La legittima difesa e l’eccesso colposo alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali; l’art. 52 c.p. come novellato dalla n. 36 del 2019.


La disposizione normativa di cui all’art. 52 c.p. è stata spesso oggetto delle attenzioni del Legislatore, il quale ha perseguito obiettivi specifici di politica criminale apportandone modifiche.


 

L’art. 52 c.p. disciplina una causa di giustificazione del reato, la quale incide sull’aspetto oggettivo dell’antigiuridicità del fatto tipico, essendo volta a legittimare la condotta difensiva della vittima da un pericolo di offesa attuale, ingiusta e concreta per la propria ed altrui incolumità, nonché per il proprio patrimonio.
La norma in esame, quindi, fonda i suoi presupposti applicativi sul binomio costituito dall’attualità della condotta offensiva ingiusta (ossia contra jus) e dalla proporzionalità tra offesa e reazione difensiva, considerando a tal fine le modalità concrete con cui l’aggressione è stata posta in essere.
Si può affermare, pertanto, che una condotta difensiva per essere scriminata deve superare il vaglio di proporzionalità del giudice, al cui esito la reazione difensiva – considerate le varie possibilità di difesa – deve risultare come l’unica in grado di respingere quella particolare offesa; tale giudizio di proporzionalità si fonda sull’analisi delle circostanze concrete, oggettive e soggettive, connotanti il fatto storico oggetto di giudizio.
La normativa delle scriminanti è razionalizzata dalla luce della previsione di cui all’art. 55 c.p. – norma di chiusura dell’intero micro sistema delle scriminanti – che disciplina l’eccesso colposo nel porre in essere una condotta difensiva; il richiamato disposto sancisce la punibilità della vittima a titolo di colpa nel caso in cui, nel reagire all’offesa, il soggetto passivo dell’aggressione ecceda colposamente i limiti stabiliti dalla legge o imposti dalle necessità concrete di difesa dall’affronto, divenendo egli stesso soggetto attivo di un altro e diverso reato, legato nello spazio-tempo al primo ma in grado di integrare un diverso illecito penale.
Il quadro normativo sopra delineato comportava un ruolo centrale della discrezionalità del giudice nell’accertamento del fatto concreto e, quindi, nell’applicazione delle scriminanti, il cui perimetro applicativo nel tempo è stato eroso in maniera progressiva dai plurimi interventi del Legislatore Penale.
Segnatamente, l’art. 52 c.p. ha subito una prima modifica con la Legge n. 59/2006, che ai commi secondo e terzo ha disciplinato la cd. «legittima difesa domiciliare», introducendo una presunzione relativa di proporzionalità tra offesa e reazione difensiva quando l’aggressione all’incolumità o al patrimonio avvenga nei luoghi di privata dimora, secondo le modalità di cui all’art. 614 c.p.
A tale disciplina, volta ad ampliare le possibilità di reazione scriminata per i cittadini, è seguito l’intervento legislativo posto in essere con la Legge n. 36/2019 che ha gravato su un elemento fondamentale della scriminante in esame, ossia sul giudizio di proporzionalità tra offesa e reazione difensiva della vittima.
Mediante la richiamata novella, il Legislatore ha introdotto una presunzione di proporzionalità tra reazione ed offesa, utilizzando avverbi linguisticamente inequivocabili come «sempre», nei casi di aggressioni alla propria od altrui sfera personale o patrimoniale nella propria abitazione, luogo di lavoro o pertinenze, nonché nei casi in cui la vittima sia stata costretta a difendersi da un’intrusione perpetuata con violenza o minaccia armata o coazione fisica.
La Legge n. 36/2019, altresì, ha modificato l’art. 55 c.p., inserendo al secondo comma una causa di non punibilità in senso stretto, secondo cui la punibilità è sempre esclusa nel caso in cui la vittima, che versi in condizioni di minorata difesa – ex art. 61 n. 5 c.p. – od in stato di grave perturbamento determinato da un pericolo in atto, ecceda colposamente i limiti della legittima difesa come delineati ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 52 c.p., ossia nei casi di legittima difesa domiciliare.
Il coacervo di interventi novellistici aventi ad oggetto l’originario disposto normativo di cui all’art. 52 c.p. ha reso la relativa scriminante inintelligibile alla molteplicità dei consociati – nel cui interesse il pactum giuridico è rivolto – e di non immediata comprensione agli stessi operatori del diritto.
La riforma apportata dalla Legge n. 36/2019, infatti, sembrerebbe stravolgere un perno fondamentale della disciplina della scriminante in parola, introducendo una presunzione di legittimità della difesa che aspira ad essere assoluta, mediante una forte limitazione del potere discrezionale del giudice. 
La novella in esame, sembra essere, ancora una volta, il risultato di una scelta di politica criminale tesa ad assecondare gli istinti del corpo elettorale in luogo, invece, di un ponderato e sereno bilanciamento tra il diritto di difesa legittima ed il monopolio punitivo dello Stato.
La nuova legittima difesa, infatti, sembra distaccarsi dai principi classici del diritto penale liberale, creando una netta distinzione tra vittime e carnefici, con una notevole disparità di diritti e imprevedibilità delle conseguenze giuridiche che possono derivare da una presunzione di indiscutibile legittimità della difesa.
Quanto detto trova conforto nell’analisi letterale del riformato testo dell’art. 52 c.p; l’utilizzo dell’avverbio «sempre» nei commi 2, 3 e 4 dell’art. 52 c.p. non garantisce un sufficiente grado di prevedibilità, rendendo la norma suscettibile di applicazioni inimmaginabili, data la scarsa precisione che il testo assume a causa del summenzionato avverbio. Tale scelta legislativa pare in contrasto con i principi di precisione e prevedibilità delle norme penali, i quali altro non sono che i principali corollari del principio di legalità quali.
Alla luce del novellato art. 52 commi 2, 3 e 4 c.p. la parte posta nella condizione di difendersi potrebbe ritenersi sempre legittimata ad autotutelarsi senza alcun discernimento razionale del fatto concreto, reputandosi, per tale via, autorizzata a reagire senza il minimo raziocinio ricorrendo anche all’utilizzo di mezzi o azioni sproporzionate rispetto all’offesa che concretamente in atto.
Il Legislatore, con l’originaria formulazione dell’art. 55 c.p., aveva ritenuto necessario prescrivere un monito ai privati obbligati a difendersi: non profittare delle situazioni di aggressione per lasciarsi andare agli istinti più beceri, ambendo sempre a difendersi con ragionevolezza al fine di non subire la mutazione soggettiva da persona offesa dal reato a soggetto agente cui poter ascrivere il disvalore giuridico di una condotta illecita.
La riforma degli artt. 52 e 55 c.p. ex Legge 36/2019 sembra aver dato i natali a norme espressive di un diritto penale totalmente soggettivo. Il combinato delle summenzionate disposizioni, non solo, pare aver creato una categoria di soggetti destinatari di un regime giuridico le cui sorti sono affidate all’autotutela del privato, per quanto ed ancor di più, si accompagna all’eco di una possibile violazione dell’art. 3 della Costituzione, originando un’irreale demarcazione tra vittime e carnefici, del tutto avulsa dalla realtà e dai principi di un diritto penale del fatto e non della persona.
Le richiamate criticità conseguenti alla modifica normativa degli artt. 52 e 55 c.p. sono state arginate – o forse sarebbe più corretto asserire aggirate – in alcune pronunce della Giurisprudenza di merito e di Legittimità. Tale operazione ermeneutica è stata possibile attraverso il ricorso e l’applicazione di quei pochi parametri oggettivi su cui il giudice penale è chiamato a soffermarsi in sede di indagini e di giudizio al fine di verificare l’eventuale sussistenza dei presupposti concreti in grado di integrare le presunzioni di cui agli artt. 52 e 55 c.p.

Gli Ermellini[1] hanno affrontato le problematiche riguardanti l’operatività del nuovo art. 52 c.p., al fine di individuare e cristallizzare un principio in grado di fornire delle coordinate interpretative nei casi di legittima difesa domiciliare. L’ avverbio «sempre» indurrebbe a pensare che sarebbe bastevole una qualsiasi introduzione illegittima nell’altrui domicilio per perfezionare e consumare la presunzione di legittimità della difesa.
Tuttavia, come precisato dalla Suprema Corte, a tal fine non è sufficiente una semplice intrusione, bensì, è necessario valutare la modalità concreta con cui la stessa avviene, in un accertamento non precluso al giudice. 
Infatti, sebbene al giudice sia in parte impedito il vaglio di proporzionalità della reazione difensiva, per questi è sempre possibile accertare che nel caso concreto si siano effettivamente realizzati i presupposti in grado di azionare ed integrare la presunzione di cui al novellato art. 52 c.p.
Sulla scorta di tali premesse, la Cassazione ha statuito che la scriminante di cui all’art. 52 c.p. non legittima una indiscriminata reazione difensiva nei confronti di un soggetto che si introduca in maniera fraudolenta nella dimora altrui, ma presuppone un attacco alla propria o altrui incolumità nell’ambiente domestico, nonché un pericolo di aggressione.
In conclusione, la Corte ha stabilito che per azionare la presunzione di legittimità della difesa domiciliare è necessario che l’intrusione nell’altrui domicilio avvenga con modalità di tipo violento o minatorio; tali circostanze devono esser verificate in concreto essendo la presunzione di cui all’art. 52 c.p. di tipo relativo e non assoluta.

Le perplessità dell’interprete si implementano dinanzi alla novellata disposizioni di cui all’art. 55 comma 2 c.p.; la norma in parola prevede l’esclusione della pena nel caso di eccesso colposo di legittima difesa domiciliare in presenza di un duplice presupposto, rispettivamente da individuarsi nello stato di minorata difesa ex art. 61 n.5 c.p., o in stato di grave perturbamento causato dal pericolo in atto.

Lo stato di minorata difesa consiste, in ossequio alla consolidata Giurisprudenza di Legittimità , in circostanze di tempo e luogo oggettive che non consento alla vittima di reagire con una difesa proporzionata al tipo di aggressione subita. Tali condizioni, a parer del Legislatore, permettono di poter ritenere non punibile un eccesso colposo di legittima difesa. Tuttavia, la richiamata valutazione non deve esser condotta non in astratto ma in concreto, al fine verificare se al momento della reazione difensiva l’agente si trovasse in una condizione minorata rispetto all’azione aggressiva altrui, la quale, deve avvenire nelle modalità descritte dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 52 c.p.

Maggiori complessità, invece, insistono sulla ricostruzione del secondo presupposto in grado di integrare la causa di non punibilità di cui all’art. 55 co. 2 c.p., ossia stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto in cui ha agito il soggetto.

La prima problematica relativa a tele elemento riguarda la stessa formulazione adoperata dal Legislatore, la quale appare poco determinata da un punto di vista linguistico afferendo la sola sfera psicologica dell’aggredito/agente.

La norma tratteggia lo stato di grave perturbamento definendolo come lo stato psicologico in cui versa il soggetto aggredito nel momento in cui percepisce il pericolo in atto; la minaccia alla propria e altrui incolumità, dunque, deve perdurare per tutto il tempo dell’azione aggressiva e dell’azione difensiva.

Il protrarsi del pericolo e dell’azione aggressiva, quindi, deve esser tale da non consentire all’aggredito una lucida ponderazione dell’effettiva gravità e della reale modalità dell’aggressione, in conseguenza della quale la vittima dell’aggressione è costretta ad agire in modo rapido ed efficace. Il perdurare del pericolo causato dall’altrui condotta non dovrebbe permettere all’aggredito una valutazione delle varie opzioni difensive a disposizione impedendo allo stesso di poter optare per una modalità di reazione più proporzionate. Proprio la repentinità che connoterebbe un fatto del genere, quindi, non dovrebbe consentire la scelta di un altro metodo di reazione né una migliore valutazione dell’azione. Tali aspetti precipui della condotta difensiva posta in essere dall’aggredito ai sensi dell’art. 55 co. 2 c.p. restano oggetto del discernimento del giudice penale, non essendone dalla norma in parola precluso il riscontro probatorio sia in sede di indagine sia nel corso dell’eventuale processo.

In conclusione, si può evincere che la causa di non punibilità di cui all’art. 55 comma 2 c.p – a differenza dell’intentio legis manifestata nelle comunicazioni che alla sua stesura si erano accompagnate ed alla scelte lessicali adoperate nell’elaborazione della novella – non opera «sempre». Infatti, resta ferma la necessità per il giudice penale di verificare i presupposti di fatto tipizzati nella norma in esame: lo stato di perturbamento deve essere forte, dirompente e derivante dalla percezione di pericolo concreto e attuale che deve perdurare per tutto il tempo del fatto.
Un indice sintomatico di tale presupposto è il lasso di tempo intercorrente tra la percezione del pericolo e la reazione allo stesso, il quale deve esser declinato in considerazione delle alternative difensive a disposizione della vittima dell’aggressione in quel particolare frangente temporale. In caso contrario, ossia nell’ipotesi in cui il pericolo cessi consentendo all’aggredito una valutazione dei fatti più razionale ed una ponderazione delle opzioni di reazione difensiva a disposizione, la causa di non punibilità potrebbe non operare, venendo meno i presupposti fondamentali dell’attualità del pericolo e dello stato di grave perturbamento.


Note

[1] Corte Cass., Sez. 5, sentenza n. 40414 del 2019.


Foto copertina:Immagine web. Studio Angius

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