L’emergenza sanitaria del Covid-19 in America Latina ha messo in evidenza tutti i problemi strutturali dei paesi latinoamericani. Uno dei più grandi quesiti sul futuro della regione riguarda il suo processo d’integrazione: subirà un ulteriore arretramento o vedrà, nella necessità di una maggiore cooperazione intraregionale, una rinascita?
La pandemia del Covid-19 ha colpito in modo particolarmente duro il continente latinoamericano, attualmente si tratta dell’area geografica che più di tutte ha subito gravemente le conseguenze sanitarie, economiche e sociali dell’emergenza. Lo scenario futuro sembrerebbe suggerire una lenta uscita dalla crisi, con dei dati estremamente preoccupanti.
Secondo le proiezioni della Cepal[1], la disoccupazione nel continente dovrebbe aumentare del 5,4%[2], conseguenza immediata della contrazione economica, con un evidente aumento esponenziale della povertà.
Alle proiezioni economiche va aggiunta una campagna di vaccinazione che prosegue a rilento quasi uniformemente in tutto il continente, con poche eccezioni.
In questo articolo si cercherà di rispondere ad un interrogativo costante sul futuro della regione, quello relativo al suo processo d’integrazione e alle conseguenze che la pandemia ha determinato e determinerà su tale processo.
Una storia di alti e bassi
Spesso si tenta una diretta comparazione tra l’integrazione latinoamericana e quella europea, dovuta anche alla volontà degli stessi paesi latinoamericani di guardare all’Unione Europea come un modello, ma la realtà dell’America Latina ci ha sempre fornito uno scenario altalenante e mai concretamente equiparabile a quello del vecchio continente.
Il processo d’integrazione latinoamericano non può essere non letto sulla base delle relazioni tra i paesi appartenenti a tale blocco e gli Stati Uniti[3], spesso proprio l’impulso di questi ultimi ha dato vita a forme di cooperazione sul piano regionale e sub-regionale.
Progetti d’integrazione nel continente esistevano sin dagli anni delle indipendenze, nella seconda metà dell’ottocento (si pensi al panamericanismo, un’idea fortemente promossa da Washington), ma fu a partire dal secondo dopoguerra che iniziarono a nascere, concretamente, iniziative strutturate.
La creazione dell’Organizzazione degli Stati americani, nata nel 1948 su forte spinta statunitense, rappresentò, senza dubbio, un enorme risultato sul piano dell’integrazione. Durante gli anni della guerra fredda, il nesso tra il processo d’integrazione latinoamericano e i rapporti tra il blocco regionale e gli Stati Uniti, fu ancora più evidente rispetto ai giorni nostri.
Il tentativo, da parte della Casa Bianca, di annettere i paesi latinoamericani all’interno della propria sfera d’influenza nella divisione globale a due blocchi, costituisce la principale chiave di lettura di quegli anni. Infatti, le varie fasi della guerra fredda e delle relazioni tra Washington e Mosca, si traslarono sul continente latinoamericano sulla base dell’importanza che tale regione ricopriva negli equilibri globali.
In particolare, se in una prima fase, quella della creazione dell’OSA, l’America Latina rappresentava un’opportunità per consolidare un blocco politico capace di garantire la sicurezza regionale, con un totale allineamento con l’alleato nordamericano; in una seconda fase, quella della cosiddetta “destalinizzazione” dell’URSS, il blocco regionale passò in secondo piano, fu di fatto dato per scontato dagli Stati Uniti, i quali spostarono la loro attenzione verso l’Europa[4].
Appare evidente come, con la rivoluzione cubana, il continente tornò al centro dell’attenzione nordamericana, questa volta con toni più aggressivi: l’obiettivo non era più promuovere lo sviluppo dell’integrazione regionale, ma garantire l’imposizione di un blocco securitario in chiave anti-sovietica.
Se da un lato il rapporto con gli Stati Uniti e l’atteggiamento di questi ultimi verso il continente, rappresentano una chiave di lettura fondamentale per comprendere le dinamiche dell’integrazione, non vanno però dimenticati i tentativi di sviluppare un regionalismo tutto interno ai paesi latinoamericani.
L’idea del regionalismo si diffuse soprattutto dopo la creazione della Cepal nel 1948 e con l’affermazione della teoria della dipendenza[5]. I primi tentativi di un regionalismo puro ed istituzionalizzato all’interno del continente latinoamericano, si ebbero durante gli anni ’60, attraverso il cosiddetto “regionalismo chiuso”[6]. Molti paesi tentarono di creare delle aree di libero scambio e dei mercati comuni, nacquero iniziative in tal senso sia nel cono sud, sia in America centrale[7]. Sebbene inizialmente vi fu, uniformemente in tutte le iniziative, un chiaro aumento del commercio intraregionale e sub-regionale, successivamente, l’instabilità politica ed economica (nel caso centroamericano si pensi alla guerra El Salvador e Honduras nel 1969), ridimensionò notevolmente il processo, al punto da renderlo un vero e proprio fallimento[8]. Gli anni ’70 furono un periodo di transizione durante i quali non vennero portate avanti iniziative rilevanti sul piano regionale, è evidente che il fallimento dei progetti del regionalismo chiuso degli anni ’60 aveva determinato un brusco arresto per il processo d’integrazione. A peggiorare la situazione, contribuirono gli anni ’80, il cosiddetto “decennio perduto”.
Durante questi anni, il peso della “crisi del debito” colpì duramente la regione latinoamericana. Tutti i paesi del continente, ad eccezione di Cuba, furono costretti ad inchinarsi ad una dura austerità e alle ricette neoliberiste dettate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), con gli Stati Uniti in prima linea. Fu in questo periodo che, attraverso una strategia da molti definita “ultraliberista”, nacque il cosiddetto “Washington Consensus”, il quale aveva come obiettivo primario la ristrutturazione del debito latinoamericano attraverso la deregolamentazione e la stabilizzazione macroeconomica.
Il Washington Consensus divenne per la Casa Bianca, di fatto, una strategia volta ad acquisire e mantenere il proprio potere d’influenza sui paesi del sub-continente, il caso colombiano ne è un chiaro esempio[9]. Allo stesso tempo, gli anni ’80 gettarono le basi della futura “rinascita” del processo d’integrazione. In particolare, fu soprattutto nell’ultima parte del decennio che cominciò a definirsi l’asse portante dell’integrazione del cono sud: la relazione tra Argentina e Brasile.
A partire dagli anni ’90, venne a delinearsi un nuovo modello d’integrazione, diverso da quello degli anni ’60 e più internazionalizzato. Il regionalismo dell’ultimo decennio del XX secolo venne definito “aperto”, in contrapposizione a quello chiuso degli anni ’60, stavolta l’obiettivo era favorire l’uscita della regione dall’isolamento, rendendola aperta al commercio internazionale e competitiva all’interno del processo di globalizzazione[10], che negli anni ’90 subiva una drastica accelerazione. L’integrazione regionale e sub-regionale era accompagnata da un atteggiamento diverso da parte degli Stati Uniti, più aperto e volto ad una seria promozione della cooperazione con i vicini del sud[11]. Ancora una volta, il rapporto con gli USA, costituisce una dinamica imprescindibile nell’analisi del processo d’integrazione latinoamericano. Il più grande risultato di questo periodo, che ancora oggi rappresenta probabilmente la forma d’integrazione più avanzata in tutto il continente, fu sicuramente la creazione del Mercado común del sur (MERCOSUR), attraverso il Trattato di Asunción del 1991. Inizialmente, i paesi che presero parte all’accordo furono Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay; successivamente si aggiunsero Cile, Bolivia, Perù, Colombia, Ecuador, Guyana, Suriname[12] e Venezuela (quest’ultimo sospeso nel 2017).
Il Mercosur aveva come obiettivi, oltre alla creazione di un mercato comune: l’adozione di una politica commerciale comune; la promozione di una posizione comune sul piano internazionale (con particolare riferimento ai grandi forum economici e commerciali internazionali); un coordinamento sulle politiche macroeconomiche e settoriali; l’individuazione di una tariffa esterna comune[13].
Al Mercosur e al NAFTA, si affiancarono altri interessanti meccanismi d’integrazione nel corso degli anni quali: la Comunità Andina[14]; la Celac[15]; l’Alba[16]; l’Unasur[17]; il Prosur[18].
Tanti organismi, poca integrazione
Appare evidente come l’America Latina abbia tentato tante strade per raggiungere un livello d’integrazione minimo, quanto meno paragonabile, sul piano sub-regionale, all’Unione Europea.
Allo stesso tempo, emerge con chiarezza che i tanti progetti messi in campo non hanno raggiunto tale obiettivo, nonostante il continente latinoamericano rappresenti una delle forme di regionalismi più avanzati dopo l’Unione Europea.
L’ondata di entusiasmo e di ottimismo che ha caratterizzato gli anni ’90, con il nuovo regionalismo aperto, ha senza dubbio avviato una nuova fase storica che ha, effettivamente, dato vita a numerose forme nuove d’integrazione sia sul piano regionale che sub-regionale, ma l’andamento ciclicamente altalenante dei vari organismi, non ha mai permesso un completo sviluppo, anzi, ha messo più volte in crisi l’intero processo.
L’esempio più importante, in tal senso, è quello del Mercosur. Tale organismo ha vissuto momenti di gloria e momenti di forte arretramento; sono due gli elementi che permettono di analizzare fino in fondo perché il Mercosur non è mai riuscito a svilupparsi completamente: da un lato le relazioni tra Brasile e Argentina, l’asse portante del Mercosur, che quando hanno vissuto momenti di forte intesa politica e commerciale anche il Mercosur cresceva parallelamente, viceversa, quando gli interessi dei due paesi sudamericani non convergevano, anche il Mercosur subiva un arretramento. In sostanza, quando il Mercosur veniva visto da entrambi i paesi come un organismo strategicamente importante sia per i loro interessi nazionali, sia per quelli regionali, vi era senza dubbio un approfondimento dell’integrazione.
La delusione relativa al non raggiungimento di una completa integrazione attraverso il Mercosur, il quale entrò in crisi nella seconda metà del primo decennio degli anni 2000, fu alla base della proposta di creare un’Unione degli Stati sudamericani che avesse come obiettivo l’integrazione politica. L’Unasur nacque nel 2008 su spinta del Venezuela di Chavez, dell’Argentina di Kirchner e del Brasile di Lula, i tre colossi sudamericani che guidavano il blocco sul piano internazionale (soprattutto Venezuela e Brasile).
Anche l’Unasur, però, non ha mai raggiunto i risultati sperati, da un lato per l’oggettiva mancanza di volontà da parte dei paesi del cono sud nel voler costruire un’effettiva integrazione politica (troppe divergenze anche ideologiche); dall’altro lato, nel tentativo di stabilire una politica regionale attiva su tutti i fronti, la creazione dell’Alba da parte di Chavez e la sua promozione quale alleanza anti-imperialista in chiave anti-statunitense, non permise, sempre, un dialogo proficuo tra i due principali leader della regione, il Venezuela ed il Brasile. In alcuni casi, nonostante i due rispettivi presidenti Lula e Chavez fossero entrambi appartenenti alla sinistra seppur in due forme diverse, i due paesi apparivano quasi come rivali geopolitici e non alleati ideologici.
Se l’Unasur sembrava essere la principale iniziativa d’integrazione promossa dalla Sinistra sudamericana, basata su obiettivi più politici rispetto a quelli più economici e commerciali del Mercosur, il Prosur, di recente creazione (2019), sembra essere la risposta della Destra sudamericana. Promosso, infatti, soprattutto dal Presidente colombiano Duque e dal suo alleato cileno Piñera, il Prosur sembra andare nella stessa direzione dell’Unasur, restando semplicemente un “luogo” per la condivisione di un blocco politico e non per la concreta promozione di un nuovo sistema d’integrazione.
La mancanza di leadership come chiave di lettura
Il processo d’integrazione latinoamericano, come emerge dai paragrafi precedenti, presenta numerose difficoltà, si mostra in modo estremamente eterogeneo e non lascia mai intravedere la concreta possibilità della realizzazione di un blocco politico comune. I principali risultati, soprattutto relativi all’ondata del regionalismo aperto degli anni ’90, hanno contribuito ad aumentare il commercio intraregionale e hanno promosso, in più occasioni, l’adozione di posizioni comuni, in blocchi sub-regionali, sul piano internazionale, nel caso del Mercosur soprattutto nei primi anni[19].
Quando, però, il tentativo di integrazione si è spostato sul piano politico puro, i risultati non sono mai stati soddisfacenti, come si è visto soprattutto nei casi dell’Unasur e del Prosur, ma anche della stessa Alba, la quale, dopo la morte di Chavez, ha vissuto una progressiva marginalizzazione sul piano regionale.
Una chiave di lettura interessante per comprendere perché in America Latina è così difficile raggiungere un livello minimo d’integrazione politica, nonostante i tanti elementi comuni sul piano storico, sociale e culturale che contraddistinguono i paesi dell’area, è quella relativa alla questione della Leadership regionale[20]. Se si analizza l’andamento altalenante dell’integrazione regionale, si nota come, nei momenti in cui alcuni presidenti hanno avuto la capacità e la volontà di promuovere un dialogo profondo e strutturale sul piano regionale, di fatto costruendo una vera e propria politica regionale, vi era una maggiore propensione al regionalismo, viceversa, in assenza di una leadership regionale, il processo ha subito bruschi arresti.
In particolare, durante il primo decennio degli anni 2000, il particolare carisma, la personalità e l’interesse di leader quali Lula in Brasile, o Chavez in Venezuela, verso la politica regionale, aveva permesso non solo una maggiore integrazione, ma anche l’identificazione di un blocco regionale più consapevole e autonomo sul piano internazionale, seppur con le dovute divergenze.
Dalla morte di Chavez nel 2013 e dal progressivo isolamento del Brasile sul piano globale a partire dal 2011, il continente si è progressivamente ritirato dallo scenario globale, tornando ad essere un’area geografica di secondo piano, di conseguenza, anche il processo d’integrazione regionale si è di fatto stoppato. La crisi venezuelana, epicentro della crisi regionale, è stata tra le principali cause delle difficoltà a rilanciare il processo d’integrazione[21]. In particolare, già prima della pandemia, in America Latina era in corso un vero e proprio processo di polarizzazione politica, con un ritorno della contrapposizione tra “filo-americani” e “anti-americani”, si pensi in particolare al conflitto tra Colombia e Venezuela, che negli ultimi mesi ha generato una progressiva militarizzazione della frontiera, lasciando evolvere una seria e preoccupante escalation di violenza.
Oltre al Venezuela, anche il Messico ha contribuito all’arresto del processo d’integrazione. Da sempre uno dei paesi più incostanti sul piano del regionalismo, a volte più aperto verso il vicino del nord, a volte più interessato al dialogo sud-sud, il Messico ha mostrato, negli ultimi anni, un interesse sempre minore verso il regionalismo latinoamericano, questo nonostante i continui attriti diplomatici con la Casa Bianca.
L’attore che più di tutti, sembra aver contribuito all’isolamento dell’America Latina sul piano internazionale e alla sempre maggiore irrilevanza del Mercosur, è senza dubbio il Brasile. Le dinamiche interne al gigante sudamericano, in particolare, la grave crisi politica successiva all’impeachment di Rousseff del 2016 e la parallela crisi economica che il paese ha attraversato a partire dal 2014, hanno contribuito in modo decisivo anche alle dinamiche regionali. La politica estera brasiliana ha subito un clamoroso progressivo arresto a partire dal 2011, dopo anni in cui il paese era riuscito ad affermarsi sia sul piano regionale sia sul piano internazionale come un global player. Il sempre minore interesse da parte dell’élite brasiliana verso la politica estera ha creato un vero e proprio vuoto anche per la regione. Il Brasile era stato l’unico paese latinoamericano ad essere riuscito ad affermarsi come “portavoce” del blocco sul piano globale, un attore stimato, temuto e, soprattutto, riconosciuto da tutti come una nuova quasi-potenza mondiale. Negli anni successivi alla presidenza di Lula, il Brasile si è progressivamente ritirato dallo scenario globale, limitandosi ad un atteggiamento reattivo e non più propositivo[22], con effetti immediatamente visibili anche sul processo d’integrazione regionale.
La pandemia e il regionalismo: nuove sfide o ennesima sconfitta?
In conclusione a questo articolo, ci si domanda in che direzione va il regionalismo latinoamericano dinanzi all’enorme sfida dettata dall’emergenza sanitaria del Covid-19 e alle preoccupanti proiezioni economiche e sociali a cui il continente sembra destinato a far fronte. Senza dubbio, gli ultimi anni si sono dimostrati di estremo interesse per l’America Latina; i cambiamenti politici, sociali, culturali, hanno scosso il continente generando dei momenti di svolta per la storia latinoamericana. Anche nel pieno della pandemia, nel continente che più di tutti ha sofferto l’emergenza sanitaria, o forse proprio per questo motivo, non sono mancati i grandi cambiamenti. Ma se dal punto di vista interno si assiste in modo chiaro a tali cambiamenti, sul piano regionale vige ancora una avvilente staticità ed un preoccupante vuoto nella leadership regionale.
Gli organismi che guidano il processo d’integrazione regionale sono stati tra i principali assenti sia nella gestione dell’emergenza, sia nel coordinamento delle campagne di vaccinazione, sulle quali i paesi latinoamericani hanno scelto di agire singolarmente. Eppure, l’emergenza sanitaria ha evidenziato in modo chiaro i problemi strutturali che, in modo uniforme, quasi tutti i paesi hanno affrontato, spesso non ottenendo i risultati sperati. L’America Latina non si è rivelata all’altezza dell’emergenza, le debolezze che sono emerse rischiano di acuire ulteriormente i conflitti sociali, già oggetto di dibattiti internazionali[23]. In questo contesto, il regionalismo potrebbe risultare essere una delle chiavi fondamentali per poter uscire quanto prima da una situazione estremamente preoccupante, gli Stati latinoamericani avrebbero, nella cooperazione regionale e sub-regionale, l’opportunità, finalmente, di formare un blocco unito, compatto, preparato ad affrontare i duri anni che li attendono.
Al momento non sembrano esserci le condizioni affinché il regionalismo possa rappresentare uno strumento chiave per poter uscire, in modo unitario, dall’emergenza. Inoltre, non è neanche possibile intravedere un rilancio del processo d’integrazione a prescindere dalla pandemia. I mutamenti politici e sociali lanciano sicuramente nuove sfide al continente e le elezioni generali brasiliane del 2022 potrebbero risultare essere un nuovo momento di svolta per la regione. Se il Brasile riacquista la consapevolezza dell’importanza della politica regionale e, in generale, della politica estera, ritornando a ricoprire il ruolo di leader delle dinamiche regionali, allora è ipotizzabile un nuovo dinamismo per il processo d’integrazione.
Note
[1] Comisión Económica para América Latina y el Caribe.
[2] Comisión Económica para América Latina y el Caribe: “Pactos politicos y sociales para la igualdad y el desarrollo sostenible en America Latina y el Caribe en la recuperacioon pos-Covid-19”, Informe Especial Covid-19 n. 8, 15/10/2020.
[3] G. L. GARDINI, L’America Latina nel XXI secolo: nazioni, regionalismo e globalizzazione, Carocci editore, Roma, 2009, p. 62.
[4] G. L. GARDINI, L’America Latina nel XXI secolo: nazioni, regionalismo e globalizzazione, cit. p. 66.
[5] Si tratta di una teoria volta a porre rimedio ai problemi del sottosviluppo, con particolare riferimento ai paesi latinoamericani. L’idea è quella di sostituire le importazioni dai paesi ricchi con produzioni locali, riducendo, così, drasticamente la dipendenza dal “primo mondo”.
[6] G. L. GARDINI, L’America Latina nel XXI secolo: nazioni, regionalismo e globalizzazione, cit. p. 67.
[7] Ci si riferisce all’Associazione latinoamericana del libero commercio (ALALC) nel 1960, al Mercato comune centroamericano (MCCA) del 1960 e al Pacto Andino del 1969.
[8] V. GIANNATTASIO, Il processo di integrazione regionale: origini, sviluppi, criticità e potenzialità, in L’America Latina nella politica internazionale: dalla fine del sistema bipolare alla crisi dell’ordine liberale, a cura di R. NOCERA e P. WULZER, Carocci editore, Roma, 2020, pp. 57-62.
[9] Si fa riferimento alla guerra alle droghe, in particolare, al sostegno degli Stati Uniti al governo colombiano di Uribe durante gli anni 2000 (Plan Colombia) per sconfiggere i gruppi armati ribelli, tra i principali produttori e trafficanti di droga nel continente.
[10] G. L. GARDINI, L’America Latina nel XXI secolo: nazioni, regionalismo e globalizzazione, cit. pp. 70-71.
[11] Si pensi alla creazione del North American Free Trade Agreement (NAFTA) tra USA, Canada e Messico, un accordo volto a promuovere la cooperazione economica nord-sud.
[12] Mentre i primi, cioè i paesi fondatori, sono membri a pieno titolo dell’accordo, gli altri sono “membri associati”.
[13] V. GIANNATTASIO, Il processo di integrazione regionale: origini, sviluppi, criticità e potenzialità, cit. p. 67.
[14] Si tratta di un’organizzazione che prese il posto del cosiddetto “Patto Andino” del 1969. Nacque nel 1997 per promuovere l’integrazione tra i paesi andini, in particolare sul piano commerciale
[15] Comunità degli Stati latinoamericani e dei Caraibi, nata nel 2010 ed erede del Gruppo di Rio.
[16] Alianza bolivariana para los pueblos de nuestra America, si tratta di un organismo, nato nel 2004 e guidato dal Venezuela di Chavez, che aveva come obiettivo quello di promuovere una cooperazione tra i paesi che si ispiravano alla dottrina del “Socialismo del XXI secolo”.
[17] Unione delle nazioni sudamericane, nata nel 2008 con l’obiettivo, estremamente originale ed innovativo quanto fallimentare, di incoraggiare la collaborazione sul piano politico tra gli Stati sudamericani. Tra gli obiettivi dell’Unasur vi era anche quello del raggiungimento di una forma di cooperazione in materia di sicurezza e difesa.
[18] Forum per il progresso e lo sviluppo sudamericano, nato nel 2019 con l’obiettivo di rimpiazzare l’Unasur.
[19] V. GIANNATTASIO, Il processo di integrazione regionale: origini, sviluppi, criticità e potenzialità, cit. pp. 65-68.
[20] G. GONZÁLEZ, M. HIRST, C. LUJÁN, C. ROMERO, J. G. TOKATLIAN, Coyuntura crítica, transición de poder y vaciamiento latinoamericano, in Nueva Sociedad, n. 291, enero-febrero 2021, p. 56.
[21] G. GONZÁLEZ, M. HIRST, C. LUJÁN, C. ROMERO, J. G. TOKATLIAN, Coyuntura crítica, transición de poder y vaciamiento latinoamericano, cit. p. 58.
[22] T. VIGEVANI, H. R. JUNIOR, Il gigante latinoamericano? La politica regionale del Brasile e la sua proiezione globale, in L’America Latina nella politica internazionale: dalla fine del sistema bipolare alla crisi dell’ordine liberale, a cura di R. NOCERA e P. WULZER, Carocci editore, Roma, 2020, pp. 114-116.
[23] Si pensi alla gestione violenta delle proteste sociali in Colombia, sulla quale sono intervenute diverse organizzazioni internazionali invitando ad una deescalation della violenza.
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