Russia, Cina e Iran: potenze revisioniste?


A seguito dell’epidemia di Covid-19, la collaborazione tra le Russia, Cina e Iran ha registrato un approfondimento, cha ha aumentato l’accusa di revisionismo dell’ordine internazionale che è spesso mossa a questi tre attori. Questa breve analisi vuole invece mostrare che l’azione congiunta dei tre attori non è dovuta ad un comune sentimento revisionistico, quanto ad una comune reazione di contro-bilanciamento nei confronti dell’azione di un’altra potenza, questa sì per certi versi passabile di revisionismo internazionale: gli Stati Uniti.


 

Coniando un sintagma ormai accettato da gran parte degli analisti, in pieno (primo?) ordine di serrata e di distanziamento sociale totali, il prof. Claudio Mutti dava alle stampe uno studio che descrive il Covid-19 come “virus acceleratore”,[1] cioè un virus la cui diffusione non ha segnato un primo Covid contra dopo Covid, ma che ha causato una accelerazione di processi che erano già in corso: processi economici, giuridici, sociali, politici, ecc.
Nello specifico, il Covid ha accelerato il venire alla luce del conflitto tra Stati Uniti e Cina ed i processi che stanno portando ad un generale bilanciamento dei rapporti di forza a favore del gigante asiatico.
Infatti, secondo il Fondo Monetario Internazionale, la Cina sarà l’unico Stato a chiudere l’anno con un generale crescita economica, laddove invece gli Stati Uniti ed i suoi alleati-vassalli europei soffriranno di una grave recessione. Questa crescita cinese, accompagnata da una decrescita euro-statunitense, ha accelerato l’espansionismo economico ed industriale della Cina nelle zone centroasiatiche e vicino-orientali, zone che la Cina sta cercando di integrare all’interno del proprio sistema geoeconomico per assicurare la propria crescita e rendere più difficile ogni tentativo di isolamento economico e commerciale che gli Stati Uniti (o chi per loro) possa imporre contro la Repubblica Popolare.
Questo espansionismo cinese ha beneficiato di un’ulteriore accelerazione per via della sempre maggiore collaborazione offertale da Russia e Iran, Paesi anch’essi verso cui gli Stati Uniti e per certi versi i Paesi europei hanno applicato una politica di massima pressione, spingendoli ad aprirsi sempre di più alla Cina ed ai suoi progetti geoeconomici. Per esempio, quando è entrata nel conflitto siriano per salvare il regime di al-Assad, la cui distruzione avrebbe probabilmente comportato un tracollo economico russo, la Russia ha puntellato la propria presenza in tutta l’area vicino-orientale e mediterranea, cosa che è risultata in un “riconoscimento di una presenza forte (e pressoché incontestata) della Russia” in quell’area del mondo.[2]
La protezione militare che la Russia è in grado di offrire in quelle zone ha portato la Cina ad incrementare gli investimenti infrastrutturali, creando una collaborazione sino-russa consistente, in linea generale, in una relazione in cui la Cina offre i capitali per sviluppare le regioni mentre la Russia offre la pistola per proteggerle. Anche l’Iran ha recentemente approfondito la propria collaborazione con la Cina, con la quale ha firmato un accordo di collaborazione strategica pluridecennale, tramite il quale l’Iran si impegna a fornire alla Cina il petrolio che non è più in grado di vendere ai Paesi europei – per via del divieto statunitense – in cambio di ingenti investimenti nelle infrastrutture, anche militari, iraniane.[3] Inoltre, l’Iran condivide l’interesse cinese di ricoprire di linee ferroviarie il Vicino Oriente, nel tentativo di collegarsi direttamente al Mediterraneo orientale, di circumnavigare l’isolamento commerciale e di stabilizzare il suo fianco occidentale.
Questa collaborazione triangolare sino-russo-iraniana è a tutti gli effetti quella che l’influente consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski consigliava di evitare quando scriveva che “lo scenario più pericoloso sarebbe una grande coalizione di Cina, Russia e forse Iran, una coalizione ‘anti-egemonica’ unita non dall’ideologia ma da insofferenze complementari”[4].
Una simile prospettiva è condivisa anche da John Mearsheimer e da gran parte della scuola neo-realista statunitense, secondo cui la crescita cinese andrebbe rallentata collaborando con Russia e Iran, non applicando una politica della massima pressione anche a questi due attori, che necessariamente li porterebbe, come sta infatti avvenendo, a gettarsi tra le braccia cinesi come reazione di contro-bilanciamento.[5]
Le medesime considerazioni della scuola neo-realista statunitense, ma con un interesse inverso, sono state fatte anche dalle prospettive geopolitiche post-Guerra Fredda offerte da diversi analisti russi che argomentarono in favore di una politica asiatica per la Russia, come Sergej Karaganov[6] e Aleksandr Dugin,[7] i quali ritengono che un asse Mosca-Teheran-Pechino possa essere la chiave di volta per costruire un blocco geopolitico  atto a respingere la perturbatrice influenza occidentale e costruire un mondo multipolare che strappi l’unipolarismo agli Stati Uniti, permettendo alla Russia di salvaguardare la propria sovranità.
L’approfondimento ed i successi ottenuti della collaborazione tra Cina, Russia e Iran ha portato diversi osservatori a ritenere che questi tre Paesi costituiscano delle potenze “revisioniste”, accuse che sono aumentate a seguito delle accelerazioni dei processi internazionali provocati dal Covid.
Scrive per esempio lo storico statunitense Jeremy Suri: “i dirigenti di Mosca e Pechino condividono un interesse comune nell’indebolire gli Stati Uniti, nel resistere alla diffusione dei valori democratici […] Il loro interesse li rende […] potenze revisioniste”[8]. Similmente, Paul Bolt e Sharyl Cross scrivono “La Cina e la Russia vogliono alterare quegli aspetti dell’ordine [mondiale] che percepiscono come ingiusti o contrari ai loro interessi”.[9] Anche Russel Berman fa eco a queste considerazioni e scrive: “La famiglia delle democrazie occidentali affronta gli sforzi concentrati di Cina e di Russia [e di] Iran [di] sconvolgere l’ordine mondiale”.[10] A causa del revisionismo di questi tre attori, molti osservatori ed analisti hanno concluso che in futuro “l’Occidente avrà meno flessibilità nel promuovere la democrazia e gli obiettivi umanitari”.[11]
Il problema di queste affermazioni è che si fondano sull’assunzione che l’effettiva struttura internazionale o il giusto ordine mondiale sia di tipo liberale e democratico: un’assunzione che si è rivelata il più delle volte equivoca o comunque non pienamente convincente.[12] Inoltre, i ragionamenti dei suddetti autori soffrono di una certa contraddizione nel momento in cui passano dal sostenere che l’effettiva struttura dell’ordine internazionale sia liberale e democratica al sostenere che democrazia e liberalismo vadano diffusi nel mondo.
Del resto, le prospettive geopolitiche statunitensi post-Guerra Fredda si sprecarono nel ritenere che gli Stati Uniti avessero il dovere morale di sfruttare il momento unipolare per modellare l’ordine mondiale secondo le proprie convinzioni.
Il crollo del Muro di Berlino aveva infatti portato diversi osservatori a ritenere che il modello di sviluppo liberal-capitalista aveva vinto su tutti gli altri, e che questa vittoria avrebbe fatto incamminare il mondo verso attraverso una globalizzazione felice,[13] dove la storia sarebbe giunta al termine.[14] Un simile ottimismo a cui seguirono precise prescrizioni normative era anche condiviso da alcuni pensatori di scuola realista, tra cui Brzezinski stesso, che ritenevano che “il successo geostrategico di quest’impresa [=diffusione della democrazia e del liberalismo] rappresenterebbe la migliore eredità dell’America quale prima, unica e davvero ultima superpotenza mondiale”.[15]
Il successo di una tale impresa, ritenevano cioè molti influentissimi osservatori, avrebbe risolto il rompicapo della struttura anarchica delle relazioni internazionali.
Sarebbe perciò opportuno chiedersi se in realtà non fossero gli Stati Uniti, o per lo meno anche loro, ad aver nutrito aspirazioni revisioniste. Si prenda a mo’ di esempio uno dei tre attori finiti sotto l’accusa di revisionismo. Nei suoi ultimi anni di vita, la Russia sovietica non solo abbandonò ogni fiducia nella rivoluzione comunista mondiale, ma addirittura la sua classe dirigente fu interessata, quasi ossessivamente, ad intraprendere un percorso di occidentalizzazione a tappe forzate. Già Michail Gorbačëv si fece promotore di costruire una “comune casa europea” dove il sistema capitalistico europeo e quello socialista sovietico potessero convivere pacificamente, mentre le successivamente classi dirigenti russo-sovietica promossero una rapidissima occidentalizzazione e liberalizzazione tout court della propria economia e società.[16]
Il primo ministro degli esteri della neonata Russia arrivò persino ad affermare nel 1994 che “gli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali sono amici naturali [natural allies] e futuri alleati [eventual allies] della Russia democratica, tanto quanto sono stati nemici dell’URSS totalitaria. Infatti, la collaborazione è la migliore scelta strategica della Russia e degli Stati Uniti”.[17]

E tuttavia, subito dopo il venire meno del contro-bilanciamento sovietico, cioè nel periodo di massima potenza relativa, gli Stati Uniti intrapresero azioni unilaterali anche violente nei confronti di Stati che non furono ritenuti allineati ai principi normativi liberal-democratici, azioni che spesso risultavano contrarie alle prescrizioni del diritto internazionale: diritto che gli Stati Uniti stessi avevano fino a poco tempo prima contribuito a promuovere. Si pensi al ruolo giocato dagli Stati Uniti per causare l’implosione della Jugoslavia ed il bombardamento, effettuato anche con armi vietate dalle convenzioni sullo ius in bellum, dell’Alleanza Atlantica contro la Serbia, all’embargo affamatore contro l’Iraq; e oltre a ciò, vi sono la distruzione del regime di Saddam e di Gheddafi, gli scandali sul trattamento dei prigionieri nelle prigioni di Guantanamo, l’invasione dell’Afghanistan, eccetera.[18] A questi eventi se ne possono aggiungere molti altri, alcuni recentissimi, come l’uccisione del generale Soleimani, il quale, per quanto gli Stati Uniti possano sostenere fosse un terrorista, era un alto ufficiale statale ucciso mentre era in missione diplomatica all’estero. Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov commentò infatti l’accaduto sostenendo che l’attacco del Pentagono all’aeroporto di Baghdad “è stata un’eclatante violazione del diritto internazionale”,[19] un’azione che potrebbe ammontare a terrorismo internazionale di Stato; e ancora, la persistente occupazione dell’Iraq e di alcune regioni della Siria, nonostante i governi di questi Stati abbiano ufficialmente chiesto agli Stati Uniti di ritirare le proprie truppe o il continuo embargo ai danni dell’Iran nonostante la revoca fatta delle Nazioni Unite.

“…non la considereremmo una potenza revisionista?”

Insomma, in questo senso, si rivela molto calzante la domanda che si pone Randall Schweller riguardo alle accuse di revisionismo: “Immaginiamo che un’altra potenza globale dominante, diciamo la Cina o la Russia, agisse nella convinzione che (1) la sua missione sia di eliminare dal mondo il male diffondendo quelli che ritiene essere i suoi valori universali; (2) la sua sicurezza richieda di dichiarare guerre preventive; e (3) le norme, le regole ed il diritto internazionali si applichino a chiunque tranne che a lei perché l’ordine mondiale le richiede di agire in modo diverso rispetto a tutti gli altri Stati. Non la considereremmo una potenza revisionista?”.[20]
A ciò va anche aggiunto che negli ultimi anni Russia, Cina e Iran stanno facendo un uso delle istituzioni internazionali, anche di quelle create dagli Stati Uniti, molto più degli Stati Uniti stessi, i quali, specialmente dopo l’elezione di Trump, tendono ad agire unilateralmente scavalcando le istituzioni internazionali, ritenute d’impiccio.

Conclusioni

Certamente Russia, Cina e Iran non sono potenze da status quo, e tutte e tre mirano ad aumentare la propria influenza e la propria statura internazionale. Tuttavia, l’accusa che viene spesso loro mossa di essere potenze revisioniste o di minacciare l’ordine liberal-democratico del mondo soffre di pesanti contraddizioni, tra cui quella che l’ordine internazionale sia o sia mai stata di tipo liberal-democratico. Infatti, gli Stati Uniti stessi chiaramente appaiono essere una potenza non da status quo, ma anzi desiderosa di imporre un certo ordine mondiale che ricalchi determinate prescrizioni democratico-liberali, salvo poi aver peccato di non rispettare le medesime norme quando sembrava più profittevole infrangerle.
L’attuale collaborazione sino-russo-iraniana non è dovuta a tendenze revisioniste nutrite dalle tre potenze eurasiatiche, ma anzi è principalmente il risultato di una comune reazione di contro-bilanciamento in risposta all’assertività, per certi versi revisionista, degli Stati Uniti. La struttura delle relazioni internazionali è ed è sempre rimasta essenzialmente anarchica.


Note

[1] Claudio Mutti, Il virus acceleratore, in AA. VV. Eurasia. Rivista di studi geopolitici, Vol. 3/2020, pp. 9-14. https://www.eurasia-rivista.com/il-virus-acceleratore/

[2] Pietro Figuera, Il grande ritorno della Russia in medio oriente, in AA. VV. Il 3° millennio della Terza Roma. Status e potenza del modello culturale e politico russo, Vol. 1/2019, p. 106

[3] Mario Savina, Partenariato strategico Cina-Iran: non una novità, European Affairs. Geopolitica del mondo moderno, 14 luglio 2020.

[4] Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, Basic Books, 1998, p. 55

[5] John J. Mearsheimer, La logica di potenza. L’America, le guerre ed il controllo del mondo, UBE, 2008. Si veda in particolare il capitolo conclusivo.

[6] Per le posizioni di Karaganov si faccia riferimento al Valdai Club, un centro studi molto influente che si è caratterizzato per aver fortemente argomentato a favore di una politica estera russa che privilegiasse l’oriente all’occidente. https://valdaiclub.com/

[7] Certamente Dugin nel suo fondamentale Fondamenti di geopolitica del 1997 riteneva la Cina una minaccia alla sicurezza della Russia, tuttavia le sue recenti posizioni si sono alleggerite, forse riconoscendo la Cina quale attore necessario per poter rompere l’isolamento che gli Stati Uniti hanno cercato di imporre alla Russia.

[8] Jeremy Suri, American Pressure Against Revisionist Russia and China, ISPI, Commentary, 21 dicembre 2018

[9] Paul J. Bolt, Sharyl Cross, China, Russia, and the Twenty-First Century Global Geopolitics, Oxford, p. 290-1.

[10] Russel A. Berman, The Reemergence of the State in the Time of COVID-19, Telos, 2020

[11] Paul J. Bolt, Sharyl Cross, op. cit., p. 291

[12] Per una buona critica a questa assunzione, si vedano i lavori John J Mearsheimer, The Grant Delusion, Liberal Dreams and International Realities, Yale, 2018; Stephen M. Want, The Hell of Good Intentions. America’s Foreign Policy Elite and the Decline of U.S. Primacy, Farrar, Strauss and Giroux,, 2018.

[13] Alain Minc, La mondialisation heureuse, Plon, 1997

[14] Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man, The Free Press, 1992

[15] Zbigniew Brezenski, op. cit.

[16] Per una analisi di come l’iniziale ottimismo russo-sovietico e le successive frustrazioni russe abbiano influenzato la politica estera della Russia, si rimanda al mio Marco Ghisetti, La reciproca percezione di Russia ed UE, in AA. VV. Eurasia. Rivista di studi geopolitici, Vol. 2/2020, pp. 141-154

[17] Andrei Kozyrev, The Lagging Partnership, Foreign Affairs, maggio/giugno, 1994.

[18] Una buona analisi della politica estera statunitense ed europea vis-a-vis le dichiarazioni sul liberalismo fatte dalle rispettive classi dirigenti e dei mezzi di riproduzione culturale è offerta da Paolo Borgognone, L’immagine sinistra della globalizzazione. Critica del radicalismo liberale, Zambon, 2016

[19] Lavrov: uccisione Soleimani viola il diritto internazionale, in Medio Oriente servono negoziati, https://it.sputniknews.com/mondo/202002178740038-lavrov-uccisione-soleimani-viola-il-diritto-internazionale-in-medio-oriente-servono-negoziati/

[20]Randall Schweller, Rising Powers and Revisionism in Emerging International Orders, Valdai Papers, no 16, maggio 2015, p. 15


Foto copertina: Immagine web. InsideOver


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