Afghanistan: la missione EUPOL e le responsabilità dell’Unione europea


In Afghanistan la missione EUPOL, a sostegno della riforma della polizia, ha dimostrato scarsa efficacia.


A cura di Laura Perna

La missione EUPOL fu istituita con l’Azione comune 2007/369/PESC del Consiglio del 30 maggio 2007 relativa all’istituzione della missione di polizia dell’Unione europea in Afghanistan. Come si legge nei considerando (9) e (10), la missione di polizia dell’Unione europea si colloca nel quadro dello sforzo comune della Comunità internazionale a sostegno dei lavori del governo dell’Afghanistan per consolidare lo Stato di diritto e istituire un sistema di polizia civile e di tutela della legge.
Quando EUPOL ebbe inizio, l’Unione europea era già ampiamente coinvolta nel processo di ripristino e sviluppo dell’Afghanistan: prima della missione la Commissione europea stanziò 4,93 miliardi di euro a favore del processo di transizione afghano, e negli anni dal 2002 al 2006 erogò in aiuti circa 3,5 miliardi di euro[1] risultando la seconda principale finanziatrice della ricostruzione afghana, dopo gli Stati Uniti.
Tuttavia, la missione acquisì l’eredità del German police project office, anche in termini di scarsi risultati. Infatti, dall’inizio del suo mandato e per gran parte dell’anno successivo, sia per quanto riguarda l’approvvigionamento delle risorse, che le dimensioni e l’approccio al contesto, l’Unione europea continuò a riscontrare gli stessi insuccessi della Germania; solo durante la seconda metà del 2009 riuscì a superare alcune delle incongruenze logistiche che le permisero di dare un contributo allo sviluppo di un sistema di polizia in Afghanistan.

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Le criticità della missione

Sebbene l’Unione europea riuscì ad implementare una missione di polizia civile in un contesto così ostico, al momento del dispiegamento non era realmente preparata da un punto di vista operativo. Il carattere volontario del personale e la pericolosità del territorio rispetto, ad esempio, ai Balcani, determinarono una costante carenza di operatori; inoltre, l’avversione al rischio ha fatto sì che la maggior parte degli inviati fossero situati a Kabul, rendendo di fatto impossibile l’ampliamento della missione su tutto il territorio nazionale. A ciò si aggiunge che il personale preposto, dislocato di fretta da altre missioni, era privo di informazioni fondamentali relative alla missione e, inoltre, caratterizzato da un basso tasso di alfabetizzazione, elemento che di fatto rese complessa la comprensione dell’operazione e la stesura di relazioni[2].
A ciò si aggiunse che in termini di risorse e logistica l’Unione europea non riuscì a superare le difficoltà venute in rilievo nelle missioni precedenti, ponendo in essere i medesimi errori passati: se il personale militare gode di un proprio equipaggiamento, il personale civile deve essere fornito delle attrezzature necessarie. Oltre alla mancanza di una leadership consolidata, a causa dei tempi lunghi richiesti per la fornitura, al momento del dispiegamento della missione nel giugno del 2007 – solo due mesi dopo la sua istituzione – la mancanza di strumenti come computer o veicoli blindati resero impossibile per il personale abbandonare il campo base[3] e, inevitabilmente, ciò influì in maniera negativa sulla buona riuscita della missione.
Da un punto di vista di coordinamento, inoltre, rispetto alla necessità di collaborazione e cooperazione per promuovere l’idea di un’azione europea “unita”, l’Unione europea ha riscontrato non poche difficoltà.
Nonostante la revisione nel 2010 delle disposizioni che hanno attribuito al capo missione il compito di assicurare il coordinamento sul territorio, e l’istituzione del SEAE nel 2011, sin dall’inizio di EUPOL, il collegamento tra la missione e i rispettivi rappresentati dell’Unione europea e dell’Afghanistan è parso talvolta troppo scarso e circoscritto.
Inoltre, durante tutta la durata dell’operazione, gli Stati membri continuavano ad essere impegnati nelle loro missioni individuali, quasi sempre di polizia, mostrando riluttanza a partecipare all’operazione promossa dall’Unione europea.
In ragione del termine dell’operazione previsto per il 31 dicembre 2016, l’Unione europea, con decisione PESC 2016/2040 del Consiglio che modifica la decisione 2010/279/PESC, predispose la liquidazione della missione EUPOL. Secondo quanto disposto dal testo dell’atto, all’articolo 1, la proroga della missione di polizia sarebbe stata prevista a decorrere dal 31 maggio 2010 fino al 15 settembre 2017. Dal 1° gennaio 2017 ha avuto inizio il processo di liquidazione della missione.

Il contesto odierno: le conseguenze sulla popolazione afghana

Dopo più di vent’anni dall’inizio della guerra in Afghanistan, nonostante le promesse di impegni della Comunità internazionale tutta, il territorio verte ancora in condizioni belligeranti disastrose, in cui il rispetto dei diritti umani appare un’utopia.
Dopo il ritiro delle truppe statunitensi i talebani, una volta acquisito il controllo del territorio, hanno agito in costante violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, nonostante avessero garantito a settembre del 2021 di impegnarsi per tutelare e promuovere gli stessi diritti.
Moltissime persone sono state vittime di vessazioni, imprigionate, pestate e uccise perché contrarie al regime; centinaia di afghani sono stati giustiziati, anche pubblicamente, altri sono scomparsi e la loro unica colpa era di aver collaborato con il governo precedente. Secondo le stime delle Nazioni unite, a giugno 2022 si contavano circa 820.000 persone sfollate, costrette ad abbandonare le loro case e i loro terreni.
I diritti delle donne sono tutt’oggi arbitrariamente calpestati, in maniera sempre più repentina la violenza sulle donne rappresenta uno strumento di vendetta verso i familiari, o un mero modo di dimostrare l’infondata superiorità dell’altro sesso; dozzine di donne e ragazze sono state vittime di torture solo per aver onorato il loro diritto di manifestare in forma pacifica contro il regime[4].

Le responsabilità internazionali

In questo contesto, la Comunità internazionale – in particolare gli Stati Uniti e l’Unione europea – non è priva di responsabilità.
In primo luogo, sin dallo scoppio del conflitto, la principale potenza impegnata in Afghanistan non ha mostrato una reale attenzione alla tutela e promozione dei diritti umani; infatti, la conseguenza dell’ossessione per la guerra al terrorismo internazionale è stata che fino all’Accordo di Doha non si è dimostrato interesse per il restauro e lo sviluppo della società civile, ne deriva che la necessità di formare militarmente l’esercito ha distolto l’attenzione da ciò che era realmente necessario: fornire infrastrutture, sradicare la corruzione e implementare un sistema sociale di educazione adeguato, accompagnato da istituzioni efficienti. Di fatto la guerra non ha mai rappresentato uno strumento adeguato a promuovere la democrazia, soprattutto se non accompagnata da un piano efficace di sviluppo civile.
In secondo luogo, il potere commerciale dell’Unione europea non è accompagnato dal medesimo potere militare, né pare, sebbene sia urgente, che l’organizzazione sia realmente intenzionata a sviluppare un’autonomia strategica.
Posta la frammentarietà delle capacità di difesa e sicurezza attribuite agli Stati membri, ne discende un perpetuo assoggettamento al volere degli Stati Uniti e della NATO, nonostante l’azione degli attori sia mossa da interessi differenti e l’Unione europea abbia mostrato maggiore preoccupazione per i diritti umani e la promozione dello Stato di diritto[5], senza tuttavia godere degli strumenti necessari ad operare in tal senso per imporre il proprio volere.
L’Unione europea, a fronte del massiccio intervento militare degli Stati Uniti, sarebbe potuta intervenire in maniera più incisiva sugli aspetti civili, concentrandosi maggiormente sull’integrazione di una società stanca, impoverita e vulnerabile a causa di più di vent’anni di guerra.
In particolare, avrebbe potuto rispettare gli impegni promossi con EUPOL, soprattutto per quanto concerne il numero di funzionari impiegati e di rappresentati dell’Unione europea in loco e sostenere, da un punto di vista logistico ed economico, i programmi di ricostruzione e sviluppo delle infrastrutture, nonché di aiuti alle persone bisognose[6].


Note

[1] C. S. Chivvis, EU Civilian Crisis Management: The Record So Far, RAND Corporation, 2010, p. 19
[2] Corte dei Conti, La missione di polizia dell’UE in Afghanistan: risultati disomogenei, cit. p. 15
[3] C. S. Chivvis, EU Civilian Crisis Management: The Record So Far, cit., p. 27
[4] Amnesty international, I talebani in Afghanistan: “Un anno di promesse mancate, durissime restrizioni e violenza”, 15 agosto 2022. Consultabile al link: https://www.amnesty.it/i-talebani-in-afghanistan-un-anno-di-promesse-mancate-durissime-restrizioni-e-violenza/
[5] P. Morillas, Afghanistan, AUKUS and European Strategic Autonomy, JOINT brief, No. 4, ottobre 2021, pp. 3 – 4 
[6] F. Bindi, L’Unione alla prova anche in Afghanistan, Affari internazionali, 18 maggio 2009


Foto copertina: Afghanistan: la missione EUPOL