Dietro l’attentato al campo militare, i miliziani di Al-Mourabitoun
Lo scorso 18 gennaio, il più grave atto terroristico dallo scoppio della crisi ha colpito un guarnigione militare a Gao, nel nord del Mali. L’attentatore suicida, alla guida di un veicolo carico di esplosivo, ha forzato l’accesso al campo militare, causando la morte di un numero ancora imprecisato di militari maliani e ferendone molti altri.
Il bilancio drammatico, secondo stime ufficiali, sarebbe di 77 morti e 115 feriti.[1]. Rivendicato da Al-Mourabitoun, organizzazione jihadista guidata da Mokhtar Belmokhtar[2], l’attacco terroristico porta con sé un messaggio politico sostanziale. La guarnigione militare presa di mira, infatti, è sede del Mécanisme Opérationnel de Coordination (MOC), strumento di implementazione degli Accordi di pace di Algeri del 2015, in cui si prevede la costituzione di pattuglie miste, composte di membri dell’esercito regolare maliano e dei diversi gruppi armati firmatari, che dovrebbero rappresentare il nucleo fondante degli apparati di sicurezza nelle regioni del nord del paese. Colpire le pattuglie del MOC ha significato infliggere un duro colpo a un fragile processo di pace, complicato dall’assenza di volontà politica delle parti implicate, così come dalla varietà degli interessi in gioco.
La proliferazione di gruppi armati ribelli (e, successivamente, la creazione di milizie di autodifesa) nelle regioni a nord del Mali ha costituito un fattore primario nello sviluppo delle dinamiche di una crisi multidimensionale e complessa, in cui alla presenza e al radicamento di gruppi terroristici di matrice qaedista nei vasti territori ingovernati del Sahel maliano[3], alla strutturazione di reti di narcotraffico e al collasso del sistema politico-istituzionale, si associavano le rivendicazioni autonomiste di movimenti nazionalisti.
Il ripristino dell’esercizio della sovranità maliana sull’insieme del territorio e, in ultima istanza, la risoluzione della crisi nel Paese, non avrebbero potuto prescindere dall’avvio di un processo politico che tenesse conto delle istanze poste dai gruppi armati nel nord, che ponesse le condizioni per una riconciliazione nazionale attraverso la smobilitazione delle milizie, il loro disarmo, la definizione di percorsi di inclusione sociale e istituzionale, la previsione di interventi infrastrutturali e di misure specifiche finalizzate allo sviluppo s settentrionali, il riconoscimento delle esigenze di un decentramento politico fondato sulla promozione delle collettività territoriali –con organi eletti a suffragio universale e dotati di ampie prerogative politico-legislative – e su una maggiore rappresentatività delle stesse in seno alle istituzioni nazionali, fermo restando l’accettazione di un principio di integrità territoriale e di laicità della Repubblica da parte dei movimenti e gruppi contraenti.
Le negoziazioni, guidate dall’Algeria, capofila della mediazione internazionale e storicamente coinvolta nelle dinamiche politico-diplomatiche sottese alla pacificazione dei territori nord-maliani,[4]hanno visto la partecipazione attiva dei principali attori della comunità internazionale presenti in Mali, dalla missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Paese – la MINUSMA –alla Francia, fino all’Unione Europea, ed hanno condotto, nel 2015 alla firma degli accordi da parte del Governo maliano, dei gruppi armati filo-governativi, riuniti sotto l’egida della Plateforme,[5] e dei gruppi ribelli della CMA (Coordination des Mouvements de l’Azawad).[6]
La successiva fase di implementazione delle disposizioni degli accordi si è rivelata, com’era prevedibile, particolarmente delicata e complessa. I radicati interessi di alcuni tra gli attori negoziali nelle reti di traffici illeciti impiantate nelle regioni semi-desertiche dell’Azawad maliano, i conflitti per il controllo delle rotte di transito di merci e droga, gli scontri di leadership tra milizie ostili, l’assenza di una precisa volontà politica a Bamako, una situazione securitaria generalmente molto precaria – aggravata dalla presenza e dall’attivismo di movimenti jihadisti nella macro-regione – hanno imposto una difficoltà estrema nel dar seguito alle previsioni dell’accordo, rallentando soprattutto l’avvio del processo di smobilitazione dei gruppi armati, disarmo e reinserimento dei combattenti (DDR).[7]
La creazione del MOC ha costituito un passo sostanziale in direzione di una concreta attuazione degli accordi di pace; la composizione delle pattuglie miste – composte di soldati membri delle forze armate maliane (le FAMA), combattenti della Piattaforma e del Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad–nella regione di Gao doveva servire da esperimento per testare la tenuta degli accordi alla prova dei fatti, attraverso un reale tentativo di riconciliazione tra le parti vincolato alla ridefinizione degli equilibri e delle dinamiche di sicurezza.
L’attentato al campo militare di Gao, ed il massacro di militari che ne è conseguito, testimonia la volontà dei gruppi terroristi saheliani di colpire un processo dalle fondamenta estremamente precarie. L’attacco suicida dimostra come i jihadisti legati ad Al-Qaeda in Sahel abbiano inteso indebolire le prospettive di pacificazione del Mali settentrionale per assicurarsi la possibilità di continuare a godere dell’instabilità politica, delle tensioni latenti tra attori statali ed ex ribelli, dell’assenza di controllo dei territori azawadiani da parte delle istituzioni maliane.
I sospetti di infiltrazioni interne al campo militare e al meccanismo operativo stesso, alimentati dalla facilità estrema con cui il veicolo ha potuto irrompere nell’area presidiata da forze di sicurezza e lasciarsi esplodere, le ipotesi di connivenza e complicità tra alcuni gruppi armati firmatari degli accordi di Algeri e i network jihadisti attivi nella regione saheliana (cui conferiscono forza le traiettorie personali di alcuni tra i membri dei gruppi firmatari, già vicini ai movimenti armati qaedisti che, nel corso del 2012, occuparono i territori del nord Mali: Ansar Dine, AQMI, MUJAO) e un certo livello di fluidità tra combattenti ex ribelli, narcotrafficanti, jihadisti, soprattutto in alcune aree desertiche, mostrano come, tentando di compromettere gli acquis del processo di pace – fragili, precari, insufficienti, ma pur sempre rappresentativi di un necessario punto di partenza – Al-Mourabitoun abbia trovato terreno fertile nella radicata sfiducia reciproca tra gli attori in gioco, tuttora estremamente divisi da diffidenze e interessi contrastanti, e nella profonda disillusione della società civile maliana.
L’attentato al campo militare di Gao segue, a distanza di poche settimane, l’attacco all’aeroporto della città, rivendicato anch’esso dai jihadisti di Al-Mourabitoun, che causò la morte del solo attentatore, rimasto ucciso nel corso dell’esplosione. I due episodi sembrano rientrare in una precisa strategia tesa a dimostrare l’incapacità delle forze internazionali presenti sul territorio maliano di mettere efficacemente in sicurezza le aree settentrionali del paese. Gao rappresenta la regione più densamente militarizzata del nord del paese: ospita una base francese, quartier generale in Mali e avamposto saheliano del contingente Barkhane,[8] un’ampia presenza di caschi blu delle Nazioni Unite, fatta oggetto di attacchi a più riprese, contingenti delle forze armate maliane oltre che le pattuglie miste del MOC. Colpire obiettivi sensibili e strategici nella regione di Gao significa, dunque, dar prova della debolezza delle forze di sicurezza impiegate sul territorio, e al contempo della capacità dei gruppi jihadisti di testimoniare la propria presenza e un forte potenziale di azione in un territorio tanto strettamente presidiato.
La situazione securitaria nel nord del Mali – e, progressivamente, nelle regioni centrali del paese[9] – resta estremamente preoccupante. L’instabilità, segnalata dalla vitale presenza di movimenti terroristici legati ad Al Qaeda, in controllo di ampi territori soprattutto nella regione di Taoudeni, così come gli estesi interessi di attori diversi nelle reti dei narcotraffici in Sahel, limitano i progressi del processo di pace, il cui avanzamento, d’altronde, rappresenta una precondizione necessaria per il ripristino di equilibri securitari.
Bibliografia
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Mali : le groupe de Belmokhtar revendique la tentative d’attentat suicide contre l’aéroport de Gao, Jeune Afrique, 29 novembre 2016, http://www.jeuneafrique.com/378329/politique/mali-tentative-dattentat-suicide-vise-laeroport-de-gao/.
[1] Secondo testimonianze di fonti interne citate da Jeune Afrique, le vittime accertate dell’esplosione sarebbero 87.
[2]L’ipotesi che accreditava l’uccisione di Belmokhtar nel corso di un raid francese in Libia, non confermata da fonti ufficiali, appare sempre meno probabile.
[3]Al Qaeda au Maghreb Islamique; Ansar Dine; Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest.
[4]La presenza di comunità tuareg nel sud dell’Algeria e i pericolo di destabilizzazione interna, oltre che le ambizioni di leadership regionale, spiegano l’interesse di Algeri ad esercitare un ruolo di primo piano nei processi di crisis resolution in Mali.
[5]Della Plateforme fanno parte movimenti lealisti e gruppi di autodifesa tuareg imghad, songhai, peul, arabi.
[6] Gli accordi di Algeri furono firmati dalla CMA – di cui fanno parte tra gli altri il Mouvement National de Liberation de l’Azawad e l’HautConseil pour l’Unité de l’Azawad – solo in un secondo momento, alcuni mesi dopo la firma dei rappresentanti della Plateforme e del Governo.
[7] Basti pensare che la costituzione del MOC avrebbe dovuto, in origine, avere luogo al termine di sessanta giorni dalla firma degli accordi di pace. Nei fatti, l’organizzazione delle prime pattuglie miste ha visto la luce diciotto mesi dopo.
[8]‘Opération Barkhane’ è il nome dato alla missione militare francese in Sahel, che ha preso il posto, nel luglio del 2014, dell’Opération Serval, nell’ambito di una generale riorganizzazione della presenza delle forze francesi nella macroregione saheliana, tra la Mauritania e il Ciad.
[9] L’instabilità securitaria nelle regioni centrali del Mali risponde a logiche e dinamiche in parte differenti da quelle legate alla crisi nel nord. La principale minaccia è rappresentata dalla katiba di Amadou Koufa, legata ad Ansar Dine e a Iyad Ag Ghali.
Foto Copertina : The Counter Jihad Report