La mattina di domenica 6 gennaio 1980, in Via della Libertà a Palermo, non appena Mattarella entrò in una Fiat 132 insieme alla moglie, ai due figli e alla suocera per andare a messa, un sicario si avvicinò al finestrino e lo freddò a colpi di pistola.
A distanza di anni gli esecutori materiali non sono mai stati identificati; le ombre attorno a quel tragico episodio non si sono ancora diradate. Resta però l’esempio di un politico che credeva nel riscatto dell’Isola, che progettava il rinnovamento delle istituzioni e la loro liberazione dal giogo mafioso.
Quell’uccisione, tra le più eccellenti delle tante che hanno sconvolto la Sicilia, fu avvolta fin da subito dal mistero. Fu la mafia ad ammazzarlo oppure i terroristi neri? Il suo omicidio va inquadrato in seno alle uccisioni eccellenti come Michele Reina e Pio La Torre, o bisogna incasellarla nel clima di tensione di quegli anni? L’ipotesi della “pista nera” non fu mai abbandonata da Giovanni Falcone, che puntava sulla colpevolezza dei terroristi dei Nar Gilberto Cavallini e Giuseppe Valerio Fioravanti.
Secondo l’accusa i due, coinvolti in un altro attentato, quello alla stazione di Bologna, nei giorni dell’omicidio si sarebbero trovati a Palermo, trovando appoggio in personaggi dell’estrema destra palermitana. Negli anni successivi alla morte di Falcone, prese corpo l’ipotesi dell’assassinio per mano mafiosa. Ipotesi suffragata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo. Mattarella avrebbe pagato con il sangue il suo progetto di modernizzare l’amministrazione regionale in nome della legalità. Lui che negli anni era diventato punto di riferimento della corrente legata ad Aldo Moro, lui orgogliosamente in aperto contrasto con Vito Ciancimino e con quel mondo democristiano che orbitava attorno a Cosa nostra. Lui agli antipodi della Dc siciliana che si rifaceva a Salvo Lima.
Nel 1995 vennero condannati all’ergastolo i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci quali mandanti dell’omicidio. Il filone dell’eversione fu scartato e i terroristi neri Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini furono assolti, nonostante le dichiarazioni della moglie di Mattarella che aveva riconosciuto in Fioravanti l’esecutore materiale dell’assassinio. Testimonianza mai ritenuta attendibile.
A distanza di anni gli esecutori materiali non sono mai stati identificati; le ombre attorno a quel tragico episodio non si sono ancora diradate. Resta però la lungimiranza e l’esempio di un politico che credeva nel riscatto dell’Isola, che progettava il rinnovamento delle istituzioni e la loro liberazione dal giogo mafioso.
Fonte:RaiNews