Tra marzo e maggio 2020, alcuni Stati membri dell’Unione Europea, nel tentativo di contenere la diffusione del coronavirus, hanno chiuso le loro frontiere, interrotto la registrazione e la presentazione di domande di asilo, nonché limitato la libertà di movimento dentro e fuori dei centri di accoglienza. Tali misure hanno spesso inciso in modo sproporzionato sui diritti dei migranti e dei rifugiati.
A partire da gennaio 2020, la pandemia di Coronavirus si è diffusa in tutta Europa e di conseguenza, tutti gli Stati membri dell’UE hanno adottato misure allo scopo di contenere la diffusione del virus.
Durante i periodi di crisi come quello attuale, gli obblighi derivanti dal diritto internazionale sui diritti umani continuano ad applicarsi, tranne nel caso in cui siano stati formalmente derogati, mediante notifica alle autorità internazionali competenti e nella misura strettamente necessaria a proteggere la nazione.[1]
Anche se la deroga è consentita, la necessità deve essere continuamente riesaminata per garantire che le misure rimangano necessarie e proporzionate e che si applichino per il più breve tempo possibile. Vi sono, tuttavia, dei diritti la cui deroga non è mai consentita.[2]
Sebbene alcuni Stati membri dell’UE abbiano formalmente derogato ai propri obblighi in virtù dello stato di emergenza dichiarato in seguito alla pandemia, la maggior parte ha scelto di non farlo. In assenza di deroga, gli Stati hanno dunque mantenuto l’obbligo di rispettare i diritti umani protetti a livello internazionale di coloro che rientrano nella loro giurisdizione.
In seguito allo scoppio della pandemia di COVID-19, la maggior parte degli Stati membri dell’UE ha introdotto restrizioni per i cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne[3] dell’Unione.
In alcuni casi, gli Stati membri dell’UE hanno vietato l’ingresso ai richiedenti asilo (Grecia, Ungheria); hanno respinto imbarcazioni con a bordo richiedenti asilo (Cipro, Grecia) o hanno dichiarato i loro porti “non sicuri” (Italia e Malta), chiudendo le frontiere anche per lo sbarco di persone salvate in mare. Altri Stati membri hanno chiuso i loro centri di arrivo o limitato l’accesso alla richiesta di asilo.
Lo stato di emergenza a causa della COVID-19 dichiarato in Ungheria ha portato alla sospensione del diritto di chiedere asilo. In Spagna, il trattamento delle domande di asilo è stato sospeso da quando lo stato di emergenza è entrato in vigore il 15 marzo. Il Belgio ha chiuso il centro di accoglienza per i richiedenti asilo a Bruxelles per contenere la diffusione del virus; pertanto i nuovi richiedenti non sono stati in grado di presentare una domanda di protezione internazionale e quindi di essere assegnati a luoghi di accoglienza.
Un approccio più rispettoso dei diritti umani è stato adottato da paesi come la Germania e la Svezia, che hanno consentito la presentazione di nuove domande di asilo e l’ingresso nel proprio paese ai richiedenti asilo.
Il diritto di asilo è garantito dal diritto internazionale dei diritti umani[4] e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Tra i principi fondamentali in materia, si annovera il principio di non respingimento, il quale vieta agli Stati di espellere o respingere un rifugiato verso un paese o territorio in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero in pericolo a causa della sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
Si tratta di una delle più forti limitazioni del diritto internazionale al diritto degli Stati di controllare l’ingresso nel loro territorio e di espellere gli stranieri come espressione della loro sovranità.[5]
La Commissione europea è intervenuta diverse volte per fornire linee guida sul tema. Il 16 marzo 2020, la Commissione ha raccomandato una limitazione – inizialmente per 30 giorni – dei viaggi non essenziali verso l’UE per impedire l’ulteriore diffusione del coronavirus.[6]
Gli orientamenti dell’UE specificano che “(…) gli Stati membri hanno la possibilità di rifiutare l’ingresso di cittadini di paesi terzi non residenti che presentano sintomi o che sono stati particolarmente esposti al rischio di infezione e sono considerati una minaccia per la salute pubblica.”[7] Sono state anche suggerite misure alternative al rifiuto di ingresso, come l’isolamento o la quarantena ed è stato ribadito che qualsiasi decisione relativa al rifiuto di ingresso debba essere proporzionata e non discriminatoria.
La Commissione ha in seguito specificato che: “Le misure adottate dagli Stati membri per contenere e limitare l’ulteriore diffusione della COVID-19 dovrebbero essere basate su valutazioni del rischio e pareri scientifici e devono sempre essere proporzionate. Eventuali restrizioni in materia di asilo, rimpatrio e reinsediamento devono rimanere proporzionate, attuate in modo non discriminatorio e tenere conto del principio di non respingimento e degli obblighi derivanti dal diritto internazionale.”[8] La Commissione ha raccomandato che, ove necessario, sia possibile presentare la domanda via posta o preferibilmente online. Per quanto riguarda l’accesso alla procedura di asilo, la Commissione ha consigliato di prolungare il termine per la presentazione di una domanda d’asilo a 10 giorni lavorativi. Ha inoltre affermato che il periodo per concludere l’esame delle domande può essere prorogato di altri nove mesi oltre il periodo ordinario di sei mesi previsto dalla direttiva sulle procedure di asilo in situazioni simili.
La Commissione europea ha inoltre chiarito che “per quanto riguarda le procedure di asilo, considerando che una situazione come quella risultante dalla pandemia COVID-19 non è stata prevista nella direttiva 2013/32/UE sulle procedure di asilo, può essere presa in considerazione l’applicazione di norme derogatorie come quelle stabilite nella direttiva in caso di numerose domande simultanee.”[9] La Commissione ha sottolineato che “in ogni caso, qualsiasi ulteriore ritardo nella registrazione delle domande non dovrebbe pregiudicare i diritti dei richiedenti ai sensi della direttiva sulle condizioni di accoglienza che si applicano a decorrere dalla presentazione della domanda.”[10]
Gli orientamenti dell’UE su tali questioni specifiche evidenziano, in linea con gli obblighi internazionali in materia di diritti umani, che le misure adottate dagli Stati membri dell’UE durante la pandemia non possono incidere sui diritti dei richiedenti, quando si tratta del loro diritto di chiedere asilo e del divieto di non respingimento.
Gli Stati hanno la responsabilità di garantire la protezione dal respingimento a tutte le persone che rientrano nella loro giurisdizione. Secondo l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, “L’obbligo di cui all’articolo 33(1) della Convenzione del 1951 di non inviare un rifugiato o un richiedente asilo in un paese in cui potrebbe essere a rischio di persecuzione non è soggetto a restrizioni territoriali; si applica quando lo Stato in questione esercita la sua giurisdizione.”[11]
Per dare attuazione ai loro obblighi giuridici internazionali di tutela del diritto di asilo e principio di non respingimento, gli Stati hanno l’obbligo nei confronti delle persone che sono arrivate alle loro frontiere, di effettuare indagini indipendenti sulla necessità di protezione internazionale e garantire che non siano a rischio di respingimento. Se tale rischio esiste, lo Stato non può vietare l’ingresso né rimuovere forzatamente la persona interessata.
Gli obblighi di garantire il diritto di asilo e il principio di non respingimento si applicano indipendentemente dalla salute o da altre emergenze, come la pandemia COVID-19. Secondo il diritto internazionale in materia di diritti umani, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Carta dell’UE, tra le altre cose, il divieto di respingimento non può mai essere oggetto di deroga, neanche in caso di una pandemia.
Un’altra questione riguarda il fatto che alcuni paesi abbiano deciso di chiudere le frontiere per i cittadini stranieri “fino a nuovo avviso.” La necessità e la proporzionalità di tali misure di emergenza che limitano i diritti umani dipende da un riesame continuo per accertare se siano ancora necessarie alla luce delle circostanze in continua evoluzione, anche attraverso la limitazione del tempo per garantire che non diventino permanenti.
Le misure di emergenza che limitano i diritti dell’uomo, come la chiusura eccezionale delle frontiere, dovrebbero infatti avere un limite di tempo ed una data finale o almeno una data stabilita in cui tali misure saranno riesaminate.
Sarebbe opportuno prevedere delle eccezioni alla chiusura delle frontiere per consentire le richieste di protezione internazionale. Le restrizioni imposte nell’interesse della salute pubblica non devono comportare il respingimento o la negazione di un’effettiva possibilità di chiedere asilo, in violazione degli obblighi degli Stati ai sensi del diritto internazionale e dell’UE.
Al fine di garantire il rispetto di tali obblighi, misure diverse dalla chiusura generale delle frontiere, quali i controlli sanitari alle frontiere e/o l’eventuale quarantena di persone appena arrivate per due settimane, come suggerito dalle linee guida della Commissione europea, avrebbero dovuto essere considerati in primo luogo in risposta al COVID-19.
Note
[1] Cfr. art. 4.1 Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (https://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/ccpr.aspx) e art. 15.1 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (https://www.echr.coe.int/documents/convention_ita.pdf)
[2] Cfr. art. 4.2 Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (https://www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/ccpr.aspx) e art. 15.2 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (https://www.echr.coe.int/documents/convention_ita.pdf)
[3] Ai sensi dell’art. 2 del codice frontiere Schengen, per “frontiere esterne” si intende le frontiere terrestri, comprese quelle fluviali e lacustri, le frontiere marittime e gli aeroporti, i porti fluviali, marittimi e lacustri degli Stati membri, che non siano frontiere interne (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32016R0399)
[4] Cfr. articolo 14 (1) della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; La Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, in seguito modificata dal protocollo del 1967.
[5] https://www.icj.org/wp-content/uploads/2012/09/ICJ_rapport_IT141112.pdf
[6] https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20200327_c-2020-2050-report.pdf
[7] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020XC0316(03)&from=FR
[8] Covid-19: linee guida sull’attuazione delle disposizioni dell’UE nel settore delle procedure di asilo e di rimpatrio e sul reinsediamento, punto 1 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020XC0417(07)&from=IT
[9] Ibid.
[10] Ivi., punto 1.1
[11] Parere consultivo dell’UNHCR sull’applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967 https://www.refworld.org/cgi-bin/texis/vtx/rwmain/opendocpdf.pdf?reldoc=y&docid=5513d1214
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