Tortura e trattamenti inumani e degradanti lungo la rotta balcanica


Il Border Violence Monitoring Network ha di recente rilasciato un report annuale sui trattamenti e le violenze delle forze di polizia lungo la rotta balcanica. Il quadro che emerge dalle testimonianze dei migranti e dai monitoraggi effettuati restituisce una lunga catena di abusi impuniti e respingimenti illegali.


 

La Convenzione contro la tortura

La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1984 ed entrata in vigore nel giugno del 1987. Il testo della suddetta definisce la tortura “qualsiasi atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate[1]’’.

La Convenzione non pone in capo agli Stati parte esclusivamente obblighi di natura negativa, non si limita a prevenire ed evitare simili comportamenti, ma tesse una rete di obblighi di natura positiva di straordinaria importanza, tra i quali il dar seguito alle indagini, il non dar luogo ad impunità e così via. Tra gli ulteriori strumenti in materia, anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sancisce il divieto di tortura e/o di trattamenti inumani e degradanti[2].

Border Violence Monitoring Network

Quanto accade lungo la rotta balcanica non è purtroppo una novità, ma una questione decennale. Le politiche migratorie messe in campo dall’Unione europea, l’accordo siglato con la Turchia nel 2016, i continui respingimenti che di fatto negano il diritto all’asilo e bloccano migliaia e migliaia di persone nei Balcani, la mancanza di un’azione comune e di un piano congiunto, dipingono un quadro poco rassicurante. Quanto ancora continuerà il tentativo di ergere muri alle frontiere esterne dell’Unione europea? Quanto ancora continuerà questo livello di violenza nel cuore del continente[3]?

Violenza, abusi, tortura, trattamenti inumani e degradanti, respingimenti. I temi di cui si occupa il report relativo al 2020 rilasciato di recente dal Border Violence Monitoring Network[4]. Il lavoro di ricerca si concentra principalmente sui respingimenti dalla Croazia e dalla Grecia, esaminando sei diversi tipi di violenza e tortura: uso eccessivo e sproporzionato della forza, utilizzo di armi a scarica elettrica, nudità forzata, minaccia e violenza con armi da fuoco, trattamenti inumani in veicoli della polizia e all’interno di strutture detentive. I dati raccolti dal BVMN sulla Croazia, 124 testimonianze di respingimenti riguardanti 1827 persone, mostrano un pattern preoccupante e l’utilizzo di almeno una forma di tortura fino all’87% dei casi. Per quanto riguarda l’utilizzo della forza, il BVMN ha osservato un netto peggioramento rispetto al 2019, per l’intensità, la severità e la lunghezza della aggressioni. Diverse testimonianze parlano infatti di pestaggi con bastoni, calci, schiaffi, ossa rotte e ferite gravi[5].

In nessuno di questi casi, con tutta evidenza, è possibile applicare il principio di un uso legittimo della forza, di conseguenza diverse sono le violazioni riscontrabili. Il BVMN ha inoltre osservato l’utilizzo continuo di armi a scarica elettrica anche nel 2020, tattica punitiva e coercitiva in situazioni che non ne giustificano l’utilizzo e nei confronti di persone condiscendenti e che non costituiscono alcuna minaccia.

La violazione del divieto di tortura e/o trattamenti inumani o degradanti è peraltro resa palese dalla negazione, alle vittime, di qualsiasi follow-up medico e di qualsiasi indagine sull’uso sproporzionato delle armi in questione[6]. Riscontrabile nel 45% dei respingimenti condotti dalle autorità croate, la costrizione alla nudità è un’altra delle tecniche adottate alle frontiere.

Questa riguarda tutti in maniera indistinta, compresi i minori, e spesso si accompagna alla distruzione degli abiti e di altri effetti personali e alla forzatura, all’umiliazione, di far attraversare alle persone coinvolte il confine completamente svestite. Così come per le armi a scarica elettrica, anche le armi da fuoco vengono utilizzate allo scopo di minacciare o intimidire le persone in transito.

A tal proposito, scaricare le armi in aria, sparare ai piedi delle persone in fila, puntare le armi da fuoco provocherebbe una sofferenza psicologica tale da rientrare in una violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti[7]. Ancora, il perpetuarsi di trattamenti inumani e degradanti all’interno di veicoli della polizia è stato osservato fino al 41% di tutti i respingimenti dalla Croazia.

Le testimonianze raccolte parlano di guide estreme e pericolose, confino prolungato nei veicoli della polizia, manipolazione della temperatura: una lunga catena di metodi abusivi e punitivi, condizioni estreme in cui è difficile muoversi e respirare. Prima ancora di esser respinte, inoltre, le persone vengono spesso trattenute dalle autorità croate. Oltre alle formali strutture detentive come carceri e stazioni di polizia, il BVMN ha riscontrato l’utilizzo di strutture informali e inadeguate: il 48% delle testimonianze riporta un’esperienza detentiva, di cui il 66% senza accesso al cibo, ad acqua o ad altri servizi igienici. Le condizioni cui le persone vengono sottoposte sono così palesemente non conformi agli standard internazionali[8].

Anche in Grecia la situazione non è delle migliori. Soltanto nel 2020, quasi il 90% di tutti i respingimenti contiene una o più forme di tortura o maltrattamento. Nell’89% dei casi è stato osservato un uso eccessivo e sproporzionato della forza, dall’utilizzo di bastoni di metallo e manganelli a pestaggi prolungati, dall’utilizzo di stivali con punta di ferro all’abuso fisico di donne e bambini[9]. Anche in questo caso, l’utilizzo di armi a scarica elettrica contro soggetti compiacenti ha suscitato notevoli preoccupazioni, compresa l’assenza di qualsiasi assistenza medica. Anche in Grecia, inoltre, le persone vengono costrette a svestirsi prima di esser respinte, spesso esposte al freddo, senza alcun motivo apparente – si tratta, appunto, di persone già in custodia e ampiamente perquisite.

L’utilizzo di armi da fuoco sembra sempre più ‘’normale’’, una pratica riscontrata nel 15% delle testimonianze. Strumenti nei pestaggi, nelle minacce, negli avvertimenti – sempre nei confronti di persone disarmate o vulnerabili. Trattatemi inumani nei veicoli della polizia sono stati riscontrati anche in Grecia. Il BVMN ha regolarmente documentato casi di sovraffollamento e l’utilizzo di veicoli improvvisati come camion freezer o camion merci – tentativo deliberato di evitare controlli amministrativi[10].

Seppur in modo meno approfondito, infine, il BVMN è stato in grado di dimostrare l’utilizzo diffuso della tortura e una lunga serie di abusi anche durante i respingimenti a catena operati da paesi come l’Austria, l’Italia e la Slovenia.

Un ulteriore aspetto interessante evidenziato dal lavoro del BVMN è la risposta delle autorità greche e croate alle denunce avanzate nel corso degli anni dalle persone coinvolte, Ong e giornalisti. Le autorità croate, per esempio, hanno inizialmente tentato di negare il coinvolgimento delle forze di polizia e delle forze speciali nelle espulsioni collettive, per poi cambiare strategia invocando la difesa dei confini e la prevenzione del crimine come elementi giustificatori. Nel corso del 2020, inoltre, è stata avviata una lunga campagna di diffamazione a danno delle organizzazioni in difesa dei diritti umani. E ad alcune delle testimonianze più eclatanti è stata contrapposta la giustificazione dell’incidente isolato.

Al rifiuto di condurre delle indagini serie sull’argomento è stata addotta la motivazione di una mancanza di prove, nonostante di testimonianze e documenti ne siano stati prodotti a iosa[11]. Anche il governo greco, pur con documenti ed evidenze lampanti, si è rifiutato e si rifiuta tuttora di ammettere respingimenti ed espulsioni collettive. Ciò anche in seguito all’intervento dell’UNHCR e dell’IOM, in merito al richiamo di investigare nelle denunce di violenze e abusi prodotte dalle vittime dei respingimenti. In entrambi i casi, dunque, oltre al fallimento negli obblighi negativi derivanti dal divieto di tortura, è possibile osservare l’assenza di qualsiasi interesse nell’assolvere al corpus di obblighi positivi conseguenti e pur necessari. Per quanto ancora gli abusi resteranno impuniti? E per quanto ancora si proverà a voltare le spalle per non affrontare il dramma quotidiano della rotta balcanica?


Note

[1] UN General Assembly, ‘’Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment’’, 1984, art. 1.
[2] Council of Europe, ‘’Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms’’, 1950, art. 3.
[3] Cfr. mio contributo, The game: la rotta balcanica e la violenza alle frontiere, in Opinio Juris. Law & Politics Review, agosto 2020,   rep. su www.opiniojuris.it/the-game-la-rotta-balcanica-la-violenza-alle-frontiere/.
[4] Tutti i dati successivi sono estrapolati da: Border Violence Monitoring Network, ‘’Annual Torture Report 2020’’, maggio 2021, rep. su www.borderviolence.eu/annual-torture-report-2020/.
[5] Ivi, p. 15-16.
[6] Ivi, p. 17-18.
[7] Ivi, p. 20-21.
[8] Ivi, p. 23-25.
[9] Ivi, p. 26-28.
[10] Ivi, p. 34-35.
[11] Ivi, p. 47-48.


Foto copertina: Immagine web

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