiave anti-cinese. Ciò potrebbe generare una reazione a catena, portando al risveglio di un’altra minoranza, gli Uiguri musulmani dello Xinjiang[11]. La costruzione di infrastrutture in prossima del confine, inoltre, rafforza le possibilità di approvvigionamento dell’esercito indiano in caso di conflitto.
Una escalation di tensione non è auspicabile nemmeno per l’India. La terza economia del mondo è ancora gravemente alle prese con la gestione dell’epidemia di coronavirus, la quale ha causato un drastico calo della produzione industriale e il collasso del settore terziario[12]. Inoltre, l’indipendenza economica indiana da Pechino è elevata. Basti pensare che gli investimenti cinesi in India erano pari, alla fine del 2019, a 8 miliardi di dollari, di cui solo 4.22 miliardi verso il comparto del tech, principale volano dell’economia indiana, e che Nuova Delhi dipende per il 70% dalle forniture medico-farmaceutiche cinesi. [13]
Sebbene l’India abbia modernizzato il proprio esercito, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese è considerato superiore sotto il profilo tecnologico. Nel 2019 il budget militare cinese era pari a 177 miliardi di dollari mentre quello indiano di soli 71 miliardi di dollari[14].
Tuttavia, New Delhi mal digerisce le ottime relazioni tra lo storico rivale, il Pakistan, e la Cina. Pechino e Islamabad collaborano su più fronti: dopo la firma nel 2006 di un accordo di libero scambio, nel 2009 la Cina ha aiutato Delhi nella costruzione di due nuovi reattori nucleari ad uso civile e nel 2013 è stato inaugurato il Corridoio economico sino-pakistano, parte della più ampia della Via della Seta[15]. Sebbene l’economia pakistana sia in grave crisi (il che non lo rendo un efficiente alleato nel caso di uno scontro con l’India), Delhi teme che Islamabad possa comunque approfittare di un impegno militare indiano contro Pechino per avanzare nel suo stesso territorio.
Il confine digitale anti-cinese
Sulla scia degli scontri, L’India ha deciso di bannare TikTok, Wechat e altre 57 applicazioni “made in China”, ritenendole un pericolo per la sovranità e sicurezza del Paese[16]. Sono circa 450 milioni gli utenti indiani che dagli inizi di luglio non possono più utilizzare queste app, tra le quali la sola TikTok contava 200 milioni di utenti fissi, installata 611 milioni di volte solo in India[17]. Al di là delle motivazioni addotte, è chiaro che quanto voluto da New Delhi sia un chiaro atto di retaliation di nuova generazione, con il quale il cyber diviene inequivocabilmente il nuovo terreno delle contese geopolitiche.
L’attacco alle app cinesi si inserisce, tuttavia, in un quadro molto più ampio. Già in aprile Modi aveva annunciato delle restrizioni agli investimenti diretti esteri realizzati dai paesi confinanti. Dal momento che sia gli investimenti provenienti dal Pakistan che dal Bangladesh erano stati già oggetto di limitazioni, era chiaro come il target di New Delhi fosse Pechino. [18] Inoltre, nel paese, dopo gli scontri alla frontiera, cresce il sentimento anti-cinese e numerose sono state, negli scorsi mesi, le dimostrazioni – anche violente – contro la Cina e Xi Jinping.
La reazione cinese è stata diplomatica ma decisa. Il 14 agosto, il Ministro degli Esteri Wang Yi ha raggiungo Lahsa e, nel corso della visita ha sottolineato, i progressi economici e sociali compiuti dal Tibet sotto la dirigenza del PCC[19]. Pechino ha indirettamente ribadito la ferrea volontà di mantenere la propria sovranità nazionale sull’area. Un segnale chiaro per New Delhi: le montagne sono alte ma l’imperatore non è lontano.
Note
[1] CUDA E. (2020) “India – Cina: ‘giochi’ pericolosi sul tetto del mondo”, https://www.lindro.it/india-cina-giochi-pericolosi-sul-tetto-del-mondo/
[2] KRISHNAN A. (2020), “Line of Actual Control: India-China: the line of actual contest”, https://www.thehindu.com/news/international/line-of-actual-control-india-china-the-line-of-actual-contest/article31822311.ece
[3] SWISSIFNO (2020): “Scontro confine India-Cina: 20 soldati indiani uccisi secondo Delhi”, https://www.swissinfo.ch/ita/tutte-le-notizie-in-breve/scontro-confine-india-cina–20-soldati-indiani-uccisi-secondo-delhi/45836382
[4] IL POST (2020) “ Una vecchia disputa territoriale tra India e Cina è diventata violenta”, https://www.ilpost.it/2020/06/16/india-cina-confine-disputa/
[5] ROSSI E. (2020), “India-Cina. Perché una guerra è improbabile (per ora)”, https://formiche.net/2020/06/cina-india-cuscito/
[6] RUTIGLINO MARIA G. (2020),“Sale la tensione tra India e Cina: 20 soldati indiani uccisi al confine”, https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/06/17/sale-la-tensione-india-cina-20-soldati-indiani-uccisi-al-confine/
[7]ASKANEWS (2020), “Cina-India, accordo per diminuire tensioni lungo confine himalayano”, https://www.askanews.it/esteri/2020/07/02/cina-india-accordo-per-diminuire-tensioni-lungo-confine-himalayano-pn_20200702_00043/
[8] HE L.(2020), “China and India are sparring but neither can afford a full-on trade war”, https://edition.cnn.com/2020/07/03/economy/china-india-trade-war-intl-hnk/index.html
[9] VERNETTI G. (2020), “Passaggio all’India. Il piano degli Usa per “sostituire” la Cina” “ https://www.huffingtonpost.it/entry/passaggio-allindia-il-piano-b-degli-usa-ai-ferri-corti-con-la-cina_it_5f1b07aec5b6128e682535a1
[10] BECHIS F. (2020), “Cosa si cela dietro lo scontro India-Cina. Parla Bery (Eurasia Group)” https://formiche.net/2020/06/scontro-india-cina/
[11] BORDONARO V. (2020), “Cina, India o Pakistan. Chi prenderà l’eredità del Maharaja del Kashmir?” https://www.glistatigenerali.com/asia_geopolitica/cina-india-o-pakistan-chi-prendera-leredita-del-maharaja-del-kashmir/?fbclid=IwAR11jgwfGOSB9JURXOGTiGj7GCIZNBpRG0qsFH7wUX9gIC0VQezdAwQpRIY
[12]HE L.(2020), “China and India are sparring but neither can afford a full-on trade war”, https://edition.cnn.com/2020/07/03/economy/china-india-trade-war-intl-hnk/index.html
[13] SPUTINIK NEWS (2020),“Gioverà all’India la virata cinese verso Occidente?”, https://it-sputniknews-com.cdn.ampproject.org/v/s/it.sputniknews.com/amp/politica/202008129411557-giovera-allindia-la-virata-cinese-verso-occidente/?usqp=mq331AQFKAGwASA%3D&fbclid=IwAR3VCXWfHf7NO_bm0RMDKbjyp7anmlWp0rHAK44UZHpKnzLR-doozG22hGs&_js_v=0.1#aoh=15989044480534&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&_tf=From%20%251%24s&share=https%3A%2F%2Fit.sputniknews.com%2Fpolitica%2F202008129411557-giovera-allindia-la-virata-cinese-verso-occidente%2F
[14] SHUKLA S.(2020), “How India and China stack up in terms of military capability”, https://theprint.in/defence/how-india-and-china-stack-up-in-terms-of-military-capability/443991/?fbclid=IwAR0poqlP88IQyp3oVL5PY9JksV1xndtRBLseqGnlDXq3kl0sHOFjCf6roL0
[15] TRAMBALLI U.(2020), “ Cina-India: scontri al confine e volontà di potenza” https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-india-scontri-al-confine-e-volonta-di-potenza-26548
[16] SIMONETTA B. (2020), “L’India mette al bando TikTok, WeChat e altre 57 applicazioni cinesi”, https://www.ilsole24ore.com/art/l-india-mette-bando-tiktok-wechat-e-altre-57-applicazioni-cinesi-ADofGNb
[17]MIAVALDI M. (2020), “ La vendetta digitale di New Delhi: al bando 59 app cinesi”, https://ilmanifesto.it/la-vendetta-digitale-di-new-delhi-al-bando-59-app-cinesi/
[18]HARSH V. P., NANDNI S. (2020), “India Cracks Down on Chinese Investment as Mood Turns Against Beijing” https://foreignpolicy.com/2020/04/28/india-china-fdi-restrictions-coronavirus/
[19] CGTN (2020), “Wang Yi calls for strengthening security and development of Tibet” ,https://news.cgtn.com/news/2020-08-15/Wang-Yi-calls-for-strengthening-security-and-development-of-Tibet-SYyOHiQmyc/index.html
Foto copertina:Financial Times