La concorrenza cinese: una grande sfida per l’Europa


La strategia di Pechino, il rapporto di Mario Draghi e gli studi di Agatha Kratz.


 A cura di Francesca Pistone

“Il paradigma globale precedente sta svanendo. L’era della crescita veloce tramite il commercio globale sembra finita, con le aziende europee che si scontrano con una competizione più aspra dall’estero e con un accesso limitato ai mercati oltremare”.
“L’Europa deve affrontare un possibile trade-off. Una crescente dipendenza dalla Cina potrebbe offrire la strada più economica e efficiente per raggiungere i nostri obbiettivi di decarbonizzazione. Ma la competizione sponsorizzata dallo stato rappresenta anche una minaccia alle nostre industrie greentech e automobilistiche”.
“L’Europa esiste per assicurare agli europei di potere godere di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non potesse più fornirli alla sua gente- o dovesse scambiarli gli uni con gli altri-avrà perso la sua ragion d’essere1”.
Queste citazioni dal rapporto di Mario Draghi “Il futuro della competitività Europea” dipinge numerose volte la Cina come un importante rivale strategico. Sui giornali si sente parlare di nuovi dazi sui prodotti cinesi e di crescenti tensioni con Pechino[1]. Come è nata questa dipendenza dalla Cina? Quali sono le conseguenze e le possibili soluzioni? 

Come ha fatto la Cina a diventare un attore così importante sulla sfera internazionale e i suoi prodotti a essere così competitivi?

Agatha Krats e Francesca Pistone
Agatha Krats e Francesca Pistone

Tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso la Cina usciva da una crisi profonda causata da anni da guerre civili e politiche che hanno causato fame e distruzione in tutto il paese. All’epoca la quasi maggioranza della popolazione viveva sotto la soglia di povertà e il sistema economico era fedele all’ ideologica comunista dove la proprietà e l’iniziativa privata erano bandite. Fu dopo l’arresto dalla “banda dei quattro”, accusata dei crimini della Rivoluzione Culturale, e la presa di consapevolezza dei limiti di questo tipo di sistema che fece la sua ricomparsa sulla sfera politica cinese Deng Xiaoping. Le sue quattro modernizzazioni e la graduale ripristino delle dinamiche di mercato hanno risollevato l’economia cinese che dispone naturalmente di materie prime e numerosa manodopera. Queste furono l’inizio di una serie di politiche economiche che in pochi anni resero possibile il così detto miracolo economico cinese con il fine di compiere il sogno del Partito Comunista di rinascita nazionale[2].
Quello che però rende l’economia cinese competitiva sta in realtà nel proprio modello politico. La Cina è considerato un grande avversario per le potenze occidentali non solo per la competizione economica ma anche e soprattutto sistemica. La liberazione economica avvenuta alla fine del secolo scorso non si è tradotta nell’esclusione dello stato nelle dinamiche di mercato o nelle altre sfere della società di cinese. Questo sistema è efficiente e competitivo perché il Partito Comunista Cinese non ha limiti nel controllo della propria popolazione in ogni sfera della vita pubblica e privata ed è in grado di focalizzare tutte le energie di uno stato immenso e ricco di materie prime al fine dei bisogni del momento. A differenza delle democrazie inoltre, le autorità politiche cinesi hanno una stabilita e uno spazio di manovra che permette di governare nel modo più efficiente possibile. La libertà di cui si parlava, soprattutto limitata al punto di vista produttivo e commerciale, è stata circoscritta e contenuta solo per dare lo spazio minimo all’iniziativa privata di liberare le immense capacità produttive della Cina. Si parla di una vera competizione sistemica tra democrazia, che valorizza certi valori e certi standard contro una dittatura che però ha dimostrato di essere molto efficiente, sicuramente nel raggiungimento di obbiettivi economici.

La strategia economica utilizzata dalla Cina che secondo Agamennone Edoardo, ricercatore al Turing World Affairs Institute e direttore del TOChina Summer School Business Program, ha permesso la grande ricrescita avvenuta a cavallo del nuovo millennio consiste nei piani di concentrazione forzata. Questo strumento consiste nel fondere insieme aziende pubbliche con quelle private attraverso l’intervento diretto (tramite l’acquisto di frazioni di capitale delle aziende) o indiretto dello stato. Questo era funzionale a riunire le allora numerosissime nuove aziende private cinesi che non avevano possibilità di competere sul mercato interno e estero in più grandi campioni nazionali. Due sono state le campagne di piani di concentrazione forzata dal 2000 e hanno ben raggiunto il loro scopo trasformando queste imprese cinesi in campioni anche all’estero.
Queste politiche hanno riguardato i settori strategici e emergenti come quelli dei trasporti, spaziale, automobilistica e di quello delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale ma anche in settori meno centrali.
Si può dire che da dopo la crisi di piazza Tienanmen e soprattutto dalla salita al potere di Xi Jinping il ruolo del Partito nell’economia è stato sempre più pervasivo fino al 2017 con l’adozione della nuova Legge sulla cybersicurezza, che permette alle autorità cinesi di poter controllare le azioni di tutte le aziende cinesi oltre che fornire da base per la partecipazione attiva delle autorità nella loro governance.

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La grande partecipazione dello stato nell’economia e nei meccanismi di mercato, un efficiente sistema di orientamento delle energie del paese unito agli aiuti alle aziende più competitive permettono alla Cina di affacciarsi sul mercato internazionale con notevoli vantaggi. Bisogna senz’altro ricordare anche che la mancata aderenza di standard di protezione e di sostegno ai lavoratori e ambientali abbassa notevolmente i costi di produzione rispetto a quelle europee. Se a tutti questi fattori si aggiungono le restrizioni delle aziende e degli investimenti esteri in Cina si spiega come mai la strategia economica cinese è considerata altamente competitiva e un pericolo per l’integrità dell’ordine internazionale[3].

Quali rischi rappresenta la concorrenza cinese per l’Europa?

La dipendenza europea della Cina consiste nel gap tra lo sviluppo nel settore tecnologico. E’ importante investire in questo settore perché nuove e sempre più sofisticate tecnologie sono necessarie per lo svolgimento di attività quotidiane ma anche per il raggiungimento di obbiettivi di sostenibilità come il Green Deal. L’Europa non ha seguito il passo di Stati Uniti e Cina e per questo ha contato sulle importazioni dall’estero. L’Unione tuttavia si trova vulnerabile sia alla possibile fluttuazione dei prezzi, che possono anche essere provocati volontariamente dalle autorità cinesi come misura coercitiva. Quello che preoccupa è l’allineamento sistemico di Pechino rispetto all’Europa. La minaccia di interrompere lo scambio di questi beni sensibili può essere usata come arma per interferire con la macchina democratica dei paesi membri e minare all’indipendenza dell’UE (vedi nota 1).

Che cosa sta facendo l’Europa?

In questo ultimo anno l’Europa si è allineata alle misure prima intraprese dagli Stati Uniti che consistono specialmente nell’imposizione di dazi nei settori in cui la concorrenza con la Cina è più forte, come quella automobilistica. Questo luglio l’Europa ha imposto dazi sulle EV cinesi del 15% ma e ora sono stati aumentati al 45%; e questi ultimi rappresentano un concreto disincentivo per le aziende cinesi di esportare in Europa. Su questo tema è evidente la spaccatura tra Francia e Germania, la prima in favorevole all’inasprimento dei dazi mentre la seconda, che vede nella Cina un terzo delle sue vendite nel settore automobilistico, condanna un possibile inizio di una guerra commerciale. In effetti, una contromisura da Pechino che limiti l’accesso delle auto tedesche sul mercato cinese potrebbe significare una perdita importante per la prima economia europea.
Durante un evento organizzato dal Turin World Affairs Institute tenutosi questa estate ho raccolto l’opinione di Agatha Kratz, direttrice del Rhodium Group esperta di relazioni EU-Cina e di economia cinese, sull’eventualità che le autorità europee prendano in considerazione tagli ai bilanci destinati alla tutela ambientale o ai diritti dei lavoratori per abbassare i costi di produzione; l’esperto ha risposto che fortunatamente gli Stati membri stanno andando nella direzione opposta, escludendo dal mercato quei prodotti realizzati con processi non sostenibili né per le persone né per l’ambiente.

Cosa può si può fare di più?

Agatha Kratz, nel suo paper Ain’t No Duty High Enough[4] del 29 aprile 2024 riporta delle strategie alternative all’inasprimento dei dazi che Bruxelles potrebbe considerare per contrastare la concorrenza cinese, in particolare nel settore delle auto elettriche.
Nel paper si fa riferimento a tutta un serie di misure volte ad aggiungere criteri di accesso al mercato europeo, ad esempio di cybersicurezza, di rispetto dei diritti dei lavoratori e di sostenibilità, quindi escludendo tutti quei beni che presentano sensori e telecamere considerate nocive per i cittadini europei o che sono prodotti attraverso pratiche di sfruttamento del lavoro e inquinanti. Una seconda proposta è quella di rivedere i sussidi per l’acquisto di auto elettriche; molti paesi membri offrono sussidi per incentivare i propri cittadini a passare all’acquisto di auto elettriche ma escludendo da questi aiuti i beni cinesi significherebbe colpire duramente la loro domanda in Europa.
Nel rapporto di Mario Draghi sul futuro della competitività europea si porta attenzione sulla necessità di far crescere la produttività interna in modo da poter contare su una maggiore autoproduzione e conseguentemente di proteggere i paesi membri dalle vulnerabilità di dipendere solo dalle forniture cinesi. Nel rapporto si indica che per finanziare un piano per l’innovazione e la produttività delle industrie strategiche europee sarà necessario aggiungere ai normali investimenti annuali intorno agli 800 miliardi di euro possibile solo con un ordinato intervento pubblico e un piano condiviso a livello europeo.
La concorrenza cinese si pone come una grande sfida per l’Europa e può minare alla sua indipendenza e sopravvivenza. Ci sono margini di successo ma per mantenere l’Europa una potenza indipendente e attiva nella sfera internazionale i paesi membri dovranno cercare di cooperare e focalizzarsi sui bisogni e diritti comuni dei cittadini europei[5].


Note

[1] Auto elettriche cinesi, Stati Ue divisi sui dazi al 45%.Germania: «No a guerre commerciali con Pechino»  
[2] “Breve storia della Cina”  di Linda Jaivin – Bompiani
[3]Cina; Prospettive di un paese in trasformazione di Giovanni B. Andornino – Il Mulino
[4] https://rhg.com/research/aint-no-duty-high-enough/
[5] “Europa sovrana. Le tre sfide di un mondo nuovo”
di Paolo Guerrieri, Pier Carlo Padoan – Laterza edizioni